Vì (Sonata - Largo)

Vì suonava ogni Giovedì sera nel locale del quartiere in occasione della serata universitaria.
I gestori del locale avevano capito da tempo che era molto più facile ed economico trovare una ragazza che cantasse regolarmente, con bella voce e repertorio variegato al seguito, piuttosto che sbattersi a cercare e ingaggiare gruppi della zona. Si risparmiavano così il tempo speso a negoziare la ricompensa e il rischio di incappare in un gruppetto di dilettanti che avrebbe potuto portare al risultato opposto, svuotando completamente il locale. Quel lavoro Vì l'aveva trovato grazie a Teo. Quando lo conobbe lui metteva dischi il Sabato sera. Non era un vero e proprio dee-jay, anzi era la persona più lontana da un dee-jay che avesse mai armeggiato con files e computer. Non mischiava le tracce, non le sovrapponeva. Semplicemente concordava con Rut il tema della serata e alternava pezzi per tre/quattro ore, e all'occorrenza anche di più. Lasciava la musica esprimersi, non metteva niente di suo, svolgeva la sua mansione nel modo più spersonalizzato possibile, e a lei questo era piaciuto fin dall'inizio.
Un po' invidiava Teo perchè lui, nascosto dietro lo schermo del computer, non doveva mica metterci la faccia come faceva lei.
Un giorno, dopo averla ascoltata suonare la chitarra le propose di cantare sopra tracce di canzoni che avrebbe suonato la sera. La cosa riuscì perfettamente e così provarono a ripeterla un'altra volta, poi un'altra, poi un'altra ancora. Poi Teo decise di ritornare ad appropriarsi dei proprio fine settimana, così lasciò a Vì il compito di reggere da sola la serata. All'inizio era sempre nervosa prima di esibirsi, ma con il passare delle serate ci aveva preso gusto. In fondo le piaceva che per un'ora abbondante l'attenzione generale fosse rivolta a lei, che gli sguardi fossero puntati sul suo vestito accuratamente scelto e che tutte le orecchie presenti fossero protese a cogliere le sue parole.
Scegliere le canzoni da proporre per l'esibizione della settimana era diventato il suo passatempo preferito.
Aveva cominciato a scrivere anche dei pezzi suoi, ma non aveva mai trovato il coraggio di farli sentire in pubblico. Solo Ale, Teo e Daniela avevano avuto il privilegio di ascoltarli. Quello che colpiva nelle esibizioni di Vì non era tanto la sua bellissima voce, né la grazia della sua figura, era soprattutto quell'ombra che aleggiava su di lei, quel dolore e quella malinconia che neanche gli accordi pieni di chitarra e i suoi acuti riuscivano a nascondere. Era quell'incurabile male di vivere che le faceva da sfondo emotivo, che impregnava ogni suono che emetteva, che intrigava e teneva tutti incollati al proprio posto.
Inoltre essere la star del locale aveva altri vantaggi, le aveva dato la possibilità di conoscere un sacco di gente. Soprattutto un sacco di ragazzi che ci provavano, un po' per questioni di fama, un pò perchè Vì, fra tutto, non era certamente una brutta ragazza.
Fianchi stretti, seni piccoli, lineamenti delicati coperti da una cascata di impertinenti capelli biondi. Ma la cosa che le piaceva di più del suo fisico erano le mani dalla pelle liscia e morbida e dalle dita affusolate. Odiava invece i suoi polpacci, voluminosi e duri come quelli di un maschio di cinque chili più pesante. Odio che era fortunatamente superato dal suo amore per il calcio.
Restava il fatto che Vì aveva ricevuto molte proposte quel periodo, ma a lei serviva tempo per ricominciare a fidarsi delle persone. Sentiva che la strada era quella giusta. Teo, Ale e Daniela le ispiravano fiducia. Con loro si sentiva protetta, al sicuro. Tuttavia non si era preclusa nessuna via (tranne per quel metallaro con la lingua biforcuta che le propose di abbandonarsi alla lussuria più peccaminosa sotto l'altare di una chiesa sconsacrata...non è che i metallari la spaventassero, ma gli psicopatici sì).
Non era convinta di volere ulteriori cambiamenti nella sua vita, forse non ne aveva bisogno al momento. Tutto sommato era felice, con Teo si trovava a suo agio, a volte pensava che in qualche modo oscuro si fossero scelti l'un l'altra. Ale la faceva morire dal ridere, un pazzo scatenato senza capo né coda, un masnadiere metropolitano, uno che vive alla stagione invece che alla giornata. Molto spesso più che un amico era un figlio a carico, ma la sua presenza serviva se non altro a farla sentire più matura.
La sua vita le piaceva ancora di più da quando suonava al locale. Lo si capiva semplicemente guardando il suo guardaroba. Appena arrivata la gamma cromatica dei suoi vestiti spaziava dal grigio smunto al giallo ocra passando per il rosa pallido. Da qualche mese invece i suoi amici avevano salutato con piacere l'avvento del verde, del blu elettrico e del rosso sangue, colori che su di lei acquistavano personalità.
L'unica cosa che proprio non sopportava era il fatto che un gruppo le avesse rubato il Sabato, la serata madre, costringendola così ad accontentarsi del Giovedì. Riciclavano le ultime hits di Mtv e, per fare la figura degli intenditori, ogni tanto inserivano qualche pezzo dei Radiohead suonato in modo approssimativo, per usare un eufemismo. Creep Android, si chiamavano. Questo la faceva incazzare ancora di più perchè le ricordava la prima serata in cui suonò da sola presentandosi al pubblico con una sofferta versione accompagnata al piano di Like A Spinning Plate. Non scordò mai lo scrosciare degli applausi che seguì all'esecuzione del brano.
Quello fu anche il giorno in cui cominciò a credere di valere qualcosa.

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