0 com

E' solo febbre

Di solito quando arriva il periodo degli esami si pensa a tutto pur di non studiare. Per questo, ultimamente, mi capita molto spesso di pensare al fenomeno che sta prendendo sempre più piede nella nostra società e che risponde al nome di design. Che poi è un suono molto ricercato per dire architettura delle cose e degli ambienti, da quanto ho capito. Esigenze che tale fenomeno vuole soddisfare, in ordine sparso d'imporanza, sono: vivere nel bello, vivere nell'arte senza troppo impegno, esteriorizzare la propria personalità attraverso le curvature delle linee degli oggetti di cui ci circondiamo.
Sempre da quanto ho capito.

Guardo il servizio sul salone del mobile a Milano.
Ci sono ragazze fiche, tanti tailleur, scarpe lucide, pelli abbronzate, galloni di martini, tazzurelle giapponesi, sushi a profusione; techno minimale a condire il tutto. Poi, in mezzo a tutto questo, una poltrona da diecimila euro.
Arte, dicono.

Eppure, a pensarci bene, tutto ebbe inzio quando l'uomo delle caverne, per riposare più comodamente, sistemò nella sua caverna un mucchietto di paglia per terra sul quale dormire. E io, a migliaia di anni di distanza, ho il terrore di tornare a casa un giorno, ansioso di vedere il debutto dell'Italia ai mondiali del 2010, e trovare centocinquanta coglioni con calici di martini e sushi in mano che parlano di arte del concetto, di concetto nell'arte, e che commentano il mio divano.
"Un ottimo mix di retrò e vintage, un gusto unico, particolare. Le sue linee pronunciate creano una rottura con l'ambiente circostante, quasi a simboleggiare un'armonia persa e mai più ritrovata. Posso sapere chi è il creatore di questa meravigliosa opera?"
"Falegnameria Igino."
"Non conosco..."
"Bé, ha avuto i suoi momenti."

Che poi è la stessa cosa con le sfilate di moda.
Guardo i servizi al telegiornale e vedo ragazze esili come giunchi che caracollano su un palco, tacchi altissimi, vestiti sobri e per nulla appariscenti.
Come quelli indossati dai manifestanti del gay pride per capirci.
Ancora, modelli-manichini non meglio identificabili e invasati vari ingiustamente premiati dalla vita, come ad esempio Roberto Cavalli, o Flavio Briatore, non ho ancora capito la differenza. Poi, come degna conclusione, sento i lifting di Donatella Versace parlarmi di made in italy. Anche questa è arte, dicono.

E penso ancora all'uomo delle caverne di cui sopra che scuoiava qualche animale per coprirsi con le sue pelli ed evitare così di morire di freddo. E io, a migliaia di anni di distanza, ho il terrore di uscire di casa, incazzato per aver appena scoperto che le provviste di birra sono finite, ed essere fermato da un uomo avvolto in una tunica bianca, o da una donna vestita come un pavone, che mi chieda a quale collezione appartenga la mia maglietta, e che elogi il mio stile ricercatamente trasandato.
"Così essenziale eppure così denso di richiami...e la completa mancanza di accessori, poi, che colpo di genio! Sarà la nuova frontiera: liberi, autentici, alla riscoperta di noi stessi. Posso sapere chi è il suo stilista?"
"Buonsenso."
"Italiano?"
"Si, ma non lo conosce nessuno."

I comuni denominatori fra le due situazioni che sono riuscito a trovare sono l'ormai celeberrimo uomo delle caverne e Milano. Ora, il nostro amico con la clava ha già il suo bel daffare a procurarsi il cibo combattendo con animali che pesano dieci volte lui, a non morire di freddo nella sua grotta non certo accogliente, a trovare una compagna con cui perpetrare la specie e mantenere vivibile e relativamente pulita una caverna dalla metratura smisurata; addossargli quindi anche le colpe delle umane scelleratezze mi sembra eccessivo.
Resta Milano, dunque, unica città al mondo dove bello si dice cool, brutto si dice out, spostare una sedia si dice feng shui, rilassarsi si dice chill out, il rumore del mare che esce dallo stereo si chiama new age, e ogni cosa che fai e che sei ha un nome inglese che non significa un cazzo. Dove è tutto così eccessivo che neanche mangiare macrobiotico, ballare techno radical chic e vestire metro sexual ti rende diverso.
Va da sé che in un posto del genere arte potrebbe benissimo voler dire, che so, delirio, immondizia, pattume. O merda, perché no.
Ma, a pensarci bene, Milano è la fedele riproduzione in scala di un'intera società che tende alla caricatura di se stessa, in cui le persone sono retrocesse allo stato di cyborg: sentono gli stimoli solo se fortissimi, i loro sensi sono catturati solo da ciò che è esagerato, incredibile. Dove la dimensione intima è un pericolo mortale, ogni emozione deve essere pubblicamente esposta e spettacolarizzabile.

Milano è il luogo dove tutto diventa prima brand e poi trendy, dove tutto nasce grotteco e muore ridicolo. Milano è la metastasi di ogni pensiero, il pus di ogni contaminazione, la deriva di ogni idea.
Una delle cose peggiori che l'uomo abbia mai creato.
Certamente qualcuno potrà farmi notare che bisogna in ogni caso avere rispetto per il lavoro altrui, perchè dietro il processo di creazione che porta ad un mero prodotto, ovvero un mobile o un vestito, ci può essere un'idea nuova o un concetto particolare, ma io sono un empirista e valuto la realtà dalla realtà, non dalle intenzioni, quindi me ne sbatto i coglioni e continuo ad abbaiare.
"Se piacerà, ti piacerà."
0 com

Zone azzerate

Che a Napoli la gente si fosse abituata alla morte non è un fatto di cui meravigliarsi. Non è una questione di cinismo, semplicemente di sopravvivenza. Vivere in una zona dove sparatorie, regolamentidi conti, e spesso tutte e due le cose insieme, sono all'ordine del giorno, significa intorpidire i sensi e l'indignazione e cercare di guardare oltre. Sentiero forzato se si considera poi uno Stato assente, latitante come chi spara, impegnato il più possibile a tenersi fuori dalla faccenda.
Ma questa volta non si è trattato di abitudine alla morte, non è stata l'ennesima e sciagurata, seppur prevedibile, tappa dell' "abituarsi alla fine". No, questa volta immagini inequivocabili hanno mostato gente infastidita da un uomo esanime ferito a morte da un proiettile vagante. Pensieri del tipo "Te guarda 'sto stronzone, proprio qui doveva venì a morire, che se mi macchia i pantaloni cazzo racconto a mia moglie?". Ecco, trasferite questo discorso in dialetto napoletano e avrete l'esatta misura della barbarie della civiltà moderna.
L'Italia che scappa dalla pietà impaurita, che timbra il biglietto per superare le sbarre che contengono la misericordia. Non male per il meno laico tra gli stati laici del mondo, che su valori di uguaglianza, aiuto, perdono, pretende di fondare una società senza popolo, un circolo di imprenditori e avvocati, il salotto buono e raffinato di project managers e private bankers.
Volti nascosti dietro osceni occhiali da sole dai lineamenti deformati dal butulino che inseguono il mito di flaviobriatore e tronchettiprovera.
La stessa società senza coscienza di popolo che scappa come un gregge davanti alla pecora sfortunata ferita a morte per non fare la stessa fine. Così piena di libertà, con quella faccia abbronzata, e quella pelle liscia e a prova di tempo, con quel gusto del bello e quell'amore per la famiglia. Eppure desoltamente misera.
Misera come la finta sinistra che a Napoli si, la camorra è una gran piaga, però questi rom hanno davvero rotto i coglioni. Ecco, la sinistra che invece insegue il diegodellavalle di turno, che magari avrà anche un aspetto più sobrio degli altri due sue colleghi, ma di certo ne condivide intenti e fini.

0 com

Appena prima di votare.

Domani ci sono le elezioni europee. Come al solito, non so ancora cosa fare, mi sono ridotto a decidere all'ultimo momento. Va bene, ripasso un pò.
Di votare chi scopa bambine non me la sento, ma questa volta vorrei spezzare una lancia a favore di Zilvio, perchè se è vero che lui è una carogna semiumana nutrita a soldi, è anche vero che ormai in giro si trovano certi troioni...e vabbè, quindi uno è escluso. Cioè, in realtà ho già escluso tutti, dato che Fini e Bossi sono nel Pdl, e Casini e Storace orbitano intorno il nostro premier piantachiodi come mosche intorno alla merda (paragone non proprio gaelico, ne convengo, ma rende molto bene l'idea). Strano eh, ho deciso di non votare chi scopa bambine e già, tra politici e preti, non mi è rimasto più nessuno da votare. Belli i tempi (diversi) in cui nel nostro paese si poteva scegliere tra la destra di Borsellino e la sinistra di Berlinguer!
Parlando di sinistra, bè, come al solito uno si gira dalla parte cui sente di appartenere e gli si gela il sangue.
Franceschini, o mio dio Franceschini. C'era quasi riuscito a sorprendermi quando tuonò "Vorreste che i vostri figli fossero educati da uno come Berlusconi?", e invece il giorno dopo subito a chiedere scusa e ad assicurare di essere stato frainteso. Dovrebbe sapere inoltre, il sg. Franceschini, che alcune frange di periferia del suo partito propongono nel loro programma elettorale l'istituzione delle ronde di sorveglianza notturna. Forse non c'entrerà niente con le europee, ma mi preme molto sottolinearlo per due motivi: primo, è una cosa che proprio non mi va giù, e secondo, è la prova schiacciante che la Lega ha vinto. Perchè se riesci a far sentire la gente in pericolo in un paese di tremilacinquecento abitanti dove si viaggia alla media di un'autoradio rubata e qualche cassonetto divelto all'anno, parlando di atti di delinquenza notturni, e dove sono tutti parenti di terzo o quarto grado, bè, allora hanno già vinto. Non ho finito, è inutile progredire, non serve a niente lo sviluppo tecnologico, internet, i mezzi di comunicazione, non sono serviti a niente neppure il muro di Berlino, le stragi degli anni '70 e piazza Tienanmen, se poi nel 2009 la sinistra riporta lo squadrismo nelle strade.
Ma andiamo avanti, ovvero ancora più a sinistra. Oddio, non ho seguito molto il movimento di questi partiti dopo le scorse elezioni, ero rimasto alla Sinistra Arcobaleno e al Partito Comunista dei Lavoratori. Adesso sono troppi, aiuto, ho perso già il conto e la voglia di interessarmi a ciascuno di loro.
Insomma, alla fine di questo post cosa fare ancora non l'ho deciso, anzi, sono ben lontano dall'averlo fatto. Stavolta però una cosa la so, a votare ci vado, perchè è dovere di ogni italiano impedire che i cani che ci rappresentano escano dai nostri confini. Sono sicuro che quasi tutti voi ricordate le immonde figure di merda che la Lega ci fece fare qualche anno fa a Bruxelles. Vi prego, non mandiamo gente che ha schedato bambini rom, e che con il decreto sicurezza farà schedare anche i barboni, a rappresentarci in Europa. E' vero che ormai siamo la barzelletta del continente, ma quel poco di amor proprio che ci è rimasto teniamocelo, cazzo.
Concludendo, solita frecciatina alla chiesacattolica ché altrimenti non mi sentirei a mio agio con me stesso. Vengo a sapere che il processo di santificazione (si dice così?) di Karol Woijtyla ha subito un brusco arresto a causa del ritrovamento di uno sterminato archivio epistolare appartenuto al vecchio papa stesso. In soldoni, Giovanni Paolo II rischia di non diventare più santo perchè per cinquantacinque anni intrattenne rapporti con una donna. La fedina penale della sua anima è forse irrimediabilmente macchiata per il fatto di aver considerato suo pari un essere inferiore quale è la donna, di averle addirittura concesso di dialogare del più e del meno con il papa in persona, massima autorità spirituale del mondo e bla bla bla. Alla faccia del sessismo, e alla faccia del cazzo, anche.
Spero con tutto il cuore che prima o poi si scopra che Woijtyla ci fece sesso, e svariate volte visto che ci siamo, con questa fantomatica signora, perchè renderebbe la sua figura molto più umana e alla portata di tutti. E perchè in questi tempi così bui è di grandi uomini che abbiamo bisogno, di santi in giro ce ne sono già troppi.
A proposito di grandi uomini, e questa volta concludo veramente, date un'occhiata al discorso che Obama ha tenuto ieri sera a Il Cairo, poi, per faavore, tributate due madonnoni alla pochezza dei nostri politici. Ne passerà di tempo prima che un Franceschini qualunque se ne vada a strappare applausi all'università più antica e prestigiosa del mondo arabo.
0 com

Requiem (The Crimson Sunset)

Era una uggiosa giornata di Settembre, Teo era affondato nel divano a guardare i cartoni pomeridiani mentre Lucio stava togliendo le ultime cose dalla camera.
Livia, così si chiamava la nuova coinquilina che aveva scelto Teo, aveva chiamato dicendo che sarebbe arrivata dopo pranzo.
“E' finita la pacchia, caro il mio stronzone! Niente più calzini ovunque. Niente più rutto libero dopo i pasti e pantaloni sempre addosso, anche a Luglio.”
“Mi dispiace ma sui rutti non transigo”
Dopo due anni di convivenza Teo e Lucio assomigliavano più a una coppia sposata che a due amici. Lucio ricordava ancora il giorno in cui conobbe Teo.
Era al gabinetto dopo il terzo caffé della giornata quando all'improvviso suonò il cellulare.
“Pronto? Si mi chiamo Matteo, ho ventuno anni e chiamo per l'annuncio trovato in facoltà della singola in affitto. Mi chiedevo se fosse possibile vederla.”
A giudicare da quelle parole, se Lucio non avesse fatto visitare la casa a Teo non avrebbe mai capito che razza di idiota fosse. Gli bastò qualche minuto per capire che era lui quello giusto, appena il tempo di farlo entrare, di poter osservare il suo volto da quattordicenne, il suo casco di ricci, i suoi occhi vispi che emanavano luce propria dentro ad una spessa barriera di vetro, di svolgere le presentazioni di rito e fargli esclamare “Ma questo tappeto è stupendo!”
Solo uno con le rotelle fuori posto poteva farsi colpire da un tappeto nella scelta di una stanza dove poter abitare.
Un attimo dopo ecco Lucio che descriveva il vicinato a Teo come per prepararlo ad inevitabili incontri spiacevoli, come se fosse già uno della casa. E in effetti lo era. Da quel giorno si seguirono due anni di pazzie, feste, discussioni, concerti, tutto rigorosamente insieme. Da quel giorno nacque quell'amicizia destinata a durare una vita.
Suonò il campanello, Teo si affacciò alla finestra, perchè con citofoni e campanelli non aveva grande dimestichezza, e vide Livia per la seconda volta in vita sua, piccola piccola come poteva sembrare dal terzo piano. Scese e la aiutò a portare su le valigie, con lei c'era anche la sua amica Daniela, ovvero due tette con dietro una ragazza.
“Allora? E' arrivata la nuova coinquilina?” domandò Ale al telefono.
“Sì, Livia è arrivata dopo pranzo.”
“Passerò per conoscerla il prima possibile.”
Naturalmente il prima possibile per Ale significava l’ora di cena. E se non fosse venuto accompagnato da Vanessa si sarebbe potuto pensare che volesse scroccare una cena. Tipa strana questa Vanessa, aveva delle fisse particolari.
“Piacere, Ale.”
“Livia.”
“Vanessa.”
“Livia, piacere. Questa è la mia amica Daniela. E’ da quando sono arrivata che Matteo mi parla di voi, finalmente vi conosco! Ale sta per Alessandro giusto?”
“In realtà è Alexandro...lo so che è strano, ma i miei si erano messi in testa di darmi un nome che fosse solo mio!”
“Perché non Floriano, allora? O Ezechiele, perchè no?”
"..."
"Scusa, scherzavo!"
“Non volevano darmi un nome strano o spocchioso. Volevano un nome normale, come tanti, ma con qualcosa che lo rendesse unico. So che è orribile, chiamami Ale e la risolviamo così”
Passarono molto tempo a chiacchierare e a conoscersi. Sembravano funzionare bene tutti insieme, ma Teo, e in cuor suo anche Ale, sapevano che Vanessa se ne sarebbe andata presto, era troppo evanescente per fermarsi più del necessario. In quanto a Lucio, beh, era stato il compagno di mille serate per Teo e Ale e sapevano bene che sarebbe stata dura farne a meno per un anno intero. Tuttavia non si respirava malinconia nell'aria, c'era una bella atmosfera, serena, distesa. C'era la sensazione che ricominciare sarebbe stato bellissimo ancora una volta.
Poi, dopo i brindisi di rito alla partenza di Lucio e le promesse di raggiungerlo prima o poi Dublino, Ale, Vanessa e Daniela se ne andarono.
“Simpatici i tuoi amici, penso che mi troverò bene qua. Certo che Alexandro...insomma, una x sarebbe un carattere particolare? Non ha senso!”
“E’ Ale che non ha senso", fece spallucce, "Imparerai a volergli bene.”
Vì era stata avvisata del fatto che Lucio sarebbe dovuto rimanere per un pò nella casa dopo il suo arrivo. L'aereo per Dublino sarebbe partito due giorni dopo e non gli era conveniente tornare a casa per un lasso di tempo così ristretto. Naturalmente avrebbe dormto sul divano lasciando alla nuova arrivata la camera. Livia non aveva sollevato problemi al riguardo.
“Hai più sentito Katrien?” chiese Lucio a Teo.
“Qualche settimana fa, poco dopo il suo ritorno a Belfast. Mi ha detto che il viaggio era andato bene, che aveva un sacco di cose da fare, rivedere i vecchi amici, trovarsi un nuovo appartamento in città per l'anno che stava iniziando. Cose così. Mi ha fatto piacere sentirla.”
“Quindi è proprio finita?”
“Sì, Lucio, è finita. Fin da prima che se ne andasse.”
“Mi dispiace per te amico, veramente. Katrien era davvero una ragazza incredibile, ma te l'avevo detto che non ti sarebbe convenuto metterti con una studentessa Erasmus.” disse, non con il ghigno di chi sapeva di aver ragione fin dall'inizio, bensì con il sorriso triste di chi condivide il tuo dolore.
“Cazzo, Lucio, non è che ogni cosa debba essere per forza come la lezione all'università. Non è che ogni storia debba avere per forza una morale, o debba contenere una lezione da imparare. Capita che ci si innamori e basta. Vuoi la lezioncina? Eccotela, prendi nota: è nella nostra natura cercare un senso in quello che ci succede, ma il più delle volte una storia, bè, è semplicemente una storia. Non ci sono progetti divini che muovono gli eventi, non c'è un fine ultimo, non è una metafora e non ci sono indizi da svelare per arrivare alla soluzione. Anzi, non c'è neanche una soluzione di solito. Una storia inizia e finisce. Nel mezzo si consuma. Punto. Non è che per questo non possa essere bella ed emozionante. Poi ci sono le storielle, più corte e più semplici, quelle in cui inizio e fine coincidono, molto spesso nello stesso luogo, e anche quelle sono certamente degne di essere vissute.”
0 com

Lucio (Sinfonia - Vivo)

Era arrivato a Dublino in un giorno di pioggia di Ottobre. All'aereoporto lo aspettava il suo tutor che lo avrebbe accompagnato in un ostello al centro, o almeno avrebbe dovuto essere là ad aspettarlo, visto che Lucio non vedeva proprio nessuno. Una volta all'ostello, il buon Lucio avrebbe aspettato tre giorni per iniziare ad occupare l'appartamento che proprio il suo tutor gli aveva trovato.
Si sedette su una panchina nella zone dell'entrata dell'aereoporto, prese il biglietto che gli aveva dato Ale pregandolo di leggerlo solo una volta sbarcato in Irlanda. Lucio lo tirò fuori dalle tasche, stropicciato e acciacciato com'era, cercando di renderlo leggibile senza strapparlo. Lo srotolò e lo lesse.

Caro Lucio,
ti ho fregato 20 euro, mi servivano...te li ridò quando torni!
Ale

“Brutto figlio di puttana!” esclamò ad alta voce.
Il ricordo della corsa dell'ultimo minuto al bancomat per ritirare i soldi per il biglietto che gli avrebbe permesso di non perdere il volo era ancora troppo vivo per riuscire a contenere la rabbia.
“Manco buon viaggio m'ha scritto 'sto stronzo.”continuò a sfogarsi ad alta voce, tanto nessuno avrebbe capito quello che stava dicendo.
E così Lucio era finalmente sbarcato in Irlanda. Dentro di se fremeva, ma in quel momento stava provando anche un po' di paura, non sapeva dove andare né conosceva la faccia di chi avrebbe dovuto aspettarlo all'aereoporto, di chi avrebbe dovuto già essere lì per lui.
I suoi pensieri, come al solito, correvano veloci nella sua testa. Pensava a come potesse essere l'ostello, a come avrebbe passato i primi tre giorni da solo in un paese sconosciuto, a che tipo di persone potessero essere il ragazzo portoghese e la ragazza francese con i quali avrebbe dovuto vivere.
Pensava anche a Katrien, la ex-ragazza di Teo. Pensava che avrebbe potuto chiamarla, che Belfast da Dublino non è certo una traversata atlantica, che in fondo erano stati sempre in buoni rapporti nell'anno e mezzo abbondante che ha girato per casa sua, che non era mica per provarci, anche se in fin dei conti non ci sarebbe nulla di male visto che con Teo era tutto finito, che era solo per rivedere un'amica, che sarebbe stato solo per visitare la città che era piaciuta a Teo, che il mondo è dannatamente piccolo, che magari non glielo avrebbe detto al suo vecchio amico, giusto per non riaprire inutilmente una vecchia ferita, che forse a ripensarci sarebbe stato meglio dirglielo per una questione di sincerità, che poi a chiamarla così, a bruciapelo, non avrebbe neanche saputo cosa dirle di preciso, che magari le avrebbe mandato una mail.
Era sempre stato un ragazzo deciso, in Italia.
Pensava anche a tutto quello che aveva lasciato alla partenza, insieme alla sua decisione. Pensava che aveva fatto proprio bene ad andarsene, che un anno a Dublino gli avrebbe cancellato Daniela dalla testa, che lei gli piaceva proprio tanto, che dopo un anno a provarci senza mai esagerare, senza mai forzare i tempi, come un vero signore, almeno un bacio se lo sarebbe meritato, che sentiva che si stava innamorando già da qualche mese e avrebbe dovuto lasciar perdere in quel momento, che era maledettamente testardo, che non poteva certo farsi fare le scarpe da quello sfigato del ragazzo, che poi è sempre così: più è speciale la ragazza e più è odiosamente stupido il suo ragazzo, che era partito da un giorno e già gli mancava, che a Natale l'avrebbe rivista quando sarebbe passato in città a trovare Teo e Ale, che magari lei gli sarebbe corsa incontro saltandogli addosso, che lei avrebbe sofferto molto per la sua assenza, che fino a Natale ne sarebbe passata di acqua sotto i ponti, che magari, durante le prime festività utili, una capatina in città ce l'avrebbe infilata volentieri, che almeno avrebbe potuto provare a dare qualche esame, che in testa aveva proprio un gran casino.
Solo una cosa sapeva, che i due coinquilini per quanto fantastici potessero risultare, non sarebbero mai stati capaci di rimpiazzare l'occhialuto Teo e il bastardo Ale, e a proposito di Ale, quando sarebbe tornato in città avrebbe dovuto ricordarsi assolutamente di sganciargli due schiaffi. Prima di riprendersi i soldi naturalmente.
Pensò anche a Vì per un attimo. Pensò a quando Daniela gliela fece conoscere la prima volta dicendo che cercava una singola non troppo distante dal centro. Oltre ad essere veramente una ragazza carinissima, gli era sembrata anche alla mano e brilante, chissà, magari Teo avrebbe trovato qualcuno in grado di rispondere per le rime alle sue battutine taglienti. Ripensò a quando disse a Teo che aveva trovato questa ragazza, e ricordò il riccio geniaccio rispondergli che finalmente, la camera che era stata sua fino a tre giorni prima, avrebbe cominciato a profumare.
Intanto, fuori dalla sua testa, un uomo sulla quarantina con il capello fluente e con un piede fuori dalla macchina lo guardava suonando ripetutamente il clacson.
“Luscio? Lusìo?” urlava il capellone.
“Sì, Lusìo...adesso sò diventato brasiliano!” commentò a bassa voce.
Raccolse le sue valigie e si trascinò verso la macchina.
E verso un anno di Dublino.
0 com

Ale, Teo, Vì (Concerto - Presto) //Seconda parte

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Presto)

Con il nuovo mese sarebbero arrivate due buone notizie: primo, i nuovi coinquilini di Ale, secondo, Lucio stava per tornare da Dublino. Ale arrivò qualche giorno prima a casa di Teo e Vì con la notizia che aveva ricevuto molte chiamate per gli annunci delle stanze. I due furono subito contenti perchè quando le cose gli andavano bene erano feste e cene pagate, non c'era cosa che si fosse mai rifiutato di offrir loro. In cambio però, quando andava male, non avendo neanche lontanamente la voglia e la costanza di lavorare, se non saltuariamente, occorreva provvedere al suo mantenimento. Inoltre i rapporti di Ale con il mondo del lavoro erano avvolti da una cortina di sfiga impenetrabile. La sua ultima occupazione consistette nel registrare le prenotazioni in un ristorante di un certo livello. Uno di quelli in cui per andare a mangiarci devi prenotare due settimane prima. Uno di quelli in cui, anche se il tuo compito è solo rispondere al telefono ed accompagnare i clienti al loro tavolo, devi essere in giacca e cravatta. Teo ha sempre ricordato trattenendo a stento le risate il giorno in cui Ale si presentò a casa sua recluso in quel completo. Aveva la stessa faccia di uno che ha appena parlato per venti minuti con chi conosce il segreto della vita senza capirci nulla. I suoi occhi verdeazzurro erano smarriti, proprio non ci si riconosceva in quel vestito. Resistette contro ogni previsione per quasi due mesi, a detta sua perchè c'era una "gnocca di cameriera che non ti immagini", ma anche perchè la paga era sicuramente buona. Anche quello infatti era uno di quei periodi in cui avrebbe dovuto pagare da solo il faraonico affitto di una casa di centottanta metri quadri.
Comunque l'arrivo imminente dei nuovi coinquilini teneva tutti sulle spine. Teo non perse tempo a sciogliere le briglie alla sua fantasia. Si immaginò nell'ordine: una bionda polacca all'ultima follia concessale dalla vita prima di diventare veramente adulta; una riccioluta, esile cantautrice francese che cercava di farsi pubblicare la sua prima demo; una aspirante modella dominicana, che un po' di esotico ci sta sempre bene. Vì , dal canto suo, si sarebbe accontentata di uno spagnolo dallo sguardo magnetico in vacanza studio, o un nuotatore professionista australiano. In realtà arrivarono due matricole di Ingegneria, inchiodati dalla mattina alla sera ai rispettivi pc, un seminarista pelato e francese di quasi trent'anni che "io non sapevo che un seminarista fosse un prete che non è ancora prete, giuro", e una ragazza greca devastata dall'acne con gravi disturbi alimentari.
Il seminarista storse un po' la bocca all'idea di dover vivere con una ragazza e cadere così in tentazione. Poi quando la vide capì che di tentazioni non ce ne sarebbero state. Più incazzato il seminarista sembrò quando arrivo Raul, galiziano all'apparenza senza macchia, ma con il vizio di coltivare piante sospette in casa. La prima settimana con la casa di nuovo completa si concretizzò in diverse risse verbali tra Raul e il seminarista, con la greca che somatizzava la tensione ingurgitando quantità elefantiache di feta. Per quanto riguardava i due nerd, bè, non riuscivano proprio a vivere off-line. Ad Ale fu subito chiaro che se ne sarebbe dovuto andare per mantenere un pò di raziocinio, e quale posto migliore se non il divano dei suoi migliori amici?
Dopo una settimana passata a dormire sul divano Ale non si era ancora arreso a tornare a casa sua. La cosa spaventò Teo perchè, pensò, un guerriero può anche deporre le armi, ma al suo riposo non può rinunciare mai. Inoltre la preoccupazione di Teo era accentuata dal fatto che Ale desiderava a tal punto non tornare a casa sua che aveva cominciato a comportarsi come un ospite, e non come uno di casa come aveva sempre fatto. Puliva i piatti, passava lo straccio, e un giorno lo trovarono addirittura a pulire il bagno. In almeno una delle due case la convivenza scorreva tranquilla quindi.
Tranquilla, sì, ma anche compressa. E proprio questo aspetto rappresentava la minaccia più seria alla serenità della convivenza. O almeno questo era il pensiero di Teo, che stava cominciando a studiare come risolvere la situazione.
Una sera mandò Ale a fare la spesa per avere l'occasione di avere un faccia a faccia sincero con la sua coinquilina. Nonostante i toni decisi, Vì non se la sentì di abbandonare Ale a se stesso nello stato di straccio logoro in cui si trovava. E con il suo voto contrario, Teo dovette arrendersi all'idea di poter riappropriarsi del divano nel breve termine, sebbene riuscì a strappare una clausola di tipo temporale sull'armistizio.
La seconda settimana, come facilmente prevedibile, i problemi cominciarono a farsi più frequenti.
Una sera Ale era particolarmente depresso. Stava guardando la televisione con Teo, mentre Vì era nella sua stanza a gironzolare per il web con il suo fiammeggiante Mac. Naturalmente, appena il computer molto cool della calciatrice e cantante entrò nel campo visivo di Teo, lui appiccicò con lo scotch un post-it a coprire la mela che contraddistingue il prodotto, sul quale prima aveva avuto premura di disegnare (volontariamente male, a detta sua), un grappolo d'uva. Tornando alla sera in questione, le avvisaglie che una tragedia fosse imminente si erano avute già a cena quando Ale, dopo aver dato il primo morso alla sua pizza Margherita, appoggiò disgustato i resti dello spicchio sul cartone. Fece un sospiro e rantolò qualcosa del tipo
“Se penso che di solito questa pizza la dividevo con Vanessa.”
“Porca puttana, Ale.” esclamò Teo schifato dall'amarezza che trasudava il suo amico.
Si alzò e cominciò a camminare in tondo nella cucina allentandosi la maglietta all'altezza del collo, come se stesse soffocando. Intanto che camminava e gesticolava ripeteva “Triste, triste, triste,...”
Vì si limitò a guardarlo attraverso la frangetta e dire “E dai Ale, così mi si innervosisce il bambino!”
“...una persona triste...irrimediabilmente triste...”
Ale guardò Vì abbattuto e riuscì solo a emettere un sospiro.
“...una vita che agonizza...”
“Dai Ale, fa un po' male, ma vedrai che passa.”
“...un'anima che muore....triste e sola...”
“EBBASTA TEO NON TI CI METTERE ANCHE TU.” si impose lei.
Poi, senza aggiungere altro, avendo perfettamente compreso la gravità della situazione, si sbrigò a finire la pizza e si fiondò in camera sua. Teo avrebbe potuto giurare di averla sentita chiudersi a chiave. Fatto sta che Ale sul divano non faceva altro che parlare delle virtù di questa moderna Beatrice, mentre Teo avrebbe preferito assistere, senza diritto di intervento, ad una conferenza sul nichilismo dei testi di Ian Curtis.
“Senti, Ale, non per cattiveria, ma oggi è stata una giornataccia in facoltà. Non ho voglia di parlarne. Facciamo così, prendi il mio cellulare, ho dei giochi bellissimi, io intanto vado in bagno a sgozzarmi.”
Due ore e mezzo dopo Teo non si era sgozzato, ma Ale era ancora sprofondato nel divano con il cellulare in mano, che aveva nel frattempo attaccato al caricatore, visto che aveva sfinito la batteria a furia di giochini programmati per fanciulli con la metà dei suoi anni.
“Senti, non che mi dia fastidio il fatto che tu sia seduto ininterrottamente da nove giorni sul mio divano, che tu abbia preso possesso in modo ormai irreversibile di casa mia, che, infine, tu ti sia appropriato anche del mio cellulare del quale sono schifosamente orgoglioso, ma non sarebbe più comodo per te giocare con il computer di Vì? Almeno non consumeresti i tuoi occhi su uno schermo da tre pollici”
“Ma sei scemo? Non ti ricordi di chi era il computer?”
“Primo: il computer NON era di Vanessa, l'ha solo comprato da una sua amica. Secondo: non è che da oggi in poi tu possa evitare tutti i pub, i bar, i supermercati, le strade, i vicoli e tutti i luoghi e gli oggetti che abbiano avuto a che fare con lei negli ultimi, che so?, VENTIDUE ANNI DI STORIA!”
“No no, non esiste proprio. E poi sono arrivato al decimo livello! Sto andando un gran bene.”
“Due ore e mezzo per arrivare al decimo livello?...sei sicuro di aver superato gli esami di quinta elementare?” esclamò basito “Vabbè và, io me ne vado a dormire, tu continua pure. Fa come fossi a casa mia.”
Era chiaro che Ale se ne sarebbe dovuto andare. Molto presto.
Naturalmente la mattina dopo, mentre Teo e Vì erano in cucina a fare colazione, Ale ronfava sul divano provato da una notte pazza di Tetris, Coca-Cola e biscotti alla panna.
“Ale mi fa tenerezza, non capisce che ogni individuo è completo in sè. E' perfetto nella sua individualità.” e questo era stato senza dubbio il capolavoro zen di Vì.
“Sentivo proprio la mancanza delle tue perle di saggezza orientale. Oggi pomeriggio vado a comprarmi un taser.”
"Per una volta, ti prego, sii serio. Ale sta soffrendo.”
“Hai ragione, ci penso io. Finisco di fare colazioe e vado a parlargli.”
Vì preparò la borsa, una pettinata veloce al bagno e se ne andò.
Grosso errore.
Teo andò in salone, svegliò Ale e gli disse "Ale, è molto importante per il sereno prosieguo della nostra amicizia che tu te ne vada. Ora. Mi dispiace, ma se continuiamo così fra due giorni al massimo ti mettiamo le mandi addosso."
Avrebbe potuto usare un pochino più di tatto, in effetti.
Continuò: "Cazzo, in fondo una casa ce l'hai, e poi li hai scelti tu i coinquilini."
"Sì, ma il prete mi rompe se vado in giro a petto nudo. E' impossibile dire una cosa del genere, dovrebbe essere bandito dal ventunesimo secolo. E considera che i due nerd, negli ultimi due giorni che sono stato a casa, hanno parlato solo di un'armatura squamata. Poi, se vuoi un altro carico da undici, c'è la tipa greca che apre la bocca solo per vomitare. Non so nemmeno come cazzo si chiami!"
“Ad ogni modo, questa è stata l'ultima notte che passerai qua fin quando non tornerai un uomo degno di questo nome."
"..."
"Lo faccio solo per il tuo bene.”
E fu così che Ale se ne andò, dove non lo disse mai.

Duetto (Teo, Vì - Presto)

“CERTO CHE QUANDO TI CI METTI SEI PROPRIO UNO STRONZO. Ti ho chiesto di aiutare Ale e tu che fai? Lo mandi a vivere sotto un ponte? MA SEI SCEMO?”
Vì avrebbe voluto strappare a Teo gli occhi dalle orbite con un piede di porco.
“Senti, non credo neanche io che la sua depressione se ne andrà tornando a casa sua con la fagocita feta e i druidi guardiani del Vallo di Adriano, ma almeno così non ci andremo anche noi in depressione.”
“NON E' QUESTO IL PUNTO. Il punto è che hai abbandonato un amico che aveva bisogno d'aiuto.”
“Non l'ho abbandonato. L'ho costretto ad affrontare i suoi demoni. Sai bene che Ale non l'avrebbe mai fatto di sua spontanea volontà, che sarebbe scappato in eterno. Senza considerare che così almeno noi potremo tornare alla nostra vita serena.”
Riuscì a cavarsela così, ma in cuor suo sapeva che un minimo di ragione Vì ce l'aveva. D'altra parte, con Lucio a Dublino, la spaventosa Kitty che si aggirava per casa di Daniela, e l'opzione Vanessa cancellata per sempre, di alternative non ce n'erano: Ale era destinato alla strada.
Magari se quel disertore della cultura avesse frequentato anche solo una lezione in quattro anni di università avrebbe altri amici a cui potersi appoggiare per un paio di giorni. Senza contare che ad accogliere un seminullafacente. nonché compendio in sessanta chili di tutte le distrazioni possibili, se la sarebbero sentita in pochi. A volte siamo semplicemente la persona sbagliata al momento sbagliato.
Comunque sia la partenza di Ale aveva effettivamente riportato speranza nella vita di Teo, che già da tempo si era immaginato dietro le sbarre di una lurida cella in seguito all'omicidio plurimo dei suoi due amici. Non avrebbe potuto sicuramente reggere tutte insieme una Vì posseduta dalle mestruazioni e le ultime esalazioni di un amico ridotto in fin di vita da una micidiale combinazione: inconsapevolezza circa il proprio futuro, pene d'amore, conflitti abitativi.
Si accorse che Vì era entrata nel suo fantastico periodo una sera, rientrando dopo cena dall'aula studio notturna della facoltà. Appena aprì la porta sentì in modo chiaro delle urla provenire dal salotto, esitò un attimo, poi, decisamente incuriosito si decise ad entrare. Trovò Vì sola e nascosta in una coperta che le scopriva appena i capelli che stava visionando, con molta attenzione, un generico film porno.
“Salve.” disse lui con un tono di voce più alto del normale per farsi notare.
“Ciao.” Mugolò lei.
“Ti direi che questa situazione è strana, se solo bastasse a descriverla.”
Lei non rispose, era completamente assorta dalle pose plastiche dei due pornodivi. Teo non sapeva bene cosa fare in realtà.
“Non capisco cosa ci sia di così interessante nel porno...è solo violenza meccanica...penso che se potessimo vederci da fuori, in terza persona diciamo, mentre facciamo l'amore, ne rimarremmo disgustati e smetteremmo di farlo. Guarda che posizioni hanno, non si scopa mica così, stanno forzando la natura...non è mai auspicabile forzare la natura.”
“Questa situazione rispecchia fedelmente l'andamento delirante della mia vita.” considerò ad alta voce Teo.
“Hanno reso artificiale la cosa più istintiva e naturale del mondo...come costruire un cuore di plastica, impiantarlo in un cadavere e sperare che funzioni...ma cosa c'è in fondo a tutto questo edonismo?”
“Ho capito. Mi piacerebbe continuare a parlare del niente con la versione addolorata della mia coinquilina, ma non posso. Me ne vado a dormire. Ciao. Se ti serve qualcosa, un aiuto, un sostegno morale, della morfina o non so cosa, non chiamami. Sono in camera. A domani.”
Entrò in camera, afferrò la sua scorta mestruale, considerò l'eventualità di comprare un televsore da sistemare sopra l'armadio, mise Holiday In Camobodia dei Dead Kennedys e si tuffò nel letto pronto a perdere i sensi.
Un giorno sì e uno no Ale tornava a trovarli a pranzo, e un giorno si e uno no trovava anche Teo che faceva di tutto per evitare la sua coinquilina, quindi il distacco era stato solo parziale. Evitava sempre di dire dove era attualmente domiciliato, e questo aveva fatto pensare a Vì che forse, e a quel forse si aggrappava con molta speranza, fosse andato a bussare alle porte di Vanessa.
Sta di fatto che dopo neanche due settimane Ale si arrese all'idea di dover passare almeno un altro mese tra gruppi di studio di teologia, abboffate di formaggio tipico ellenico, le piante d'erba di Louis, e manuali da druido in celtico antico dei nerd.
Strane traiettorie prende a volte la vita, per quanta strada si possa fare, spesso il punto iniziale e quello finale coincidono.