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Vicissitudini dissociate

Roskilde è una città situata in terra di Danimarca poco distante dalla capitale Copenaghen. C'è un festival musicale omonimo che si svolge in quella zona ed è enorme e la più vecchia manifestazione di questo tipo di tutta Europa. Di solito dura dai tre ai quattro giorni, ci sono diversi palchi attivi in contemporanea, vengono proiettati film e viene dato spazio a tutte quelle attività a sfondo artistico che nel mondo anglosassone sono racchiuse nel termine performance-arts, ovvero ritratti in tempo reale, body painting alle volte, letture di poeti più o meno discutibili, contest di writers su canterti montati ad hoc e destinati, con tutta probabilità, a finire in qualche cantiere edile una volta smontato il circo.

Un allegro fast-food della cultura moderna insomma.

Tutte le bands più famose delle ultime decadi sono passate per là, magari iniziando da qualche palco minore fino ad arrivare al main stage, qualcuno addirittura da headliner, come a sancire un passaggio ufficiale nel mondo di quelli che contano, la conquista del successo mondiale. Processo che è slegato, inutile dire, dalla maturazione artistica o dalla validità della proposta, ma i biglietti non si vendono suonando i bonghetti, mi farebbe notare la Mara Maionchi di turno arrivati a questo punto in una ipotetica discussione a quattro occhi.
Nella trentesima edizione, esattamente in data 30 Giugno 2000, stavano suonando i Pearl Jam. Durante tutto il concerto, come durante ogni concerto, tutta la folla premette per fare qualche passo avanti e per avvicinarsi al palco. Tutti volevano arrivare alle transenne, guardare negli occhi Eddie Vedder e soci. Chi era già sulle prime file si preoccupò invece di contrapporsi all'onda umana per ricacciarla indietro e non perdere la propria posizione privilegiata e conquistata a fatica. E' un gioco rituale durante qualunque concerto, e diventa incontrollabile in eventi di questa portata. A complicare le cose ci si mise però il mal tempo. Pioveva infatti, e la pioggia rese fango il manto erboso, il fango rese precario l'equilibrio di tutti. Ad un certo punto il giochino si ruppe: una trentina di ragazzi in prima fila scivolarono a terra, non riuscirono più a rialzarsi, finirono calpestati e schiacciati contro le transenne. I muscoli che erano riusciti nell'impresa di portarli davanti a tutti non riuscirono in quella di sorreggerli fino alla fine, di proteggerli dal centinaio e oltre di migliaia di persone che spingevano come fossero un corpo solo. Cinque morirono sul colpo e il concerto fu immediatamente fermato. Dopo poche ore fu comunicata la morte di altri quattro ragazzi. I feriti furono una ventina in tutto, nessuno in pericolo di vita ma di certo la faccenda non si concluse con pacche sulla spalle e un arrivederci alla prossima.
La notizia fece il giro del mondo in pochi giorni, molti giornali puntarono il dito sull'abuso di droghe e alcool che ad ogni manifestazione del genere porta la situazione generale sempre sul punto di rottura, altri invece se la presero con la pessima organizzazione del festival: vie di fuga inesistenti e un rapporto security/spettatore troppo basso i principali capi di accusa. Alla fine tante colpe e nessun colpevole, ma questo evento segnò profondamente la carriera dei Pearl Jam e le loro vite. Passarono anni prima che tornassero ad accettare nuovamente di suonare in eventi di tale portata, e nell'album Riot Act, uscito due anni dopo la tragedia, decisero di dedicare alle nove vittime due pezzi: Arc e Love Boat Capitain.


Mestre è una città come tante. Tutte le volte che ci sono passato in treno non sono mai riuscito ad uscire dalla zona intorno alla stazione, spaventato com'ero dal groviglio di lamiere e insegne colorate appiccicato alla meno peggio sugli edifici circostanti. Mestre è uno dei tanti cimiteri di asfalto e cemento dove l'uomo moderno ama seppellirsi. Magari mi sbaglio, ma non credo, o sicuramente anche se sbagliassi non lo farei di molto. In effetti non conosco molto della storia di questa città, di tutte quelle vicende che l'hanno portata ad essere esattamente uguale a tutte le altre grandi città italiane, fatto sta che anche nella sua insignificanza è a loro uguale: non lo è di più, non lo è di meno.
Ad ogni modo, nel 2004 a Mestre venne inaugurato il Parco San Giuliano. Un enorme polmone verde a ridosso della laguna con vista su Venezia, una macchia di colore dove riaprire finalmente gli occhi e riposare le orecchie dal frastuono della vita quotidiana. Data la location decisamente suggestiva del posto, si decise tre anni dopo di spostare là l'Heineken Jammin' Festival, che nelle edizioni precedenti aveva trovato sede fissa nell'autodromo di Imola. L'Heineken è una delle più grosse manifestazioni-baracconate musicali italiane, seconda solo al Festivalbar per qualità della materia prima e al Pistoia Blues per età media dei musicisti (anche se vorrei che questa ultima osservazione non venga messa a verbale, non ne sono affatto sicuro). Nonostante tale festival sia, come accennato appena sopra, una vetrina per vecchie glorie in cerca di bagni folla più per malinconia che per esigenza oggettiva, ogni tanto qualcosa di buono lo tira fuori. A prezzi imponderabili, ma lo tira fuori. Sono cose che capitano a furia di sparare nel mucchio.
Per festeggiare la prima edizione nella nuova sede, esattamente nelle idi di Giugno, dovevano suonare su quel palco di quel parco di Mestre i Pearl Jam. Ebbene sì, ancora loro. A poche ore dal loro ingresso in scena una tromba d'aria si abbattè sul San Giuliano però, spazzando e devastando qualunque cosa. Otto torrette dell'illuminazione e degli amplificatori crollarono e 30 persone restarono ferite. Per onor di cronaca, e per mettere a fuoco il dramma nella sua interezza, occorre aggiungere che: in occasione del decimo anniversario del festival era stata programmata una giornata in più alle solite tre, e quel Venerdì era appena la seconda; il festival fu interamente cancellato; quella della sera a venire sarebbe stata l'unica data italiana dei Pearl Jam dell'anno.

Dopo questo secondo incidente legato alla band, si cominciò a pensare che un po' sfiga effettivamente questi cinque ragazzoni americani la portassero, ma soprattutto che se la portassero dietro nei loro spostamenti per l'Europa. E fu così che per anni si diffuse l'usanza, tra i rockers scaramantici, di parlare dei Pearl Jam come si farebbe circa una malattia venerea: raramente, a voce bassa e capo chino, mano ben arpionata ai testicoli.


Montebelluna è una città di medie dimensioni comodamente appoggiata sulla periferia nord-orientale della pianura piadana. Di primo acchito sembra una di quelle città americane della California che si vedono spesso nei telefilm adolescenziali trasmessi principalmente sulle reti Mediaset: un centro storico piccolo e raccolto e intorno solo quartieri residenziali intervellati da spazi verdi piccolini ma curatissimi. Qualche palazzina in centro, ma niente che ricordi l'edilizia di massa dei grandi agglomerati urbani. Difficilmente trovi una villetta senza il suo angolo di giardino e altrettanto difficilmente incontri difficoltà per parcheggiare.
La ragione per cui vi parlo di questa cittadina è che si trova a una quarantina di chilometri, metro più metro meno, da Mestre. Luglio è appena arrivato e con lui anche un'afa intollerabile e l'impossibilità di dormire la notte. Insieme a Luglio sta a arrivando anche l'Heineken Jammin' Festival, sempre a Mestre, sempre al parco San Giuliano.

Sempre i Pearl Jam. Fra due giorni.

Quattro persone in questo momento sono con lo sguardo al cielo per cercare di elaborare una qualche e personalissima proiezione sull'andamento meteorologico nell'immediato futuro. In realtà nessuna di queste quattro persone abita a Montebelluna, ma, per una serie di motivi che non vi sto a raccontare, essa è diventata il loro centro di interessi (in senso lato). Una di queste quattro persone sta scrivendo questo umile post senza alcuna pretesa di eleganza stilistica, e lo sta facendo durante una delle domeniche pomeriggio più calde degli ultimi ventisei anni. Può testimoniarvelo di persona.
Una di queste quattro persone sono io, quindi basta scrivere come fossi un osservatore esterno ché non mi viene affatto naturale e aumenta anzi le possibilità di una mia futura schizofrenia. Mentre sto scrivendo, sudo. In realtà oggi non ho fatto altro. Mentre non dormivo per la temperatura degna di un forno a legna della mia camera, sudavo; mentre non mangiavo per non cucinare, sudavo; mentre respiro sudo e mentre impreco per il caldo atroce, indovinate un po'?, sudo. Solo che, ad un tratto, mentre sudo, sento anche un'eco di tuoni lontani. Non ci sono nuvole in cielo,e figurarsi se ne passasse una per sbaglio con tutto quello che servirebbe in questo momento, ma io riesco distintamente a sentire dei tuoni. In lontananza certo, ma li sento. In pochi minuti viene giù una tormenta dalle proporzioni bibiliche, una quantità di grandine esagerata si abbatte su tutto quello che incontra, picchiando alberi e vetri, schiantandosi contro lamiere di auto e mura di abitazioni. Si alza d'improvviso un vento parente di primo grado alla bora triestina e, tanto per non farsi mancare niente, una quindicina di gradi se ne va senza provare nemmeno a discuterne insieme.

E' in questo momento che comprendo la Verità: l'aereo che porterà i Pearl Jam sul palco dell'Heineken è appena atterrato in Italia.