0 com

un doveroso e commosso addio

Massimo Paoli è un nome che a molti di voi non dirà niente ma che a me riporta alla mente bei momenti, forse le uniche soddisfazioni accademiche di una carriera durata poco più di 6 anni.

Il Prof. Paoli insegnava una materia "caratterizzante" e una "opzionale" (si dice così, pensate un po'!) del corso di studi triennale di Economia Aziendale all'Università degli Studi di Perugia, e dell'insegnate che è stato ricorderò sempre l'amore per le proprie materie e l'approccio completamente diverso dagli altri professori che aveva con noi ragazzini che ci atteggiavamo a grandi tecnici con ancora addosso la puzza dei licei di provincia.

Ricordo anche l'odio che provava verso di lui la maggior parte degli studenti e dei suoi colleghi.
Gli studenti lo odiavano perchè le sue erano lezioni poco monetizzabili: non uscivi con degli appunti che ti addestrassero a risolvere irreale esercizietti sulla massimizzazione del profitto, non ti svelava formule magiche per ingenue equazioni micro/macroeconomiche; aspetti poco accattivanti per contabili già promessi alla concessionaria dei genitori e tristemente appassionati già a 20 anni di berline di lusso.
Tra i suoi colleghi alcuni lo odiavano ritenendolo un cialtrone, uno che parlava di tutto perchè non avrebbe saputo parlare di niente, e altri, ben più ipocriti, ridevano teneri quando sentivano il suo nome come si ride del matto del villaggio: un personaggio che fa colore ma che non occorre prendere troppo sul serio.

Legato al Prof. Paoli ci sono anche le immagini della mia combriccola perugina, le nostre risate durante le sue infervorate arringhe, le imprecazioni durante i nostri tentativi di seguirlo nei tortuosi meandri dell'epistemologia, gli sguardi tronfi che ci scambiavamo quando vedevamo la classe svuotarsi e solo noi rimanere, come a sancire una superiorità intellettuale che in quei momenti ci sembrava valere ben più di qualche 30.

In un periodo dominato da grandi professori e fondamentali economici impazziti, l'Università italiana perde un Maestro che ha sempre avuto la forza di denunciare il limite principale della tecnica, e cioè l'atto fideistico alla base del modello di analisi che permette sì di validarne i risultati ma che, al tempo stesso, ne preclude ogni oggettività.
0 com

un giorno di ordinaria follia (televisiva)



Massimo Cacciari
compare all'improvviso a Transatlantico, in onda su RaiNews nel tardo pomeriggio, e con sole due parole riesce a troncare sul nascere qualsiasi tentativo (e desiderio) di ascoltarlo. Dice, infatti:

Asse francocarolingio

Diciamo che se sei un frequentatore, anche solo passivo, del canale all news della Rai, e cerchi quindi aria nuova nell'informazione e nel modo di dibattere e confrontare opinioni, quando senti parole così semplicemente scappi.
Non appena quella sensazione di stantìo, quella puzza di soffitta abbandonata, mobili consumati e polvere, ti arriva alle sinapsi, tu scappi.

Circa un paio d'ore dopo, in casa Dietlinde c'è Vittorio Feltri, inaspettatamente quieto e ragionevole. Non urla e sbraita come al solito, piuttosto carica l'enfasi sugli snodi delle argomentazioni, accelera sulle ovvietà, sorvola sulla retorica....insomma, è strano. E' strano, sì, ma diventa incredibile quando afferma vigoroso:

L'Europa ci è stata imposta dall'alto, senza che il popolo potesse decidere tempi e modi dell'entrata tramite consultazioni o referenda. L'Euro è un'entità e una moenta astratta alla storia e alla cultura di ognuno dei 27 popoli dell'Unione*.


Cosa cazzo sta succedendo?
Davvero non riesco a capirlo

*le citazioni potrebbero non essere state letteralmente trascritte
0 com

la vita agra, ovvero la grammatica della resistenza


C'è stato un periodo, nella musica indipendente italiana, in cui o eri Le Luci Della Centrale Elettrica o non eri nessuno.
Più o meno quattro anni fa, infatti, il progetto musicale di Vasco Brondi e Giorgio Canali cominciò a farsi conoscere con l'omonima demo, scarna seppur già interessantissima. Quella che era appena più che una lista di punti programmatici stilistici sarebbe poi diventata "Canzoni Da Spiaggia Deturpata", l'album più importante e rappresentativo, a mio parere, di tutti gli anni zero.
Da quel momento in poi nessun indierocker integralista fu più disposto a permettere a qualche nuovo gruppo o cantautore di scalfire il suo prezioso mondo solipsista, faticosamente coltivato proprio a partire dalle collisioni semantiche dell'Antivasco nazionale.
Negli anni 2008 e 2009, Brunori Sas a parte, videro la luce molti dischi decisamente importanti, ma nessuno che portasse una firma incensurata.
Poi qualcosa cominciò a cambiare: l'acustica a chilometri zero di "Meteo" dei Ratafiamm, il piacevolissimo "Rivoluzioni a pochissimi passi dal centro" dei Verlaine, l'incredibile "La Macarena su Roma" di Iosonouncane e, infine, le imprevedibili sonorità eighties de I Cani portarono finalmente aria nuova nel panorama nostrano. Tutti questi esordi dalla marcata personalità si imposero, rompendo definitivamente l'obbligo di essere naif per risultare convincenti, proprio quando sembrava che toccasse ancora una volta a Vasco Brondi togliere tutti dall'impasse creativo.

Questo sunto vorticoso, straripante di nomi, solo per farvi capire quanto sono contento oggi di parlare de "La Vita Agra", primo frutto del progetto solista di kappa, in arte unòrsominòre. (si scrive proprio così, come tiene lo stesso kappa a precisare: con gli accenti e il punto alla fine).
Non che questo di cui mi appresto a parlare sia l'esordio del musicista veronese, ma il fatto che abbia stazionato sempre in ambienti pressochè periferici del panorama nazionale tiene valido il discorso.

Sono parole stanche, quelle che vengono pronunciate ne "La Vita Agra", tanto nei momenti concitati quanto in quelli più riflessivi; stanche di sopportare perifrasi circostanziali che servono solo a non arrivare mai al punto, che segnano un'incolmabile distanza dall'ironia facilona da format televisivo, quella che più che far bene al cuore ti fa morire scemo.
Ma questo è anche un disco musicalmente molto ben curato, dove armonie tendenzialmente lineari vengono farcite da fughe di chitarra in sottofondo e dissonanze sparse un po' ovunque, elementi che vanno a minare la serenità dell'atmosfera.
E se spesso musica e parole sembrano messe insieme per dispetto (Il Mattino del 26 Luglio, per dirne una), il disco sa concedersi anche ad orecchie meno volenterose con improvvise aperture melodiche (Storia dell' Uomo Che Volò Nello Spazio del Suo Appartamento, Celluloide, La Vita Agra II).

Insomma, questo è un disco meraviglioso, un ascolto necessario per riportare l'attenzione del dialogo civile, ormai perso a rincorrersi in inferni artificiali infestati dagli spread e dai default, indietro a temi più naturali e propri della società umana.
Se, poi, vi è mai capitato di incappare, per caso o per passione, nelle opere di Luciano Bianciardi, bè...ma siete ancora qua?
1 com

nati per subire

Se si iniziasse ad ascoltare il settimo album degli Zen Circus con Atto Secondo, si potrebbe pensare che il gruppo non avesse ancora esaurito il discorso intavoltato con l'ultimo, splendido, "Andate Tutti Affanculo".
Invece Il disco comincia con Nel Paese che Sembra Una Scarpa e si capisce subito che i sorrisi, questa volta, saranno rari e meno tirati, anche se l'autocitazione di Appino lascia ancora qualche flebile speranza per il prosieguo dell'ascolto.
Il Circo Zen ferma il carrozzone, dunque, e la scelta è sinceramente difficile da accettare. Intendiamoci, "Nati Per Subire" è un disco bellissimo. Un giro sul piatto se lo merita ad occhi chiusi: i testi sono lucidissimi, la produzione non è mai stata così cesellata e ricca di dettagli...però, e si tratta di un enorme però, la parentela con i lavori precedenti si è persa in spartiti troppo ragionati (che fine ha fatto la batteria fracassona di Karim Qqru?).
0 com

nuovi capitoli

Mi dispiace venire a sapere solo questa sera dal solito, affidabile blob, come alla manifestazione del Pd del 6 Novembre a Roma sia successo qualcosa di interessante:

le tre ragazze nella foto appartengono al collettivo femminista ucraino Femen che da tempo si batte per i diritti delle donne.

Dopo aver organizzato proteste in tutta l'Europa a suon di spogliarelli, le sexy-attiviste (definizione piuttosto infelice, soprattutto in questo caso, se mi è concesso) sono finalmente arrivate in uno dei paesi più retrogradamente ricchi del mondo.
La loro azione mi è apparsa così lontana dall'estetica ecclesiasta che da sempre caratterrizza il pd che ho subito capito si trattasse di un corpo estraneo all'organizzazione del partito.
L'estetica, certo, ma anche la dialettica non manca certo di spiccare in un contesto del genere:

E' superfluo dire che le attiviste sono state subito attaccate dai democraticissimi manifestanti che le hanno ritenute oscene e volgari, facendo finta che i sorrisi piacioni di Renzi e Veltroni lo siano meno, ma quello di cui più sono felice è la possibilità di poter aggiungere da oggi, con decorrenza 6 Novembre, un nuovo e inaspettato (in Italia, almeno) capitolo alla mia personalissima raccolta di materiali resistenti.





0 com

L'era del cinghiale goffo


Oggi rimango sospeso sul seguente quesito: è più ridicolo aver creato un sistema in cui far incazzare lo Spread sul Bund davvero non ti conviene, oppure aver paura che il mondo si estingua per palindromìa?






0 com

C'era una volta


Uno di voi mi tradirà.

0 com

Campi di concentrazione

Camminare per stradine e vicoli della tua città, per quanto centrali o residenziali siano i quartieri cui essi appartengono, significa in primis essere testimoni oculari del processo con cui il fenomeno del consumo sta rimodellando le nostre città.
Le vetrine vuote dei negozi, le saracinesche chiuse ad oltranza e l'estinzione del concetto stesso di bottega e drogheria non ci raccontano solo di una crisi che si è già tuffata nella sua fase recessiva dopo anni di dolorosa stagnazione, ma anche del processo di concentrazione che l'industrializzazione sta ponendo in essere per sopravvivere a sè stessa.

Per carità, è noto come tale fase sia conosciuta da tanto tempo nella dottrina economica, così tanto da essere già stata ampiamente codificata in ogni suo aspetto. I libri, però, si limitano a parlare di tecnicismi: fusione di soggetti industriali, accorciamento della filiera produttiva, internalizzazione della produzione dei servizi accessori; di meri espedienti volti a creare meno entità più solide patrimonialmente, commercialmente e finanziariamente, in modo da poter resistere alle oscillazioni dei mercati e delle domande di acquisto.
Oggi, invece, questo processo si è spostato nelle nostre vite e non riguarda più solo nomi che finiscono per spa o srl, va invece ad estendersi anche a fruttivendoli, macellai e fotografi, tutti insieme accanitamente.

Passeggiare per la propria città, se si ha un po' di memoria (la stessa che chi i centri commerciali li riempe vorrebbe che perdessimo, così da diventare i consumatori ancora più voraci) vuol dire registrare un fenomeno di accorpamento in edifici enormi, grigi e periferici del commercio antico della porta accanto, un decentramento distributivo che sa di degrado e abbandono urbano e che rappresenta tanto una tappa obbligata dell'evoluzione economica quanto il fenomeno naturalmente opposto all'integrazione sociale.

I campi di concentrazione oggi nascono come funghi perchè devono raccogliere tutti i negozietti che in città non troveremo mai più, per sottrarli alla dimensione personale che localizza e limita il consumo, trasformandoli piuttosto in enormi e ordinati palcoscenici di celebrazione del progresso.
Tutte le merci sono uguali e tutte ugualmente accessibili perchè ogni consumatore è invitato a questa festa bulimica, ogni compratore può tornare utile.
Dall'elettronica all'abbigliamento, dall'ortofrutticolo alla pizzeria, ogni esercizio commerciale posizionato com'era in mezzo a tabaccai, scuole ed edicole non risultava abbastanza credibile in termini di esclusività. La ricollocazione dà la possibilità al marketing di giocare sulla leva della validazione sociale dei prodotti: non bastano più i soldi per potersi permettere certi articoli, devi anche trovare tempo, parcheggio, assistenza e offerte.

Gli squali dei campi di concentrazione oggi stanno imparando dalla religione. Hanno capito che parlare di status symbol è classista e quindi dannoso per le vendite. Il nuovo orizzonte si chiama culto, aderire si chiama comprare, possedere si chiama appartenere e la libertà, invece, si chiama ancora scegliere, nel senso che entrambe non significano più un cazzo


0 com

il veto

Per come la vedo io non c'è nessuna ragione al mondo per cui uno Stato, per costituirsi, debba chiedere il permesso ad un altro Stato.
E questa affermazione non nasce da un rigurgito di fierezza nazionalista, ma dalla profonda convinzione che l'autodeterminazione sia un diritto inalienabile di ogni comunità.
Tuttavia, se non si accetta questa visione, e si è convinti, di conseguenza, che gli States possano praticare aborto ed eutanasia nei confronti di qualsiasi nazione del mondo, si dovrà convenire con me che Umberto Bossi, prima di aprire bocca ed emanare sfinito proclamazioni di indipendenza, dovrebbe chiedere a Barack Obama cosa ne pensa della Padania.
O, in alternativa, ricordare al suo (risicato) esercito di Sancho Panza in groppa al trattore che sono le ferite profonde a spingerti a combattere: non bastano certo i piagnistei per le tasse troppo alte, si deve avere dimestichezza con fosforo bianco, fuoco a vista su donne e bambini, carri armati che ti sfondano casa e bagni di sangue.


0 com

rojo


"Rojo" è il sesto album di Giorgio Canali & Rossofuoco, ventiduesimo (potrei sbagliare) dell'intera carriera del cantante e chitarrista di Predappio.
Ancora una volta quello che colpisce è la capacità di Canali di custodire e preservare la sua musica dal vorticoso processo di drenaggio emotivo e sterilizzazione dei contenuti che la circonda.
Il suo dono è uno stile eclettico in cui distorsioni, armoniche, fulgida rabbia militante, citazioni, narrativa cantautorale e passione danzano insieme al limite dell'incesto. Giorgio è un maestro, uno che un passo falso ogni tanto lo potrebbe pure fare, ma non lo fa mai.
Tutti lo dovrebbero ascoltare.

0 com

Il marcio in Danimarca?

Solo ieri pomeriggio sono venuto a conoscenza della vittoria della donna immortalata qua vicino alle elezioni politiche della Danimarca.
La nuova premier si chiama Helle Thorning-Schmidt, ha 45 anni e guiderà la neoeletta coalizione di centro-sinistra dopo 10 anni di ininterrotto governo della fazione opposta.

La Danimarca è una delle economie avanzate con il debito pubblico più basso, e per quanto la definizione stessa di "economia avanzata" sia piuttosto fumosa, vado sul sicuro se dico che ricomprende almeno una ventina di nazioni: gli stati membri dell'Unione Europea, gli USA e il Giappone. Poi, se volete, c'è sempre il gruppetto del BRICS da aggiungere e togliere a piacimento.
La sua economia è improntata ad uno stato sociale molto solido, di conseguenza la pressione fiscale è tra le più alte al mondo ma lo è anche il benessere grazie al meccanismo della redistribuzione degli ingenti capitali che lo stato incassa dai cittadini.

A questo punto, vi chiederete, se un governo di destra ha ottenuto questi buoni risultati, come mai i danesi hanno optatao per una svolta? Le motivazioni politiche, se vi interessa, le trovate a questo link, ma voglio concludere il mio ragionamento ad un livello un po' più elementare.

Proverò a formulare, infatti, un pensierino tanto semplice e qualunquista quanto calzante. Una sciocchezza così banale da non essere nè di desta nè di sinistra (perchè l'estremismo è sempre sbagliato...non è più come una volta...quando c'era lui etc etc):

Se a decidere le sorti di una nazione è un governo formato da persone che hanno ancora una trentina d'anni almeno da viverci dentro, non sarà che in qualche modo, forse, anche solo involontariamente o per egoismo, questo fattore aiuti a migliorare la qualità delle decisioni stesse?





1 com

Chi siamo, da dove veniamo


Eccola qua, per l'occasione in posizione centrale manco fosse un poster. Eccolo qua, il muro alla fine della corsa delle promesse che mi vengono fatte, con sempre meno convinzione, da quando ho memoria.

Dovevamo rinascere, dopo la caduta del muro di Berlino, dopo Craxi e Tangentopoli e, molto più di recente, dopo l'uscita totale della sinistra dal Parlamento Italiano.
E già perchè, mi dicevano, vedrai che il Nostro Paese (quanto orgoglio smaliziato in quelle maiuscole...il Mio Paese, sembravano dire tutti) sarebbe riuscito a superare la fase dei sogni irrealizzabili e dei cuori idealistici infranti. Avremmo lasciato indietro l'utopia.
Via, finalmente, tutte quelle incrostazioni morali! Via il tempo perso ad arrovelarsi il cervello per pensare! Evviva, saremmo stati di nuovo felici grazie alla "liberalizzazione psicologica" (c'è scritto, a propoisto di questo tema, nell'editoriale de Il Foglio di qualche giorno fa) che avrebbe pragmatizzato le nostre scelte e portato l'agognato benessere.
Nessuno sarebbe più morto per una bandiera.
La povertà aveva i giorni contati.

La routine del darwinismo sociale che si rimetteva in moto: eravamo ripartiti!

E invece no, vicolo cieco. La morte dell'utopia ha in realtà spianato la strada all'era di quest'uomo quassù, alla sua visione carnevalesca della società, al suo pensiero micragnoso in ideologie, alla distopia del denaro. Un cancro, quest'ultimo, che ha attecchito subito, perchè non richiede nè immaginazione nè passione e fatica per crescere, solo stupidità. E gente senza speranza.
0 com

Le mucche lo sanno

Era il 19 Maggio il giorno in cui mi sono commosso per la vicenda della mucca fuggita in Sicilia e recuperata, poi, dalla guarda costiera mentre stava attraversando lo stretto di Messina.
Il bovino venne in seguito ribattezzato Teresa proprio in onore della località da cui si era tuffata in mare.

-Che palle, anche oggi erba e aria buona, poi passeggiata e stalla...ma perchè tutto questo? Cui prodest? - deve aver pensato Teresa, quel giorno.
-Ma io non ci sto più, e i pazzi siete voi! - deve aver proseguito.
Poi, gettando uno sguardo dietro di sè, deve aver visto quell'immensa distesa blu che è il mare e che apriva all'immaginazione tutto un mondo nuovo da vedere. Potrebbe anche aver distolto lo sguardo, in un breve momento di cedimento, per controllare ancora una volta cosa si stava perdendo: la cima fumante dell'Etna, il pastore dallo sguardo perennemente torvo e code che oscillavano. Non che non lo sapesse, voleva solo l'ennesima conferma.
In quanto ai suoi colleghi, molto probabilmente pensava che si potessero dividere in due categorie precise: quelli che brucavano e quelli che ruminavano.
-E' l'ora!- si deve poi essere detta per spronarsi, e si incamminò verso il mare.

Una storia bellissima, bucolica e a lieto fine: una fiaba moderna.

Se non fosse che un mese dopo vengo a sapere della mucca Yvonne, sorella d'intenti della nostrana Teresa.
La sua storia è ancora più affascinante, e da fiaba passa subito a favola.
Yvonne è in fuga da circa 3 mesi e, nonostante (apprendo da qui) sia stata investita da un auto e penda sopra la sua testa una taglia da 10000 euro, di tornare ad essere carne da macello non ne vuole proprio sapere.

Favola, certo...ma se le storie di Yvonne e Teresa fossero state tramandate in qualche modo? Se qualcuno le avesse raccontate a qualcun altro, e quel qualcun altro ad un terzo ancora e così via?
Magari perchè le loro vicende si sono già impiantate nella memoria collettiva bovina, o magari perchè essi sanno tramandare intere biografie via peti, o forse è solo un caso, ma qualche giorno fa, esattamente il 14 Agosto, evade dalla condanna di una vita in stalla anche Carolina.

Al terzo caso analogo decido finalmente che approfondire l'argomento è il minimo che si possa fare per rendere omaggio all'impeto d'orgoglio delle tre vacche.
Scopro con grande sorpresa che la genesi del mito della mucca ribelle è avvenuta nei territori intorno casa mia.
Gli eventi si riferiscono a un anno fa, e vedevano impegnate ben 4 vacche, questa volta.
In quest'occasione, però, occorre registrare l'entrata in scena dell'elemento drammatico: la promessa di una vita migliore viene spezzata dall'uccisione dei fuggitivi.

Con il sacrificio del protagonista, dunque, la favola diventa mito.
Il mito di Io e Zeus, magari, dove Zeus, per nascondere la donna di cui si era innamorato dalla vendetta di Era, sua moglie, la trasforma in giovenca così da renderla irriconoscibile, permetterle la fuga e farla tornare libera. Non andò proprio così anche in quel caso, e Io non fece quella che si può definire una bella fine.

Yvonne e Carolina, chissà cosa potrebbero combinare insieme, quelle due, se un giorno si conoscessero!










0 com

Il Tea Party ovvero il sogno americano


Ora che finalmente sembra finita la penosa pantomima americana sul suo possibile default (dài, ma vi sembrava il caso?) ho avuto la possibilità di chiarire bene alcuni punti che non mi tornavano.
Punto primo: cosa cazzo è il Tea Party
Punto secondo: qual è lo scopo ultimo di tutta questa patetica messa in scena

Per farlo ho ricominciato dalle basi.

Una nazione che deve ridurre il proprio deficit ha davanti a sè due strade da percorrere: aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica.
Aumentare le tasse vuol dire mettere direttamente le mani in tasca ai ricchi, ai molto ricchi per l'esattezza, mentre tagliare la spesa pubblica significa prelevare indirettamente reddito al ceto medio-basso e basso.
Uno stato liberista è quello che ha una tassazione leggera e investe poco in settori di pubblica utilità quali sanità, istruzione e non prevede forme troppo elaborate di ammortizzatori sociali; è una struttura minimale e poco invadente sulla borghesia, piuttosto evanescente per i più poveri.
Uno stato sociale, d'altro canto, è quello con una pesante tassazione di tutti i ceti più alti ma che sostiene una ingente spesa pubblica ripartita il più equamente possibile fra i settori d'intervento di cui sopra.
Gli stati democratici moderni funzionano tenendosi in precario equilibrio fra questi due casi limite. Puntano sul fatto che per aumentare troppo le tasse i ricchi dovrebbero convincere il 90% dei non ricchi a votarsi contro e che la spesa pubblica possa essere diretta, in qualche modo, anche a sostegno dell'economia privata.
Sto semplificando, ovviamente, ma si tratta pur sempre di macroeconomia spicciola.

In America sta succedendo proprio questo: i molto molto ricchi hanno convinto il 99,9% della popolazione - e dei democratici - a votarsi contro pur di non aumentare le tasse.
Come hanno fatto?
Vi ricordate del punto primo?

Il Tea Party è un movimento politico di ispirazione popolare e conservatrice che prende il nome dal Boston Tea Party, e cioè il momento storico in cui le colonie americane cominciarono a lottare per l'indipendenza economica dal Regno Unito partendo proprio dalla lotta alla tassazione sulla vendita del tè.
Il Tea Party nasce nel 2009 ed è un movimento meno complesso di quello che ci vogliono far credere.
Sono repubblicani e protestano, sempre.
Scendono in piazza e in strada sfilando in cortei, sfoggiando slogan e cartellonisitica standard da manifestazione per chiedere, fondamentalmente, meno tasse e il diritto di vivere in libero mercato.

Un sondaggio dell'Università di Washington del 2010 ha dato una connotazione abbastanza precisa dei componenti di questo movimento:
il 73% non approva la politica del dialogo voluta da Obama con i paesi musulmani
l'82% pensa che gay e lesbiche non dovrebbero avere il diritto civile a convolare a nozze, il 52% (sempre dell'intero campione), inoltre, afferma pure che questi ultimi hanno troppo potere politico
il 74% crede che sì, è importante che i neri e le minoranze abbiano gli stessi diritti dei bianchi cristiani ma no, non è compito del governo garantire questi diritti.

Insomma, sono repubblicani. Dalla testa ai piedi. E neanche troppo moderati.

Sono repubblicani, sono liberali e liberisti, cristiani e scommetteri cattolici per la quasi totalità. E protestano, pure. Quindi sono anche sobillatori.
Sono un sacco di cose, certo, ma di sicuro non sono ricchi.
Oh, se fossero tutti ricchi come farebbe l'America a rischiare il default? Non ci saranno mica tutti questi negri, no?

Pochi fra loro sono ricchi, quasi nessuno è molto ricco, ma pensano e si comportano come se lo fossero, ed è per questo motivo che le grandi corporazioni americane, guidate dai molto ricchissimi, hanno usato il proprio potere su media e opinione pubblica per dar loro risonanza ottenendo quello che volevano: una riforma dura, durissima, che non andasse però a colpire i loro patrimoni.
Tutto qua. Delusi?

Ma in fondo non era questo il sogno americano: un giorno sei un tranquillo ragazzone che fa il bagnino a Dixon, nell'Illinois, e qualche anno dopo diventi il presidente degli States?
N'è forse vero, vecchio Reagan?
Vedete che c'è una speranza per tutti!
E del neonato Tea Party Italia, che dite, ne vogliamo parlare?
0 com

Onestà (non) intellettuale

Sono stretto fra due fuochi.
Da una parte ho l'inesorabile Mario Borghezio che se ne esce con l'apologia di Breivik, e se conosci il personaggio te lo aspetti pure.
Dall'altra rischio di ustionarmi con il Pd (vergogna sempiterna) che annuncia la volontà di partecipare al rifinanziamento della missione in Afghanistan, e se lo conosci lo eviti proprio.

In mezzo ci sono io, con l'arduo compito, imposto da un habitat artificiale basato su solide certezze, di sentenziare la mia preferenza. Un nazista ritardatario che mi sparerebbe guardandomi dritto negli occhi o un'accozzaglia di adolescenti che si sfonderebbe il cofano della macchina per farmi ammazzare di botte dal buttafuori del locale?

Niente da fare: il Pd non vince mai.
0 com

A forza di essere vento

La tizia qua a fianco è Pamela Gellar e oggi, indossando per un attimo la crapa pelata di Roberto Saviano, voglio raccontarvi la sua storia.

Pamela Gellar ha un blog molto seguito in cui, fondamentalmente, parla male dei musulmani (o mussulmani, che dir si voglia) e dell'Islam in generale.
Pamela è infatti direttore esecutivo dell'AFDI (American Freedom Defense Initiative) e del SIOA (Stop Islamization Of America).

Venerdì 22 Luglio, non appena venne a sapere dei fatti di Oslo, la Gellar pubblicò immediatamente il post Jihad in Norway? (non più visibile), seguito a ruota dalla riproposizione di un articolo scritto di un mesetto prima: questo.
Pamela aveva fiutato la traccia, dunque, se non fosse che il destino sa come tessere gli eventi fino a piegarli negli scenari più inaspettati, a volte addirittura irriverenti.

Sabato 23 Luglio, ad esempio, si scopre che Anders Behring Breivik ha appena compiuto la più atroce strage di matrice non islamica del ventunesimo secolo, e che era un suo grande fan. E che era anche fan di un certo Fjordman, altro blogger anti-islamico apparso spesso sul blog di Pamela, tanto che alcune parti del manifesto del norvegese furioso sono riprese proprio da un suo scritto del 2006: quest'altro.
Non solo, quindi, l'autore della strage di Oslo è vagamente ariano e anti-islamico, ma addirittura conosceva e ammirava la bacchettona di turno, costantemente impegnata a richiamare l'attenzione dei cittadini americani verso la crudeltà dei seguaci di Maometto.

Certo, ultimamente sono state dette e scritte tante cose stupide, ad esempio si è parlato del fatto che gli arabi possono essere anche bianchi (conoscete qualche arabo negro?), della vigliaccheria dei laburisti che si sono fatti ammazzare senza reagire nonostante fossero in rapporto di 500 a 1 (figli dei fiori), e della rinuncia al multiculturalismo come unica soluzione possibile agli "incidenti" di questa natura (niente più razze, niente più razzismo: olè!).

Cose stupide, dicevo, e sarebbe altrettanto stupido affermare che quello che scrive la Gellar possa renderla colpevole in qualche modo dell'attentato o possa metterla in relazione diretta con Breivik. Se vogliamo credere che il perbenismo dilagante e la falsa morale strozzano continuamente la nostra meravigliosa ed irresistibile retorica, allora evitiamo di unirci al coro monotonale di cazzate che imperversa in questi giorni.
E' vero però che tra le tante interpretazioni possibili delle parole di scrittori, giornalisti e blogger come Pamela c'è anche Anders Behring Breivik, e questo cerchiamo di non dimenticarcelo più.
0 com

Di David Lynch, grosso paraculo

David Keith Lynch è uno che fa film perchè si parli dei suoi film che la gente va a vedere perchè li ha diretti lui. Questa tautologia, come tutte le tautologie (e come i suoi film), non ha valore informativo, ok, ma serve per capire che ci vuole fede per credere in David Lynch.
Io, personalmente, non ne ho molta.
0 com

diretta


Online video chat by Ustream
0 com

il bucato da aspettare, il blog da rassettare

A fine 2007 ho aperto questo spazio virtuale perchè volevo convincermi di essere l'unico dottore in Economia che non sarebbe finito a lavorare in banca e perchè vivevo a Perugia, circondato da studenti e aspirazioni.
Ovviamente di questo non mi rendevo conto, pensavo solo di essere molto fico perchè avevo da qualche mese il mio primo pc.
A metà 2011 rimetto seriamente le mani qua dentro, spingendomi per la prima volta oltre la modifica del tema di fondo.
Nel frattempo sono diventato di nuovo dottore, lavoro in banca (anche se il contratto scade fra 4 settimane), ho perso molti capelli e vivo vicino Treviso.
Ho imparato a scrivere, però! E quando sono in stato di grazia si capisce addirittura quello che voglio dire.
Non è stato inutile, quindi.

Ci tengo a precisare che lavorare in banca e vivere a Treviso non c'entrano nulla con l'aver imparato a scrivere.
0 com

Sostanza, poesia e memoria. Tre sottotitoli per quattro scelte.


Ce n'è di sostanza in questo referendum.
Innanzitutto trattava di temi con dirette ripercussioni sulla nostra vita quotidiana, senza troppe implicazioni partitiche (tranne, forse, il quesito sul legittimo impedimento) o letture politiche da tenere in considerazione. Certo i dibattiti sono stati lunghi, le campagne numerose e gli appelli accorati, ma ciò non toglie che il voto è stato viscerale più che ragionato.
Inoltre, se è vero che la Seconda Repubblica ha coinciso fino ad oggi quasi perfettamente con il periodo berlusconiano, si potrebbe anche pensare che la tornata elettorale appena conclusa sia un messaggio chiaro per decretarne la fine, anche di più delle ultime comunali e provinciali.

Intatta è la poesia anarchica. Il sogno eretico di essere un ribelle senza compromessi: bello e impossibile. Un sogno quotidianamente minacciato dalla mia estrazione borghese, dal mio lavoro e dal mio salario, entrambi borghesissimi; una poesia imprigionata da una prosa troppo scadente.
Ho imbracciato il fucile questa volta, sì, ma il generale invitava a disertare la battaglia. E va aggiunto poi che il voto referendario implica interferenza e non certo delega.

La memoria, infine, va preservata. Così come questo certificato elettorale mi è stato recapitato tre giorni fa, vorrei che un altro ancora, da usare per le prossime volte, mi venisse consegnato fra tre giorni.
Vorrei lasciare questo così, con un colpo e un centro.
Lo incornicierei e appenderei al centro di una parete bianca, orribile da vedere ma bellissimo da guardare, anche se comincerebbe a trasmettermi malinconia fra qualche anno.
Lo terrei là come il ricordo di quell'unica volta in cui non sono stato sconfitto (tanti timbri e mai una gioia sul vecchio), una vittoria senza Pirro. Un feticcio, un talismano contro il mio cinismo da campagna elettorale, la prima di una lunga serie di soddisfazioni che non potrà mai esserci.
0 com

Neoprimitivi, cyberpop, Maya

Questa mattina sono tornato nella mia vecchia casa.
Ero lì per motivi che non vi sto a spiegare, ma vi basti sapere che stavo trafficando con cavi, cacciaviti, vestiti e chitarre e che neanche io avevo idea, se non nel mio subconscio, della connessione tra tutti quegli oggetti.
Mentre smanettavo e smadonnavo qua e là per tutte le stanze tenevo le finestre aperte per far prendere un po' d'aria alla mia camera che ho abbandonato, pur senza dimenticarla, anni fa, e che anche la mia famiglia ha lasciato da un paio di stagioni.
Che ci si fa con una casa vuota, vi chiederete voi?
Come si fa a vendere un appartamento enorme e situato nella celeberrima inculonia di questi tempi, vi rispondo io!

Ma a prescindere dalle considerazioni macroeconomiche sulle cicliche e devastanti crisi che affliggono il capitalismo da più di un secolo e da quelle più generali riguardanti il fatto che ogni sistema ha il suo bug, il punto è che in cortile stava giocando la filgia della mia vicina.
Maya, cioè la figlia della mia vicina, è nata nell'autunno del 2003, stesso periodo in cui mi accingevo a lasciare un luogo sull'orlo di una crisi (allora solamente) di nervi per partire alla volta dell'università.
Che poi era a soli 70 chilometri scarsi da casa, ma nell'immaginario collettivo è sempre un posto a sè stante dove si vivono esperienze irripetibili al limite tra il fiabesco e l'onirico.
Maya è dunque nata nello stesso periodo in cui io nascevo alla vita sociale, dopo che per 19 anni la mia camera e la mia casa mi avevano cresciuto e pasciuto preparandomi a quella che pensavo essere la vita vera, una prova di autonomia controllata: faccio da solo, sì, ma poi pago con il bancomat dei miei.
Sarà forse per questo legame invisibile che Maya mi ha riconosciuto subito dal giardino mentre aprivo le persiane della finestra. In fondo, a pensarci bene, i nostri contatti visivi si sono limitati a incontri di qualche secondo sul pianerottolo delle scale, pochi secondi qualche volta al mese. Inoltre, tra un incontro e l'altro entrambi cambiavamo: lei cresceva di un palmo almeno, sviluppava la voce, la gestualità, la varietà di sguardi; io, invece, dimagrivo e accentuavo la calvizia. Eppure, fin da quando ha cominciato a parlare, mi ha sempre riconosciuto con un timido e sincero "ciao Gabriele!", e anche oggi quel "ciao Gabriele!" è arrivato puntuale.
Solo che questa volta lo ha pronunciato mentre digitava un messaggino sul suo coloratissimo cellulare touchscreen. Alla mia riposta, poi, ha sollevato lo sguardo verso la sua finestra, forse per indicarmi silenziosamente il nuovo portatile appoggiato sul davanzale.
Ho guardato prima il portatile, poi Maya negli occhi facendole un sorriso, poi ho ripreso a trafficare con i miei arnesi analogici con i quali non ho troppa confidenza ma contro i quali non ammetto sconfitte.

Queste quatto parole in croce non vogliono criticare l'incontro troppo precoce che avviene oggi tra bambini e tecnologia avanzata seppure di consumo, ma ragionare sul fatto che questo rapporto, ormai simbiotico, tra sistemi biologici complessi (bambini) e sistemi digitali altrettanto complessi (apparecchi di qualsiasi tipo) potrà forse portare a risultati migliori rispetto a quelli che ha raggiunto un altro rapporto tra gli stessi sistemi, meno spontaneo e più forzato, che si è instaurato nelle generazione "meno nuova", ovvero la mia.
Per noi l'approccio alla tecnologia è stato un trauma, una costrizione, un passo obbligato per tenere il ritmo dell'evoluzione di un mostro indefinibile che cresceva, ai nostri occhi, in un mondo lontano: scarse interfaccie grafiche, prezzi inavvicinabili, innovazioni che un mercato ancora troppo acerbo e vischioso non riusciva a rendere subito applicabili e reali.
Per i bambini, invece, la tecnologia potrà essere un amplificatore di potenzialità e interessi, una naturale porta di accesso all' augmented reality, un concetto complesso dalle molteplici implicazioni filosofiche e comunicative che loro possiedono innatamente, che noi giovani dinosauri faticheremo sempre ad applicare, che i nostri genitori si sogneranno di capire per quanto proveranno a sforzarsi.

Perdonate la fretta della trattazione, ma mi preme chiudere con queste considerazioni perchè voglio che siano un buon auspicio per quella bambina con capelli e occhi nerissimi che è Maya, la figlia della mia vicina.
0 com

Il crepuscolo degli dèi


Un'altra colonna del Consiglio dei Ministri cade rovinosamente in pezzi.
Dopo Sandro Bondi, autore di intima delicatezza nonchè ministro ineccepibile, anche Carlo Giovanardi decide di lasciare il suo incarico da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche contro le droghe (ci entra tutto nella Carta d'Identita?), data la sopraggiunta impossibilità di espletare le sue funzioni - spiega lui stesso -a causa dei tremontiani tagli alle risorse destinate al Dipartimento alla Famiglia.

Le ombre proveranno certo ad offuscarci la sua memoria, ma noi (io, almeno) lo vogliamo ricordare maestro di bon ton ed equilibrio, seppure le sue dichiarazioni deliranti potrebbero fuorviare. Un osservatore posato dei cambiamenti della società italiana che riusciva a sintetizzare, rendendoli comprensibili anche al più chiuso dei bifolchi, con semplici ma chiarissimi schiamazzi, oscurati solo dalla cavernosità del suo accento, tanto particolare quanto sconosciuto alla storia.
Per la lealtà che ha dimostrato verso la patria nel compiere questo gesto di resa, lo ringrazia in particolare Stefano Cucchi, al quale il nostro non ha lasciato neanche la pietà del silenzio.

Non so se capirà, il buon Carlo, ma in caso gli faremo un disegno.
Adesso vattene finalmente affanculo
0 com

La bestia e la bestia

Lo spot che non ti aspetti per l'imminente festa del 17 Marzo arriva così da Lampedusa: gratuito.

Celebriamo l'italianità, dunque, così radicata in tutti noi che ci si rivela, con parsimonia, solo quando compare il nemico. "Non passa lo straniero", alè.
Mi rincuoro ogni giorno di non riuscire a provare quella sensazione di proprietà della terra e quel bisogno insaziabile di produrre e raggiungere che ci rendono tanto italiani. Fare fare fare, poi avere avere avere; quindi tenere difendere custodire. Beatificare, infine: San Enzo da Ferrari, Beato Diego Della Valle, Sua Altissima Beltade Made In Italy. Alzare il tiro, inarrestabili, e accorgersi di non avere ancora abbastanza. Poi buio, crisi, e allora negro negro negro, terrone terrone terrone, ladro ladro ladro, brutto brutto brutto.
L'italianità: la parabola amara della curva del fatturato, il cul de sac del boom economico.
Forse un giorno infinitamente lontano avremo coscienza diffusa di quanto siano anacronistici e criminali il nazionalismo (che non farebbe rima con patriottismo in un paese dove la cultura contasse qualcosa più di un cazzo) e lo sciovinismo; di quanto sia vuota e inutilmente tautologica la dialettica manicheista del noi vs. loro; di quanto le divisioni siano esecrabili e meschine, poichè funzionali al controllo. Ma per fortuna quel giorno è ancora molto lontano, come si diceva poc'anzi, quindi io posso continuare a sbavare rabbia che è in questo come lo spot di Lampedusa: gratuita.
0 com

Khmer Rossa

"Volevo che fosse per lei stupendo ed irrinunciabile come un 25 Aprile"
(Offlaga Disco Pax)

"No"
"E dài!"
"No, gò dito de no, quante altre volte da ripetertelo ancora, ciò?"
"Cristo, Francesco, ti ho chiesto di saltarne una, mica di mollare tutto quanto e andarcene a vivere a Roma Termini, cazzo!"
Due cose proprio non sopportava: la prima era quando lo chiamava col suo nome di battesimo, significava battaglia imminente, e la seconda era il suo turpiloquio.
Era molto sboccacciata per essere una ragazza, e va bene che di questi tempi vattela a trovare una ragazza seria, ma non gli erano mai piaciute quelle troppo volgari. Mai nessuna eccetto lei, chiaramente.
In fondo tutto quello che le chiedeva, Francesco, era di svegliarsi la domenica mattina con il profumo di pasticcio pronto o di sopa coada, come gli succedeva dapiccolo quando sua nonna abitava ancora con lui, fuori Bassano, ai piedi del monte Grappa, lungo le rive del Brenta e Gennaio ti sconsigliava di abbandonare la sala da pranzo dopo mangiato. Ora che abitava a Cuneo, infatti, non riusciva più a riprovare quella sensazione d'infanzia che aveva ogni volta che tornava a casa, gli mancava anche quell'aria umidiccia e appiccicosa di metà estate che risaliva dal fiume per venirsi a spalmare sulla sua pelle.
Non è che non condividesse le idee di Ilenia, intendiamoci, ma sotto sotto si sentiva un ragazzo felice: la sua più grande passione era il suo lavoro. Non solo poteva giocare a pallavolo quattro o cinque ore al giorno, ma addirittura doveva, visto che dal gioco dipendeva anche il suo sostentamento economico (ma guai a parlarne con Ilenia...i soldi, pff, ma figuriamoci!).
Le piacevano tante cose di lei ma proprio non riusciva a capire la sua rabbia. Lui, di sicuro, non ce l'aveva.
Adorava, ad esempio, quel piccolo tatuaggio che aveva dietro al collo, nascosto dai lunghi capelli castani lisci. Non era chiassoso o un pastrocchio come tanti che vedeva in giro, anche e soprattutto negli spogliatoi a fine allenamento. Quattro quadratini, uno adiacente all'altro. Si chiama Sorekara, gli aveva spiegato lei, ed è un idioma giapponese che significa "e poi", "inoltre", ma anche "da allora".
Ovviamente Francesco non si era mai neanche azzardato a chiederle perchè decise di tatuarsi quella sequenza di quadratini, si limitava a farle notare, con sistematica periodicità, quanto le stesse bene addosso e a pensare che fosse dedicato a lui.
"Lo avresti dovuto sapere che domani per me è un giorno importante...e secondo te con chi è che vorrei passare un giorno importante, imbecille testa di cazzo?"
"Ilenia, per favore, 'ste parolacce..."
" 'Ste parolacce un cazzo, Francesco, - ancora! - sono o no la tua compagna, porca puttana?"
"Non si tratta solo di questo, si tratta del fatto che è un lavoro"
"Oh oh oh, ma sentitelo, il cazzone!"
"....ad ogni modo, non è che posso telefonare al coach e dirgli che, all'improvviso, domani non posso andare in trasferta fino a Macerata, e dico Ma-ce-ra-ta...le Marche, hai presente dove cazzo sono?, perchè è il terzo anniversario della metamoforsi della mia ragaz"
"COMPAGNA, prego - lo interruppe lei - ragazza è un termine che usano solo gli schifosi maschilisti del cazzo"
"...compagna..."
"Non sono la ragazza di nessuno, io, ok?"
"COMPAGNA, ok? - la guardò supplicante di lasciarlo cotinuare - dicevo: il giorno in cui battezzarono la mia compagna Khmer Rossa! Devi ammettere che suona un po' ridicolo..."
"RIDICOLO?"
Non ebbe bisogno di una laurea in psicologia per capire che scelse proprio la parola più sbagliata che avesse potuto scegliere in quel frangete, e di sicuro non gli sarebbe servita, quella laurea, neppure per tentare di recuperare l'infelice uscita.
"Quindi io sarei RIDICOLA?"
Ahia, il tono con cui sottolineò quel "ridicola"....nulla di buono stava per accadere.
Questa volta, pensò il buon Francesco, non sarebbe bastato regalarle qualche illustrazione pubblicitaria introvabile (cioè carissima) per calmarla, neanche quelle di Antoni Rigorini, il suo preferito perchè torinese come lei, che a differenza sua, però, da Torino non se n'era mai andato.
Ma perchè il 22 Ottobre? Il nostro lo sapeva bene.
Perchè non successe niente, quel giorno, gli aveva detto lei. Un giorno senza memoria storica, raro e prezioso. Passarono serate intere a setacciare insieme i meandri più oscuri del web, a spulciare a quattr'occhi ogni tipo di fonte informativa, ma niente. Il 22 Ottobre non è mai successo nulla. Niente di eclatante, almeno: qualche evento legato alla prima e seconda guerra mondiale, certo, ma in nessun paese era una festa nazionale e per nessuna religione era un giorno sacro o di festa. Era perfetto per Ilenia.
Perfetto per diventare il suo giorno.
0 com

Sergio indahouse

Voglio chiarire subito che io non ce l'ho con Sergio Marchionne, sebbene questo possa sembrare ad un lettore piuttosto distratto, ma è lui ad avercela con me.
Mi provoca, mi stuzzica, scompare per un po' (o forse sono io che ho spento la televisione da un po') e poi mi si ripresenta all'improvviso. A Montecitorio. In giacca e cravatta.
Un gesto ardito, non c'è che dire.
Non mi piaci, Sergio, non mi piaci affatto e continuerai a non piacermi.
Sei offensivo ed irrispettoso...perchè?
Dunque: non è un crimine che un'azienda in crisi chieda ai proprio dipendenti di stringere la cinghia (ah, le metafore!) e di rinunciare a qualche diritto dato per assodato, se questo servisse a salvarla, a mantenerla in vita permettendo così agli stessi di continuare a lavorare. Diventa, invece, un'offesa quando questa richiesta viene fatta da una multinazionale che prevede di chiudere il bilancio con più di 400 milioni di euro di utile.
I sacrifici dei lavoratori serviranno ad aumentare i dividendi degli azionisti e degli investitori, ed andate in pace amen.
Poco importa se dall'Italia, dalla quale non arriva neanche un euro dei 400 milioni (e sticazzi?), sono piovuti corposi aiuti statali per interi decenni, vero? Di chi erano, quei soldi?

Chissà cosa penserebbe di lui la lega nord se riuscisse ad osservare la situazione da questo punto di vista. Perchè, in ultima analisi, la leganord sarà pure il partito che ha riportato indietro concetti altissimi e, come tali, scevri da ogni ragionamento meramente economico - biopolitica e socialismo cooperativo in primis - fino agli oscurantisti tempi del feudalesimo, ma è vero pure che su di essi poggia e che da essi si è alzata in piedi la prima volta.
Già, la lega nord, il partito del fare: cazzate, boiate, schifezze, lettera e testamento; ma sto divagando.
Il buon Sergio (l'Alfa e l'Omega) ha dimostrato anche a Montecitorio di essere un uomo di mondo insospettabilmente avvezzo agli usi e costumi dominanti, consapevole che, come ci ha ricordato Ascanio Celestini, la divisa non si processa.
Fino al 6 Aprile, almeno, poi si vedrà.