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Neoprimitivi, cyberpop, Maya

Questa mattina sono tornato nella mia vecchia casa.
Ero lì per motivi che non vi sto a spiegare, ma vi basti sapere che stavo trafficando con cavi, cacciaviti, vestiti e chitarre e che neanche io avevo idea, se non nel mio subconscio, della connessione tra tutti quegli oggetti.
Mentre smanettavo e smadonnavo qua e là per tutte le stanze tenevo le finestre aperte per far prendere un po' d'aria alla mia camera che ho abbandonato, pur senza dimenticarla, anni fa, e che anche la mia famiglia ha lasciato da un paio di stagioni.
Che ci si fa con una casa vuota, vi chiederete voi?
Come si fa a vendere un appartamento enorme e situato nella celeberrima inculonia di questi tempi, vi rispondo io!

Ma a prescindere dalle considerazioni macroeconomiche sulle cicliche e devastanti crisi che affliggono il capitalismo da più di un secolo e da quelle più generali riguardanti il fatto che ogni sistema ha il suo bug, il punto è che in cortile stava giocando la filgia della mia vicina.
Maya, cioè la figlia della mia vicina, è nata nell'autunno del 2003, stesso periodo in cui mi accingevo a lasciare un luogo sull'orlo di una crisi (allora solamente) di nervi per partire alla volta dell'università.
Che poi era a soli 70 chilometri scarsi da casa, ma nell'immaginario collettivo è sempre un posto a sè stante dove si vivono esperienze irripetibili al limite tra il fiabesco e l'onirico.
Maya è dunque nata nello stesso periodo in cui io nascevo alla vita sociale, dopo che per 19 anni la mia camera e la mia casa mi avevano cresciuto e pasciuto preparandomi a quella che pensavo essere la vita vera, una prova di autonomia controllata: faccio da solo, sì, ma poi pago con il bancomat dei miei.
Sarà forse per questo legame invisibile che Maya mi ha riconosciuto subito dal giardino mentre aprivo le persiane della finestra. In fondo, a pensarci bene, i nostri contatti visivi si sono limitati a incontri di qualche secondo sul pianerottolo delle scale, pochi secondi qualche volta al mese. Inoltre, tra un incontro e l'altro entrambi cambiavamo: lei cresceva di un palmo almeno, sviluppava la voce, la gestualità, la varietà di sguardi; io, invece, dimagrivo e accentuavo la calvizia. Eppure, fin da quando ha cominciato a parlare, mi ha sempre riconosciuto con un timido e sincero "ciao Gabriele!", e anche oggi quel "ciao Gabriele!" è arrivato puntuale.
Solo che questa volta lo ha pronunciato mentre digitava un messaggino sul suo coloratissimo cellulare touchscreen. Alla mia riposta, poi, ha sollevato lo sguardo verso la sua finestra, forse per indicarmi silenziosamente il nuovo portatile appoggiato sul davanzale.
Ho guardato prima il portatile, poi Maya negli occhi facendole un sorriso, poi ho ripreso a trafficare con i miei arnesi analogici con i quali non ho troppa confidenza ma contro i quali non ammetto sconfitte.

Queste quatto parole in croce non vogliono criticare l'incontro troppo precoce che avviene oggi tra bambini e tecnologia avanzata seppure di consumo, ma ragionare sul fatto che questo rapporto, ormai simbiotico, tra sistemi biologici complessi (bambini) e sistemi digitali altrettanto complessi (apparecchi di qualsiasi tipo) potrà forse portare a risultati migliori rispetto a quelli che ha raggiunto un altro rapporto tra gli stessi sistemi, meno spontaneo e più forzato, che si è instaurato nelle generazione "meno nuova", ovvero la mia.
Per noi l'approccio alla tecnologia è stato un trauma, una costrizione, un passo obbligato per tenere il ritmo dell'evoluzione di un mostro indefinibile che cresceva, ai nostri occhi, in un mondo lontano: scarse interfaccie grafiche, prezzi inavvicinabili, innovazioni che un mercato ancora troppo acerbo e vischioso non riusciva a rendere subito applicabili e reali.
Per i bambini, invece, la tecnologia potrà essere un amplificatore di potenzialità e interessi, una naturale porta di accesso all' augmented reality, un concetto complesso dalle molteplici implicazioni filosofiche e comunicative che loro possiedono innatamente, che noi giovani dinosauri faticheremo sempre ad applicare, che i nostri genitori si sogneranno di capire per quanto proveranno a sforzarsi.

Perdonate la fretta della trattazione, ma mi preme chiudere con queste considerazioni perchè voglio che siano un buon auspicio per quella bambina con capelli e occhi nerissimi che è Maya, la figlia della mia vicina.