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Ale, Teo, Vì (Concerto - Presto) // Prima parte

Preludio (Teo - Presto)

“Teo?”
“Sì, chi è?”
“Sono Sonia, la ragazza di ieri sera.”
Sonia, la cassiera del Game Over.
“Volevo chiederti se avessi impegni per stasera...”
“Mmh, impegni?.., no! Sono completamente privo di impegni al momento.”
“Ah, bene...perchè oggi avrei il giorno libero e...ecco, mi chiedevo se ti andasse di incontrarci per un aperitivo.”
“Certamente.”
“Pensavo al Daydrinking, è un posto carino, ci sei mai stato?”
“No. Dov'è?”
“Hai presente il quartiere di Porta Augusta?”
“Sì.”
Tombola.
“Allora, da Porta Augusta prendi a destra in Via delle Ceneri, continui per un paio di fermate superando la Coop, il pronto soccorso e la facoltà di Medicina. Là troverai un parcheggio da dove si vede un Blockbuster in lontananza, lo raggiungi e sei in via Aldo Moro, a quel punto continui in discesa per un centinaio di metri e prendi la prima a sinistra in Via delle Campagne. Tutto chiaro?”
“Ceneri a destra, filmacci al centro e campagne a sinistra. Niente di più facile.”
“A stasera allora.”
“A stasera, cara. Ciao.”
A che ora aveva detto Sonia? Soprattutto, si era parlato di orari al telefono con Sonia?
“Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo” urlò Teo guardando il soffitto, e più probabilmente oltre, “Che imbecille...a che ora va a fare l'aperitivo la gente normale? Alle sei? Troppo presto, entro e mi ritrovo da solo in un posto sconosciuto. Alle sette? Magari è già li che mi aspetta pensando che sono uno di quelli che se lo tira, appena entro mi stampa uno schiaffo in faccia e se ne va. Fantastico, Teo, davvero fantastico.”
Insomma, dilaniato dal dubbio, Teo alle cinque e mezza si aggirava già avanti al Blockbuster. In tre minuti, forse a causa degli ormoni che gli avevano amplificato il senso dell'orientamento e velocizzato le gambe, era già davanti al Daydrinking. Che era chiuso.
“SO-NO-U-NO-STRON-ZO. STRON-ZO STRON-ZO STRON-ZO” urlò al suo riflesso su una vetrina di un negozio di cosmetica.

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Presto)

Vì entrò in casa. Andò in cucina, appoggiò la borsa, prese uno di quei bicchieri da una pinta rubati al locale, lo riempì d'acqua e se lo svuotò in quattro secondi scarsi. Poi la sua attenzione fu rapita da quella macchietta rosa sul frigo. Era un post-it.
“SONO AL DAYDRINKING. SPERO DI TORNARE DOMANI. Teo”.
Vì sapeva bene che Teo scriveva in maiuscolo solo quando era molto felice. Fece un ghigno satanico, accompagnato da una sinistra risata, e cercò il cellulare.
“Ale?”
“Ciao Vì, dimmi tutto”
“Non indovineresti mai!”
“Vuoi regalarmi mille euro?”
“Meglio. Teo ha un appuntamento. Adesso. E so dove.”
“Mi stai dicendo di andare a pedinarlo e di sabotargli la serata?”
“Tu mi leggi dentro.”
“Arrivo.”
Forse Ale sapeva deformare il tempo e lo spazio, forse Ale era il fratello illegittimo di Flash, fatto sta che in undici minuti undici suonò al campanello di Vì, che forse sapeva teletrasportarsi, che forse era la sorella illegittima del fratello illegittimo di Flash, fatto sta che undici secondi undici apparve dal pianerottolo delle scale ad Ale.
“Daydrinking. Subito.”
“Lo conosco, ci ho fatto un paio di serate l'anno scorso. E' dalle parti della facoltà di Medicina. Un cesso di posto. Uno di quelli in cui se non prendi qualche cocktail fosforescente ti guardano storto. Andiamo.”
Passarono il tragitto a fantasticare su chi potesse essere la ragazza con cui doveva vedersi Teo. Il ventaglio delle possibilità era molto ampio. Era un soggetto talmente strano che poteva effettivamente incontrare chiunque. Continuarono così a camminare, ridere e chiacchierare.
Il locale apriva alle sei e Teo in quel momento rimpianse di non fumare. Aspettò smanioso la fatidica ora e non appena si aprì la porta si fiondò dentro a farsi una birra ristoratrice. Alle sei e mezzo cominciò ad entrare qualche coppia e qualche gruppetto di amici, ma di Sonia non c'era neanche l'ombra, e Teo continuava a ristorarsi. Alle sette uno squillo all'ormai ubriaco ma stakhanovista eroe annunciava l'arrivo di Sonia. Corse in bagno a recuperare un aspetto umano e tornò a sedersi al suo posto accuratamente scelto, proprio davanti l'entrata. Alle sette e un quarto finalmente Sonia entrò.
“Ciao, Teo” bacio bacio “è molto che aspetti?”
“Ma scherzi? Sono qua da cinque minuti appena.”
Il suo alito al luppolo avrebbe potuto testimoniare il contrario.
Alle sette e mezzo una curiosa coppia varcò la soglia del locale. Una biondina vestita da abat-jour e uno spillo poco più alto che riempiva a fatica una stravagante camicia si sedettero al tavolo più in ombra di tutto il locale.
"Ma io la conosco, Vì, la conosco!"
"E chi sarebbe?"
“E' Sonia, la cameriera del Game Over...hai capito il buon vecchio Teo!”
“Non l'ho mai sentita nominare. L'ho mai vista?”
“Non penso. Ci siamo stati l'altra sera al Game Over, mentre tu eri occupata con Pablo.”
"Io non ero con Pablo, ero a casa. Da sola."
"Da sola con Pablo."
"Guarda che vermante non l'ho più visto dalla settimana scorsa."
"Va bene, il punto non è Pablo...però te lo devo chiedere: perchè proprio lui?" Ale non riusciva in nessun caso ad andare dritto al punto.
“Dai non me la far pesare! Già ti lascio immaginare quante me ne può aver dette Teo!”
“Ma gli hai fatto male?”
“Basta con questa storia! Ma che c'avete tutti? Poi dite della solidarietà femminile.”
“Dài che scherzo. Comunque, tornando a Teo, ieri stavamo chiacchierando seduti al bancone quando si accorse della rosa dei venti che lei aveva tatuata alla base del collo poco sotto l'attaccatura dei capelli. Da allora perse la testa e cominciò a tacchinarla fino allo sfinimento. Lei non sembrava troppo convinta, ma alla fine lui le scrisse il numero di telefono sullo scontrino dell'ultima birra.”
“Dai fammi guardare, cambiamoci di posto.”
Sonia si dimostrò una ragazza inaspettatamente brillante, di quelle che amano condurre la discussione, e Teo, nelle precarie condizioni psicofisiche in cui si trovava, reggeva a fatica la conversazione. Inoltre quel miscuglio violaceo nel bicchiere che aveva appena ordinato la ragazza con la rosa dei venti non prometteva niente di buono.
Parlarono di musica.
“Io facevo il dee-jay al Katakali fino a qualche mese fa!” se ne uscì trionfante il buon Teo.
“Allora ho un appuntamento con un vip!”
“Oddio, non è che fossi proprio un dee-jay, diciamo che mettevo su una canzone dopo l'altra a seconda del tema della serata...non avevo neanche un nome d'arte...neanche il computer era mio a dir la verità. Rut, il padrone, mi lasciava usare il suo...in realtà la maggior parte delle volte caricavo la play-list, schiacciavo play e tornavo in postazione all'ultima canzone per caricarne una nuova...potresti far finta che io non mai abbia pronunciato le ultime quattro frasi?”
Parlarono delle rispettive passioni.
“Oddio non mi definirei un patito del calcio, seguo qualche partita ogni tanto, giusto la Champions League, il campionato la Domenica pomeriggio a tempo perso, il posticipo serale...mondiali ed europei? Bah, solo le partite dell'Italia...del Brasile e dell'Argentina...a volte della Francia e della Germania, ma solo se non ho niente di meglio da fare.”
Parlarono della vita notturna universitaria.
“ Bè oltre al Katakali mi piace frequentare il...Cleb, il...pub di Gerri Il Lercio, anche se è più una taverna in effetti...ma non così spesso, poi. Ieri sera il Game Over mi è piaciuto molto.”
“Lo odio quel postaccio di merda, ti schiavizzano per quattro soldi.”
Parlarono, infine, di scuola.
“Seguo molto la vita in facoltà, le lezioni, i seminari, le...iniziative culturali...”
Insomma le cose non stavano andando proprio alla grande. Teo, durante la mezz'ora spesa ad aspettare che il locale aprisse e l'oretta abbondante davanti lo spillatore si era immaginato brillante, con una parlantina avvolgente. Si era immaginato di accoglierla con uno di quegli apprezzamenti da farla rimanere folgorata, di rapirla con qualche battuta sagace, di farla innamorare come mai in vita sua e di lasciarla, dopo una nottata di sesso sfrenato, ad aspettare ansiosa un suo messaggio, squillo o qualsiasi cosa fosse. Ma la realtà era ben diversa.
Poi venne la parte difficile.
Venne fuori che Sonia non era affatto vegetariana, ma la carne non la mangiava; che i romanzi di Moccia erano pattume, sì, ma che andava riconosciuto loro il merito di aver riportato una generazione a leggere; che Vasco Rossi non le piaceva, d'accordo, ma rimaneva pur sempre la storia del rock italiano; che del macchinone se ne fregava, ma un principe azzurro non ti viene mica a prendere con il Ciao; che non ci credeva mica nell'astrologia, ma l'oroscopo lo leggeva ogni sera prima di uscire; che il Feng Shui e la New Age non sono cose serie, ma tentar non nuoce. Che giudicare non spetta a noi. Che criticare senza proporre alternative è da vigliacchi. Che una rondine non fa primavera.
“Teo sta per esplodere. Ha la classica faccia di chi vorrebbe avere una motosega tra le mani.” disse Vì, osservando attentamente lo spettacolo per cui non aveva pagato il biglietto.
I suoi ormoni pregavano Teo di rimanere zitto, ma la sua misantropia e il suo cinismo lo spingevano a lasciare Sonia stesa a terra priva di vita, a prendere a calci la sua carcassa e a scrivere Helter Skelter sul muro con il suo sangue. Così, dilaniato da questo scontro interiore, con una vocina flebile riuscì appena a dire: “Perchè la rosa dei venti?”
“Ah, il tatuaggio. Ti piace? L'ho fatto in corrispondenza del terzo chakra, il Vishudda Chakra, quello che è responsabile del funzionamento della lingua, della bocca, della pelle e delle braccia, gli organi mediante i quali comunichiamo.”
“Ma pensa un po'...interessante...”
“Inoltre, secondo il Reiki...lo conosci vero, il Reiki? Secondo il Reiki, appunto, ogni chakra ha delle peculiari caratteristiche che ti trasmette quando riesci ad attivarlo, quelle del Vishudda sono il rispetto di sè, l'amore verso l'umanità e la relazione non possessiva nei confronti della famiglia e degli amici.”
“Non possessiva verso gli amici...mmh...” ribattè sempre più attonito.
“Pare che secondo la dottrina prevalente...”
“Dottrina prevalente?”
“Sì...secondo questi studiosi, insomma, attivare questo chakra è essenziale per accedere al mondo spirituale.”
“...mondo spirituale...”
Quella che gocciolava dalla bocca di Teo non era saliva, ma schiuma di rabbia.
“Poi la rosa dei venti mi piaceva di più come disegno rispetto a quello del Vishudda Chakra.”
L'antroposofia erano francamente troppo. Infatti un minuto dopo Teo era fuori dal locale che tirava madonne qua e là e prendeva a calci i cerchioni di ogni macchina che gli fosse capitata a tiro, e mentre imponeva delle audaci metamorfosi a più o meno tutte le divinità conosciute, sbraitava cose tipo “POSSIBILE CHE NON CI SI PUO' FARE UNA SACROSANTA SCOPATA SENZA SORBIRSI TUTTE 'STE CAZZATE? PERCHE'?”
Ale corse fuori, lo raggiunse, lo prese al collo da dietro e gli disse di calmarsi e che adesso se ne sarebbero andati da Gerri il Lercio a farsi una birra distensiva, o magari un vagone di birra distensiva, data la situazione. Intanto Vì era andata a parlare ad una incredula Sonia dicendole che per Teo era un periodaccio, che era stato appena bocciato ad un esame cui teneva molto, che, essendo un tipo molto sensibile, stava soffrendo molto per il nonno che aveva appena scoperto di non stare affatto bene e che bisognava provare a capirlo, poverino.
Sulla via per il Katakali il bollettino della guerriglia urbana personale di Teo incrementò vertiginosamente. In meno di due chilometri aveva fatto fuori otto specchietti, due della stessa macchina che a quanto pare l'aveva ispirato particolarmente, aveva preso a calci tutti i cassonetti dell'immondizia incontrati e aveva vistosamente ammaccato ogni cassetta dove imbucare le lettere.
“Qui le cose peggiorano, questo fra poco tira fuori il napalm dalle tasche! Dobbiamo sedarlo in qualche modo.” disse un Ale piuttosto preoccupato.
Nel sentire la parola “sedare” a Vì venne l'illuminazione.
“Ce l'ho! Passiamo a casa.”
“A casa?”
“Si, ti spiego quando saremo arrivati.”
Quando giunsero davanti il loro palazzo Teo aveva finalmente finito di distruggere e devastare. Entrarono e si avviarono alle scale quando Ale commise l'imperdonabile errore di lasciarsi sfuggire Teo, quando se ne accorse lo trovò davanti alla porta dell'avvocato, con le mani appoggiate a palmi aperti sull'inguine, che stava per cominciare il suo nuovo show.
“CIUCCIAMI IL C” Ale con uno scatto degno di un centometrista riuscì a placcarlo tappandogli la bocca in tempo. Riuscì a portarlo via porprio mentre l'imbellettato stagista stava aprendo la porta. Vì si gettò verso la cassetta della posta facendo finta di aprirla.
“Oh, salve Vì. Che strano, mi sembrava di aver udito la voce di Teo!”
“...sì...in effetti mi stava giusto ricordando dalle scale di controllare se fosse arrivata qualche bolletta...” provò a giustificarsi lei non troppo convinta.
“Tutto a posto allora! Ti saluto cara, abbi una buona giornata.”
“Ciao.”
Poi la porta si richiuse e lei tirò un sospiro di sollievo. Salì le scale e raggiunse gli altri. Per fortuna Teo era ancora intento ad occuparsi di definire il più accuratamente possibile l'avvocato per accorgersi di essere stato trascinato davanti la porta della coppia del primo piano, altrimenti avrebbe avuto qualche consiglio da dare anche a loro.
Lo fecero entrare, lo misero a sedere e Vì andò in camera sua a prendere la sua scorta mestruale.
Quella che Teo chiamava “scorta mestruale” era in realtà una bustina con dentro qualche grammo di pakistano di cui abusava senza dignità nei magici giorni di Vì. La biondina numero dieci aveva infatti la particolarità di essere assolutamente intrattabile in quei giorni, e dato che la soglia di sopportazione in Teo era ai minimi storici, quando arrivava quel periodo passava più tempo possibile fuori casa e non tornava ficnhè non avesse trovato una giusta dose di sedativo. Si chiudeva in camera, evitando accuratamente ogni incontro con la sua coinquilina posseduta dal ciclo, e si distruggeva di canne fin quando non sveniva esanime sul letto.
Scosso com'era dalla furiosa rabbia Teo non riusciva neanche a muovere le dita, così Vì prese in mano la situazione e nel giro di un minuto scarso rollò una canna talmente perfetta da meritarsi un posto d'onore al MOMA.
“E tu da quando sai far le canne con tanta maestria?” le chiese Ale.
“E tu da quanto mi conosci?”
Silenzio.
Lo lasciarono steso sul letto a fumare, e piano piano i suoi grugniti di rabbia si placarono fino a diventare semplici imprecazioni ben scandite. Dopo una decina di minuti il paziente uscì dalla camera con un sorrisello stampato e l'occhietto un po' arrossato. Fu chiaro che potevano riportarlo fuori senza dover più temere la devastazione totale.
Da Gerri il Lercio Teo riuscì a recuperare, insieme alla ragione, addirittura un po' di autoironia.
“Ma è così insopportabile Sonia? Insomma è una bella ragazza e ieri sembrava anche molto spigliata!” chiese Ale.
“Come posso spiegarti...mmh...ecco: è come una canzone della Pausini.”
“Cioè?”
“Petulante ed orribile?” intervenne decisa Vì.
“Esatto. Pensate che è riuscita a nominare Vasco Rossi, il Feng Shui, Moccia e i sette chakra nello stesso discorso.”
“O cazzo. Ti capisco fratello. Ti capisco.” disse Ale porgendo le porpire nocche all'amico provato.

Interludio

Vì decise in quel momento che Sonia sarebbe dovuta entrare di diritto nella classifica delle migliori tre ragazze della vita di Teo dell'ultimo anno. La biondina tutto pepe aveva infatti appeso un foglio in cucina in cui aveva classificato tali fanciulle, chiamandole con dei nomi fittizzi rappresentanti dello stato d'animo provocato dalla loro presenza, giusto per mantenere l'anonimato. Per far capire il meccanismo basti dire che Vì affibbiò a Sonia il nuovo nome di Fastidio. Fastidio era entrata direttamente in terza posizione, sorpassando Ansia.
Ansia era una ragazza simpatica e carina, collega di studiTeo, ma aveva il limite di possedere solo due espressioni alternative. La prima, quella che serviva ad esprimere preoccupazione, la usava quando incontrava Teo in facoltà, e consisteva nell'esclamare “CiaoTeocomestainontihovistoierialezionechetièsuccesso?”.
L'altra espressione, era riservata agli incontri casuali, sempre con Teo, che il fato le riservava fuori dal contesto scolastico. Questa seconda espressione, usata per esprimere stupore, e decisamente più elaborata, si concretizzava in “Maguardachisivede!Teononavreimaipensatodiincontrareuntipocometeinunpostodelgenere!Chebellochebellochebello!”.
Al secondo posto, stabile da sempre c'era Terrore.
Terrore era un'amica di Teo dall'anno del suo esordio universitario. Quando la conobbe era una ragazza normale, poi si mise con il chitarrista di un gruppo psichedelico dell'underground cittadino e perse completamente la ragione. Terrore aveva smesso di mangiare e di dormire perchè, a detta sua, erano attività che ti sottraevano tempo da vivere. In compenso beveva come una fogna, nel senso che beveva molto e solo cose strane e dall'odore nauseante, e non disprezzava l'assunzione saltuaria di lisergici e oppiacei. Il nome Terrore le era stato appioppato da Vì perchè era talmente magra che dava l'impressione di spirarti tra le braccia ogni volta che ti parlava, che quello che usciva dalla sua bocca non era fiato, ma l'anima che tentava inutilmente di scappare da un corpo totalmente devastato da una mente malata.
Al primo posto, inamovibile e irraggiungibile, c'era Bitume. D'accordo bitume non è certamente uno stato d'animo, ma Vì considerò che non sarebbe mai riuscita a trovare un'altra parola in grado di descrivere meglio quella cosa. Bitume era così grassa che quando si sedeva sul divano le sue gambe scomparivano fino al ginocchio, ma la vera ragione che spinse la cantante biondina a darle quel marchio distintivo andava oltre i suoi problemi di obesità. Bitume era tremendamente appiccicosa con Teo, ogni volta che lo vedeva gli saltava, metaforicamente parlando, addosso. Era anche la ragazza che l'aveva spinta a stilare tale classifica, quindi difficilmente sarebbe stata spodestata dal trono. A Vì il suo coinquilino non volle mai raccontare come conobbe Bitume e lei cominciò a sospettare che tra i due potesse essere successo qualcosa di veramente raccapricciante. Forse una sbronza nel momento sbagliato, un incontro maledetto, un letto rinforzato e migliaia di euro spesi in psicoanalisi...forse, chi sa.
Ultimamente era stato aggiunto un nome sul foglio in cui la creativa calciatrice aveva stilato tale classifica. Scritto sopra il podio, come a significare fuori competizione. Il nome era Dubbio. Quando lo vide Vì chiese curiosa a Teo
“Cosa mi sono persa ieri sera?”
“Niente stupida, sei tu Dubbio.”
“Perchè Dubbio?”
“Perchè non mi spiego per quale ragione io non ti abbia ancora picchiata selvaggiamente.”
“Perchè ne prenderesti di santa ragione.”
Ferito nel profondo da quella risposta, Teo prese una penna, tirò una riga sopra Dubbio e a fianco scrisse Astio.
Astio e Teo, a proposito di nomi, si erano anche presi la briga di rinominare le più significative giornate di Ale. Incancellabili nella mente di Teo rimasero le due giornate in cui Ale smaltì l'influenza sul loro divano: Stand-by e Chiasmo.
La giornata Stand-by iniziò quando Ale si svegliò dal divano del loro appartamento per tornarsene a casa dopo una notte brava, ma si accorse di essere raffreddato e febbricitante. Prese una coperta, si allungò nuovamente sul divano e non si mosse più fino alla mattina successiva. Neanche accese la televisione. Quel pomeriggio, abbastanza preoccupata, Vì gli consigliò almeno di girarsi per evitare la formazione di fastidiose piaghe da decubito sul suo sedere.
Chiasmo fu invece la giornata successiva. Quel giorno Ale, una volta sveglio, rimase sdraiato per alcune ore sempre sul divano della casa non sua, poi si mise seduto. A pranzo si alzò per andare in bagno dopo trenta ore e quando tornò si rimise seduto per un paio d'ore, poi si sdraiò.
Dubbio, invece, di Ale ricordava con maggiore entusiasmo la giornata rinominata Franklin Delano Roosevelt. Fu il giorno in cui Ale finalmente si decise a fare il punto della situazione con Vanessa, di capire che così non poteva andare avanti e di adoperarsi per uscire dalla crisi, di cominciare il suo Nuovo Corso.
“Troppa poesia sprecata, stai parlando di Ale.” Commentò Teo l'uscita di Vì.
“Forse hai ragione, ma resta comunque un fatto molto importante nella sua vita.”
“Non parlate come se io non ci fossi!” si intromise Ale.
“Sta zitto, sono cose che non ti riguardano.” rispose Teo.

STOP

Terminato il giro di birre per calmare Teo, i tre uscirono. Ale se ne andò stranamente di sua volontà verso la sua reggia.
Tornando a casa Teo chiese a Vì come Sonia avesse preso la sua sfuriata.
“Diciamo che andarti a denunciare non sarà la prima cosa che farà domattina. Spero.”
“...vabbè...grazie comunque del tentativo.”
“Devi imparare ad essere un po' più diplomatico. A vederti da fuori sembra che ci provi gusto a distruggerti la vita.”
Fece una pausa.
“Stupido”, aggiunse poi.
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Ale (Sonata - Presto)

L'estate stava arrivando. Era già la fine di Giugno, ma quest'anno sembrava che l'estate avesse lasciato alla primavera il compito di illudere, di far credere a tutti che sarebbe stato possibile passeggiare alle undici di mattina, uscire per l'aperitivo in piazza alle sei del pomeriggio. Si sta parlando dell'estate che ti prende al collo come un'anaconda che ti strangola lentamente fino a lasciarti inerme.
Ale guardò Vanessa seduta sul cornicione delle mura appena fuori la tavernaccia di Gerri Il Lercio. Aveva deciso che se doveva andare incontro alla sua propria disfatta, voleva almeno farlo su un terreno amico. Dietro di lei si stagliava enorme il versante ovest della città, illuminato dall'arancione torbido del tramonto. Il vento le buttava i capelli in faccia e questo, se possibile, la rendeva ancora più bella.
Ad Ale, Vanessa era sempre sembrata particolare.
Era costantemente sovrappensiero, non ascoltava mai fino in fondo, ma non lo faceva per snobbismo, no. Sembrava più che altro una con molte idee e poco tempo. Si credeva destinata ad un progetto più grande. Comunque era di compagnia, di sicuro non una con cui pesava uscire. E poi c'era una cosa che Ale amava particolarmente in Vanessa, il fatto che lei credesse nella reincarnazione. Questa sua particolarità aveva molti risvolti pratici. Vanessa trattava ogni essere vivente come trattava se stessa, con cura e attenzione, non uccideva le mosche che le ronzavano in cucina e le zanzare che le deturpavano le gambe nelle notti estive. Inutile dire che questo volto del comportamento di Vanessa al cinico Teo faceva storcere il naso. Non piaceva neanche a Vì, cui non andava troppo a genio il buonismo spicciolo.
Avevano parlato a lungo, lui aveva deciso che era arrivato il momento di andare avanti, per quanto potesse risultargli insopportabile. Voleva portare il loro rapporto nella fase ufficiale, in fondo era quasi un anno che si frequentavano. Lei, però, non fu d'accordo.
Quel pomeriggio ci fu uno strano imbarazzo, per la prima volta Ale non era riuscito a sentirsi a suo agio con lei. Ogni volta che apriva bocca sentiva una tarantola arrampicarsi su per l'esofago, e questo lo disturbava non poco. Tutto era stato già detto e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Avrebbe voluto ripeterle ancora che dalla prima volta in cui lei gli rivolse la parola, lui avrebbe voluto passare la sua vita nel mezzo di quella conversazione, avrebbe voluto farle sapere quanto tempo aveva passato di fronte allo specchio del bagno cercando l'espressione giusta, quella che meglio poteva riflettere il tono delle sue parole.
Avrebbe voluto ficcarle a spintoni in quel cervellino che seguiva logiche tutte sue che si era innamorato veramente, che ora come ora nulla lo avrebbe reso più felice che rimanere con lei per sempre. Per sempre.
Quelle parole che la spaventava tanto: per sempre.
Invece non disse niente. Aveva la faccia di qualcuno che avrebbe continuato a pentirsi per tutta la vita della decisione presa, e anche a Vanessa scappò una lacrima, perchè, in fondo, gli voleva bene.
Ale non riuscì mai a capire i suoi discorsi di non voler sentirsi legata a nessuno, di essere libera. Erano concetti che nella sua testa proprio non ci entravano, come la difesa a cinque, il doppio mediano, e il perchè subaffittare stanze fosse illegale. Quando erano insieme si divertivano, entrambi, e al contrario di quanto sosteneva Teo, Vanessa non frequentava altri ragazzi. Certo però era strana, molto strana, ma ad Ale questo piaceva ancora di più.
La guardò un ultima volta, si strinse le braccia intorno alla polo scura come se fosse stato attraversato da un brivido gelido. In quel momento si sentiva incredibilmente pesante, già respirare era una fatica insopportabile, per non parlare poi di quante energie richiedesse tenere gli occhi aperti. Le riservò un ultimo abbraccio durato un secondo, poi si voltò e se ne andò.
Cestino, click destro, svuota cestino, conferma.
“Teo?”
“Ohi, Ale, sono al supermercato....ascolta, secondo te è possibile che il Primitivo di Manduria possa avere un'aroma vellutato e corposo allo stesso tempo?”
“Tu e Vì. Bar Centrale. Subito. Ho bisogno di bere e non ho voglia di farlo da solo.”
Ora quella tarantola che gli camminava dentro se n'era andata, ma non si sentì meglio, perchè andandosene l'aracnide si era portato via l'esofago, lo stomaco, il fegato ed entrambi le reni. Non percepiva niente dai polmoni fino alle gambe. Ora si sentiva vuoto.
Era questo che intendeva Vanessa quando gli parlava del sentirsi liberi?
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Concerto (Ale, Teo, Vì - Allegro)// Seconda parte

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Allegro)

Suonarono al campanello di Daniela ed entrarono. Lei era al telefono col suo ragazzo, li fece entrare e li pregò di accomodarsi dicendo loro che sarebbe arrivata subito, poi si chiuse in camera per continuare la conversazione. Andarono in cucina e si sedettero vicino ad una delle sue coinquiline che stava affogando nei libri.
Lei saluto Vì. E solo Vì.
Vista l'incredibile vitalità che trasudava dalla coinquilina di Daniela, i tre decisero di andare ad aspettarla in salotto, dove il gatto della ragazza affogata nei libri aspettava sornione Ale, che non appena aprì la porta cominciò a starnutire senza sosta.
“Emergenza felina. Togliete quel cazzo di gatto di torno.”
Teo non poteva certo rimanere indifferente al grido d'aiuto lanciato dal suo amico. Entrò in salone guardando il micio con aria di sfida. L'animale a malapena si curò del suo ingresso da gladiatore. Erano l'uno davanti l'altro, si guardavano negli occhi come per studiare a vicenda le possibili mosse dell'avversario. Teo alzò le mani al cielo come per incitare e ricevere energia dalle urla di un pubblico immaginario.
“Te guarda che razza di scena che deve mettere in piedi quell'imbecille per prendere un gatto mezzo addormentato.” esclamò Vì.
“Ad ogni modo digli di sbrigarsi.” disse Ale cercando di non soffocare tra gli starnuti.
Il felino, intanto, che aveva fiutato la carica di tensione che si era andata creando nell'aria, si era alzato in piedi e aveva cominciato a dondolare la coda per confondere gli occhi attenti dell'umano. Teo si lanciò sul divano con le braccia protese in avanti, ma quando impattò il soffice oggetto il gatto era in piedi sulla sua testa. Si girò repentinamente e riuscì ad afferargli la coda, ma il felino si divincolò e, con il balzo tanto caro alla sua specie, andò ad atterrare al centro del tavolo della sala. Allora Teo si alzò di scatto e cominciò ad aggirarsi intorno al tavolo, fissando il suo nemico negli occhi. Mormorò anche qualcosa del tipo “non ti mollo”, ma Vì non fu sicura, o non volle credere, di averlo sentito. Improvvisamente l'inafferrabile creatura scattò verso sinistra, Teo si tuffò come il miglior Buffon, ma era solo una finta. Il micio tornò sui suoi passi e se ne andò verso destra finendo sul davanzale della finestra, sottolineando con uno sbadiglio e un'aggiustata ai baffi la semplicità con la quale si era liberto del cacciatore. Da terra Teo fece i complimenti all'abile mossa del suo nemico mortale, si impresse bene in mente la lezione ricevuta e si tirò nuovamente in piedi.
“Non posso credere a quello che sto vedendo!” commentò Vì.
“ODDIO MUOIOOOOOO.” urlò un Ale agonizzante in un ultimo impeto di vita.
Teo analizzò il campo di battaglia e notò che le tende erano raccolte a sinistra del davanzale, allora fissò il felino dribblomane e gli si gettò addosso da destra. Il micietto spaventato si gettò d'istinto dalla parte opposta andando ad incastrarsi dritto dritto nella tendina della finestra. Il gladiatore da salotto allora scattò da terra verso la tenda, si alzò e afferrò il gatto intento a divincolarsi. Lo prese per le zampe anteriori, si girò verso Vì e Ale, che ormai arrancava in ginocchio sconfitto dalla sua allergia, e lo alzò in aria come fosse la Coppa del Mondo. Cominciò anche ad intonare l'Inno alla Gioia.
“E' sicuramente la cosa più grottesca che io abbia mai visto.” disse un'incredula Vì.
“TI SBRIGHI A LEVARE QUEL CAZZO DI COSO?”
Teo aprì la porta finestra del terrazzo e appoggiò a terra, con molto rispetto, il nemico di una faticosa battaglia. Appena toccato il suolo con tutte quattro le zampe il felino rientrò in salotto, passando sotto le gambe del povero gladiatore, con una naturalezza e una tranquillità fuori dal comune. Un tunnel in piena regola.
Teo, sbigottito, urlò contro il cielo come faceva Ligabue nei suoi concerti, solo che nei suoi concerti Ligabue non bestemmiava.
A quel punto entrò in scena Vì, si diresse verso la finestra, scanzò Teo, guardò il tenero micietto, allungò lentamente una mano verso di lui, mosse le dita, schioccò dolcemente un paio di volte la lingua sul palato e il gattino le venne ad annusare le mani. Vì lo prese in braccio, lo portò sul terrazzo e chiuse la porta.
“Imbecille.” disse rivolgendosi a Teo. Poi si girò “Ale, ora puoi entrare.”
“Vì, tu li stai sottovalutando, i felini ci stanno studiando...”
“Oddio non cominciare, ti prego.”
“...ci stanno facendo credere di essere animali domestici, di amare le coccole, invece stanno studiando le nostre abitudini, i nostri schemi...”
“Teo, vaffanculo.”
“...un giorno ci colpiranno Vì, un giorno si ribelleranno e prenderanno possesso del pianeta, è scritto...”
“Vaffanculo.”
“...non parlarmi così, te ne pentirai quando sarai un loro ostaggio, quando la tua sola funzione sarà quella di soddisfare gli appetiti sessuali del Felino Supremo...”
“Che schifo, Teo...un gatto!”
“...non un gatto, Vì...Il Gatto, il nuovo Padrone del Mondo.”
“Teo?”
“Si?”
“VAFFANCULO.”
Nel giro di qualche minuto Ale tornò a respirare e addirittura riacquistò un colorito umano.
“Una casa così grande e ci vivono solamente in due?” osservò, completamento rimesso, lui che ormai vedeva ogni casa come un possibile investimento.
“Calmo, palazzinaro, ci sono anche altre due sorelle nella doppia, ma abitano qua vicino e fanno la settimana corta. Torneranno stasera penso.” gli fece sapere Vì.
Dieci minuti erano già trascorsi e Daniela era ancora presa a pomiciare virtualmente con la sua dolce metà via telefono chiusa in camera sua. Vì accese la televisione in cerca di distrazioni, ma non ne trovò molte.
Venti minuti. La televisone continuava a vomitare parole senza un preciso ordine logico. Si accorse di non aver mai osservato bene la televisione negli ultimi dieci anni, di non aver mai colto la palese vacuità del tutto.
Trenta minuti. Dalla stanza di Daniela fuoriusciva un'infinita serie di riattacca tu, no prima tu, no prima tu, prima tu, prima tu, prima tu, no io no, no io no, io no, io no.
“Sto per vomitera sopra il regalo.” disse un'astioso Teo.
“Hai dei seri problemi con la rabbia. Mai pensato di farti vedere? Se non ti curi prima o poi morirari di infarto.”
“Così non mi sei d'aiuto, Vì.”
“Ma lo dico per il tuo bene! Senza considerare poi eventuali gastriti, la crescente compromissione della capacità di concentrarti, l'ulcera perforante...”
“Se continui mi vedrò costretto a farti del male.”
“...l'aumento esponenziale delle possibilità di beccarsi un'aneurisma, la progressiva perdita dei capelli...”
In tutto questo Ale si era addormentato subito dopo aver capito che sull'appartamento di Daniela non c'era modo di lucrare. Da circa ventinove minuti quindi.
Poi, finalmente, Daniela uscì dalla sua camera.

Sinfonia (Ale, Daniela, Teo, Vì - Allegro)

“Oddio, Ale si è addormentato! Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto.”
“Non preoccuparti per noi Dani. In quanto a Ale è molto stanco, è venuto a piedi da casa nostra.”
“E perchè mai a piedi?”
“Una lunga storia...” si intromise Teo.
I tre decisero di lasciarlo dormire ancora sul divano.
Il regalo a Daniela piacque molto, naturalmente era stata Vì ad entrare nel negozio, scegliere l'articolo e confezionarlo a casa, Teo aveva avuto solo incarichi di rappresentanza e di supporto morale. Gli stivaletti bianchi le stavano effettivamente bene, ma Teo si era già immaginato la scena di Daniela che scartava il suo nuovissimo e merlatissimo reggiseno e, talmente impressionata dal regalo, si spogliava davanti a loro per provarselo.
Entusiasta dei suoi nuovi stivaletti Daniela invitò i tre a fermarsi a cena, proposta che accettarono ben volentieri. Ale ancora dormiva.
“Dani, come si chiama il gatto?” chiese curioso Teo.
“In nome di dio non chiederglielo!” esclamò disperata Vì.
“Per conoscere il nome del guerriero che mi ha sconfitto.”
“Guerriero? Sconfitto? Mi sono persa qualcosa?”
“Nulla che abbia senso.” disse ancora Vì.
"Kitty! Si chiama Kitty."
“Come Kitty? Che vuol dire Kitty? E' una...?”
“...gattina! Una tenera gattina.” le spiegò Daniela.
“Ah ah, questa non te l'aspettavi eh? Come ci si sente ad essere stato umiliato dalla TERRIBILE Kitty?” infierì lei con tanto di risata beffarda.
“...un po' disorientati devo dire...”
“Continuo a non capire.” affermò nuovamente Daniela.
“Non preoccuparti, oggi Teo è più stupido del solito...ma secondo voi è il caso di svegliare Ale?”
“A noi non da fastidio sul divano, lasciatelo riposare pure.” disse Daniela.
“Adesso lo sveglio, così ci da una mano in cucina, non lo diresti mai ma è un discreto cuoco.”
E dopo aver parlato Teo si diresse verso il divano.
“Che tosti i miei uomini! Entrambi sconfitti dalla terrificante Kitty, l'essere forgiato dalle tenebre nel ventre degli inferi per distruggere l'umanità a colpi di...fusa!!” esclamò Vì.
[*]“Sai benissimo che poteva solo andarti peggio.” ribattè Daniela “Ti volgiono bene come se ne vuole ad una sorella, sono simpatici, gentili, svitati al punto giusto, mai banali. Un po' inaffidabili ma mica puoi pretendere tutto, no?” [*]
“In effetti ogni giorno non saprai mai in che guaio si e ti caccerà Ale, e quale stratagemma stravagante troverà Teo per tirarcene fuori. Di annoiarmi non ho certo tempo!”
Si diressero verso la cucina e cominciarono a preparare qualcosa. Pochi minuti dopo arrivarono anche Teo e Ale che aiutarono, senza ammazzarsi di fatica, in tutte le fasi della preparazione. A cena i quattro si divertirono molto, soprattutto quando Ale e Teo raccontarono la loro personale serata di cui Daniela era all'oscuro.
Poi Daniela propose un argomento che sollevò un'animata discussione.
Daniela: ”Che ne dite se la settimana prossima andassimo alla festa di carnevale?”
Vì: “Ci sto!”
Ale: “Decisamente si.”
Teo: “Assolutamente no.”
Tutti tranne Teo: “Perchè?”
Teo: “Perchè no!”
Vì: “Che due palle Teo, puoi evitare per una volta di fare l'asociale?”
Teo: “No.”
Vì: “Stai diventando monotono.”
Teo: “Allora visto che sto diventando monotono, facciamo così: invece di dire no, da adesso in poi quando vorrò dire no darò una sberla a Ale.”
Tutti tranne Teo: “...”
Daniela: “Eddai Teo, che ti costa? Abbiamo il passaggio in macchina e poi la festa è a Medicina, non si paga neanche l'ingresso!”
Sberla.
Ale: “Ahia."
Vì: “Senti lo sappiamo che non ti piacciono i posti affollati, ma ci divertiremo!”
Sberla.
Ale: “AHIA, ma non puoi infastidire Vì?”
Sberla.
Daniela: “Guarda che nemmeno mascherarsi è obbligatorio!”
Sberla.
Ale: “Cazzo Teo, mi lasci mangiare almeno?”
Sberla.
Ale: ”BASTA PORCA PUTTANA!”
Teo: “E certo, vado li senza maschera a fare la figura dell'imbecille in mezzo ad una mandria di cerebrolesi!”
Vì: “Dani, sai da cosa potremmo vestirci?”
Daniela: “Stai pensando quello che penso io?”
Vì: “Credo proprio di si!”
Ale: “Ehi, ma di cosa state parlando?”
Teo: “Di vestiti ovvio! Ormai sono partite, non possiamo piu' fermarle!”
Vì: “E no caro, non penserai mica di cavartela così! Ti renderò la vita difficile finché non accetterai di venire.”
Sberla.
Ale: “E QUESTA PER COSA CAZZO ERA? NON HA MICA FATTO UNA DOMANDA!”
Teo: “Scusa, è l'abitudine!”
Vì: “Non ti darò tregua!”
Teo: “Non ce la farai mai.”
Vì: “Vedremo.”
Daniela: “Dài, Teo, tanto lo sappiamo tutti che alla fine ti diverti come un matto in queste situazioni, non fare sempre il prezioso!”.
Sberla.
Ale: “La piantiamo per favore?”
Niente sberla.
Ale (sorpreso e con le mani intorno alla testa): “Bé...?”
Teo: “ Questa volta sono d'accordo con te, ma se proprio ti ci sei affezionato, beh...”
Sberla
Ale: "CAZZO."
Daniela: “Allora è deciso, Giovedì prossimo tutti alla festa di Medicina. Ale, almeno tu, trovati un costume decente.”
Ale: “Non preoccuparti, ho già in mente qualcosa di grosso.”
Teo: “Perchè mi stai guardando?”
Ale: “Lo scoprirari.”
Vì: “Teo, al tuo vestito ci penso io.”
Teo: “Fate come volete, tanto io non verrò mai.”
Vì: “Dani non preoccuparti, lascia fare a me. Conta anche lui per un posto in macchina.”
Sberla.
Ale: ”Ehi, pensavo fosse finita!”
Sberla
Ale: “Dani, c'è un posto anche per Vanessa?”
Daniela: “Mmh...con lei saremo in sei, ma sicuramente ci sarà anche qualche altra macchina. Non ci dovrebbero esseri problemi, comunque domani chiamo e ti faccio sapere meglio.”
Teo: “Guarda che siete cinque.”
Vì: “Non esiste, tu vieni dovessi trascinarti per le caviglie.”
Teo: “Ammettilo che non puoi stare senza di me!”
Vì: “Non saprei chi offendere e picchiare per sfogarmi.”
Daniela: “Di posti in macchina ce ne sono di sicuro, non preoccuparti. Ale, mi raccomando, di anche a Vanessa di mascherarsi.”
Ale: “Non preoccuparti, ama fare queste cose.”
Vì: “Che stai facendo stronzo?”
Teo: “Pensavo non lo mangiassi!”
Vì: “Ma ti pare che mi devi fregare le cose dal piatto!”
Teo: “E' un peccato sprecarlo!”
Vì: “E CHI TI HA DETTO CHE NON LO AVREI MANGIATO?”
Teo: “Allora la prossima volta mangia invece di chiacchierare.”
Vì: “Ti odio maledetto.”
In tutto questo la sua coinquilina non spiccicò una parola, forse non poteva credere a quello che stava vedendo. Appena finito di cenare se ne andò in camera sua, mentre gli altri, come da copione, guardarono la parte finale del posticipo prima, e la Domenica Sportiva poi.
Alla fine del palinsesto calcistico Ale e Teo se ne andarono. Vì decise di fermarsi ancora un po'.
“Scusa ma a questo punto fermati a dormire qua!” disse Teo a Vì.
“Oh oh oh, ma senti senti chi si preoccupa per me! E poi sarei io quella premurosa?”
“Non sono preoccupato.”
“Allora perchè dovrei fermarmi a dormire qua? Ci sono pulman fino alle una e mezza di notte.”
“Fa' un po' come ti pare. Per una volta che uno vuole fare la personcina a modo! Ciao ragazze.”
“Ciao cari.” li salutò Daniela.

Duetto (Dani, Vì - Adagio)

“Come stai?”
“In che senso, Dani?”
“Nel senso, come ti senti?”
“Appesantita dalla cena che però era molto buona.”
“Teo ti ha contagiata?”
Vì sorrise: "Sì, me ne sto accorgendo piano piano.", poi si fece seria “Sto bene. Inaspettatamente e dannatamente bene.”
“Inaspettatamente?”
“Bè, sai...non mi sarei aspettata che quest'anno sarebbe stato così bello!”
“Perchè?”
“Così, era una sensazione, niente di concreto. Troppe cose che non ero ancora riuscita a lasciarmi indietro, gli anni da recuperare all'università, il fatto di andare ad abitare da sola con un ragazzo di tre anni più piccolo. Chi l'avrebbe mai detto che è proprio grazie a quei due scemi terrorrizati da una gattina che sono di nuovo felice.”
“Ora ti manca solo un ragazzo!”
“Dani, non ricominciare. Ti ho già detto che non voglio parlare di quest'argomento. Sto finalmente bene così dopo tanto tempo, quando ne avrò voglia, quando ne sentirò il bisogno, mi darò da fare per trovarlo. Per adesso ci sono due quasi uomini nella mia vita e mi bastano quelli.”
“Non ci credo, ti sono bastati sei mesi per affezionarti? A te? Alla gelida Vì? Stai invecchiando, cara.”
“E cosa vuoi? Si cambia nella vita. Poi loro sono meglio di qualsiasi fidanzato. Non devi stare li a chiederti ogni minuto se ti vogliono veramente bene, a decidere cosa fare ogni sera, a inventarti qualcosa per spezzare la routine quotidiana, e quando tornano non si aspettano di trovare la casa in ordine e la cena pronta. Non mi trattano né meglio né peggio di qualsiasi altra ragazza, sono semplicemente una di loro. Sai che ho sempre desiderato essere la persona più normale possibile.”
“Tanto di questa storia ne riparleremo. Ho giusto un paio di amici da farti conoscere! A proposito, ti ricordi Andrea?”
“No.”
“Dai quel mio amico che faceva il pizzaiolo?”
“Ah, sì...vagamente...basso, tarchiato e capello lungo?”
“Tarchiato, diciamo fisicato!”
“Diciamo tarchiato che rende meglio l'idea.”
“Vabbè, comunque lui. Si è appena lasciato con la sua ragazza...”
“Oddio Dani che palle! Non sono mica una partita di pesce da piazzare prima che scada! E dai!”
“Ho capito, lasciamo perdere. Comunque mi fa piacere che tu sia felice, veramente.”
Poi Daniela cominciò a sparecchiare.
“Mi aiuti a lavare i piatti?”
“Mmh...NO.”
“Certo che sei proprio una donna di casa tu! Impara almeno a cucinare!”
“E perchè mai? Teo è un funambolo ai fornelli e Ale sarà pure uno scroccone, ma quando si autoinvita non ti fa muovere un muscolo.”
Ci furono un paio di minuti di silenzio, la stanchezza cominciava a farsi sentire.
“Hai più sentito tuo padre?”
“No, ha provato a chiamarmi un paio di volte quando ero giù per Natale, ma non voglio rispondergli. Non adesso per lo meno.”
“Occhei, scusa per la domanda.”
“No, non preoccuparti. E' tutto a posto."
"E a loro l'hai detto?"
“Con Teo ne abbiamo parlato. E' troppo intelligente per tenergli nascosto qualcosa, dopo un mese scarso che ero lì si era già accorto che tutto quello che facevo, almeno all'inizio, lo facevo solo per non avere tempo per pensare. In più è un buon ascoltatore, ti fa sentire a tuo agio a prescindere da quanto sia difficile dire quello che hai da dire. Al contrario di quello che dice, lui non ti giudica mai. Non è affatto difficile parlare con chi non ha pregiudizi. Con Ale non ne ho parlato, non ce n'è mai stata occasione, ma se dovesse capitare lo farei senza problemi.”
Daniela le sorrise, la sua amica era finalmente tornata in pista.
“Che dici, ce ne andiamo a dormire?”
“Ai suoi ordini, dottoressa!”
Teo era già immerso nel suo letto quando si illuminò lo spacefonino. Era un messaggio di Vì, recitava: “Mi fermo a dormire da Dani. Ci vediamo domani.”
Era un lupo solitario, gli piaceva correre da solo, ma fu contento nel sapere al sicuro chi avrebbe corso al suo fianco ancora per qualche tempo.

Sinfonia (Ale, Dani, Teo, Vanessa, Vì)

La sera del Giovedì successivo una scena degna di essere ricordata si stava svolgendo nel salottino della casa di Teo e Vì. La cantante biondina e la sua amica maggiorata erano in completa divisa sportiva, con tanto di scarpe con i tacchetti e calzettoni di lana, Ale era immerso nei jeans e nelle maglie di Teo, e con il cappello rovesciato sembrava proprio un'imitazione biancastra di un rapper americano. Vanessa si era limitata ad arrotolarsi un rotolo di carta igienica intorno alla testa e a disegnarsi un puntino rosso al centro della fronte. In quanto all'asociale Teo, bè, diciamo che non si era ancora deciso ad uscire dalla sua camera.
“Oh ma ti muovi?” urlò impazientemente Vì, con tanto di codino.
“Un attimo, un attimo, l'arte ha bisogno di tempo.”
“Ma hai la minima idea di quale possa essere il suo costume?” chiese Daniela a Vì.
“No, assolutamente no. In tutti questi giorni non ha mai detto niente al riguardo. Lo sai, è Teo.”
“Secondo me è qualcosa di grosso.” disse Ale.
Poi improvvisamente Teo uscì dalla stanza tra lo stupore di tutti. Era vestito come al solito, ma aveva in faccia una maschera da maiale, di quelle in lattice che aderiscono alla pelle del volto.
Ale: “Perchè ti sei vestito da rapinatore?”
Teo: “Rapinatore? Ma sei scemo?”
Ale: “Dài, è uguale a quelle maschere che si usano per andare a rapinare una banca?”
Teo: “Dici? A me sembra più una maschera da maiale, visto che è il muso di un maiale!”
Ale: “Bah, sarà...”
Teo: “E voi due? Devo dire che mi avete sorpreso!”
Daniela: “Visto? Pratico ed economico, in più originale. Il costume perfetto.”
Vì (fissando Daniela con sguardo invidioso): “Già, peccato che questa maglietta larga mostri impietosamente la mia assenza di tette.”
Ale: “Dai non buttarti giù! Noi ti vogliamo bene lo stesso.”
Vì: “Tu sei uno stronzo. E tu, rapinatore, non provare a fiatare!”
Teo: “SONO UN PORCO. UN PORCO. LO VOLETE CAPIRE?”
Seguirono battute scontate e di basso livello, poi risate, poi applausi.
Arrivarono in pochi minuti alla facoltà di Medicina e, come era scontato, non trovarono parcheggio. Naturalmente ci pensò Ale che risolse il problema in pochi minuti sfruttando lo spazio esistente fra la fermata dell'autobus e il lampione della luce.
“Forse è questa la tua vocazione: parcheggiare automezzi!” gli fece notare Teo.
“Fottiti, porco.”
“Finalmente l'hai capita.”
Appena entrati a Teo venne subito il disgusto nel notare come le sue aspettative purtroppo non fossero state tradite. C'era troppa gente all'interno dell'edificio adibito per l'occasione a discoteca, musica assordante e aria irrespirabile. Gli altri impiegarono pochi secondi a farsi trascinare all'euforia della situazione, mentre lui decise che per alleviare la sua repulsione si sarebbe dovuto affidare ancora una volta ai baristi.
“Mi fai una birra? Grande. Molto grande.” chiese al barista.
“Come?”
“UNA BIRRA GRANDE” ripetè sporgendosi sul bancone.
“Vodka?”
“...”
Visto che la parola non era efficae, ripiegò su altri mezzi di comuncazione. Indicò lo spinatore e alzò le mani lasciando fra loro uno spazio di mezzo metro almeno.
“Ah, occhei, capito. Bel costume complimenti. A quando la prossima rapina?”
“SONO UN MAIALE. “ urlò spazientito.
“Certo certo.”
Afferrato il suo palliativo tornò dagli altri. Trovò solo Vì importunata da Qui, Quo e Qua. Evidentemente Ale e Vanessa e Daniela e il suo ragazzo erano già scomparsi negli anfratti più bui dell'edificio. Scansò i tre paperini con la sua grazia tipica, poi si avvicinò alle orecchie di Vì.
“Te l'avevo detto che sarebbe stata una pessima idea. Adesso che facciamo?”
“Adesso vieni a ballare con me!”
“No no.”
Vì lo prese per un braccio e lo trascinò verso la pista da ballo e fu in quel momento che Teo vide quello che non si aspettava. Vide una semplice maschera di plastica bianca contornata da una criniera di stupendi capelli scuri e sostenuta da un corpo incredibilmente stupendo.
“Ferma ferma.” disse a Vì, e continuò “Vieni con me. Anzi apettami qua, torno subito.”
“Vai incontro al tuo sicuro due di picche?”
“Si cara, ma con una dignità incredibile questa volta.”
Raggiunse la ragazza appoggiata al tavolo.
Non aveva ancora deciso come attaccare bottone quando venne colto di sorpresa
"Ma tu sei un suino!" disse, indicandolo, la maschera.
La voce particolarmente stridula ruppe qualcosa nelle speranze di Teo
“Veramente io sarei un...” disse Teo vedendola andarsene. Si fermò un attimo a riflettere sulla evidente mancanza di gioia della sua generazione, e sul fatto che presentarsi con una maschera da maiale in faccia non era un'idea geniale per rompere il ghiaccio con il gentil sesso. E, come era prevedibile, quando si girò, trovò Vì che stava ridendo talmente tanto che quasi sembrava piangere.
“Se non la finisci ti ridò in pasto a Qui, Quo e Qua.”
“Poverino il piccolo Teo, vieni qua, fatti abbracciare!”, disse lei ridendo ancora a crepapelle, "Nessuna ti capisce, poverino!"
“Non provare a toccarmi, infimo esserino.”
Se ne andarono fuori, Teo per prendere una boccata d'aria, Vì per una boccata di nicotina. Tra una chiacchiera e l'altra con un cavaliere dell'Apocalisse (Carestia, a giudicare dal fisico rachitico. Pestilenza, se invece si focalizzava l'attenzione sull'acne che gonfiava i suoi lineamenti), i due videro Ale e Vanessa impegnati in una pomiciata all'ultimo respiro su una delle panchine antistanti l'entrata della facoltà.
Cominciarono subito a discutere sul possibile futuro dei due amanti come coppia. Dopo mesi e mesi di tira e molla, di cercarsi e allontanarsi, forse i tempi erano maturi. Forse, pensava Vì, un lieto fine era possibile, ma naturalmente Teo, non essendo solito vedere il futuro contornato da un'aura rosa e accompagnato da una canzone smielata in sottofondo, proponeva i suoi dubbi.
Fatto sta che in quel preciso momento, su quella precisa panchina, tutto era perfetto, e il resto non contava.
Lì, in quel piccolo spazio, per i due innamorati, il mondo sarebbe potuto finire in quello stesso istante, ma sarebbe stato perfetto lo stesso. Sembrava in effetti di guardare una coppia con tutti i canoni della categoria. E in fondo anche Teo, per quanto disincantato, avrebbe desiderato per loro un lieto fine.
“Ma tornando a noi” interruppe Vì “ti va di mostrare a tutti che sei un vero rapinatore?”
“Che ti frulla per la testa?”
“Ho un piano, ma mi serve una mano.”
“Ti sto ascoltando Eva Kant.”
“Andiamo al bancone, io parlo col barista, metto gli occhi da cerbiatta, e tu ti inguatti la prima bottiglia che ti capita a portata di mano.”
“Mi sembra un piano ineccepibile. E per l'altro barista come facciamo?”
"E non è che posso fare tutto io! Inventati qualcosa."
Teo sbuffò. "Certo, potrei invitarlo a girarsi un momento. O magari potrei offrirgli del sesso a pagamento!"
"Sei una rottura di palle quando ti ci metti", buttò a terra la sigaretta ormai finita, "Lo facciamo si o no?"
“Facciamolo.”
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Concerto (Ale, Teo, Vì - Allegro)// Prima parte

Parcheggiarono la macchina proprio davanti all'entrata del locale. Chiunque avrebbe potuto girare intorno a quel piccolo spiazzo per ore senza trovare neanche l'ombra di un posto, ma non Ale che aveva un'interpretazione tutta sua del concetto di marciapiede. Aveva anche uno stile unico nell'imbucarsi alle feste, non solo riusciva a presentarsi e ad amalgamarsi con la folla senza tradire il minimo senso di disagio per non essere stato invitato, ma riusciva anche a diventare parte integrante dellevento senza destare alcun sospetto. Fu così che si accollò la responsabilità di guidare la macchina del ragazzo di Daniela fino al Cleb, la discoteca alternativa più famosa e economicamente abbordabile della zona, dove l'amica del cuore di Vì aveva deciso di tenere la sua festa per la conquista della Laura Triennale. Dagli sportelli della macchina uscirono, pronti a tuffarsi nel gelido freddo delle notti limpide di Febbraio, e accompagnati da una delle tante canzoni smielate finto rock dei Negramaro, un Ale in grande stile, una versione insolitamente fashion di Vì con tanto di stivale e tacco e, per ultime, le due figure tumefatte di Teo e del proprietario del veicolo.
Il problema di Teo quando era ubriaco è che si sentiva al di là del bene e del male. Avrebbe potuto incendiare un orfanotrofio o sventare una rapina in banca con la stessa disinvoltura. Le serate che comprendevano un Teo oltremodo ubriaco prendevano sempre delle svolte inaspettate. Giusto il tempo di riunire il gruppo all'entrata e di controllare i nomi sulla lista e lui era già appoggiato al bancone con in mano le sue consumazioni gratuite.
Aveva deciso fin dalla cena che quella sarebbe stata la sera dei Coca e Rum.
Il problema di Vì quando era ubriaca era la dislessia. Era veramente bellissima in quella sua maglietta lunga e verde e jeans attillati che finivano negli stivali. Il suo fascino era da attribuire anche alla sua sobrietà nell'abbigliarsi, merce rara di questi tempi: niente tette al vento, niente cavallo basso a scoprire il perizoma e niente trucco da baldracca autoprodotta.
Tuttavia la sua dislessia fungeva da deterrente ai rapporti sociali, una vera minaccia ai tentativi di far decollare una discussione con il ragazzo di turno che le si presentava davanti. Al momento a lei questo non importava, quella sera voleva solo divertirsi e non pensare a niente, di conseguenza si incollò al suo sbronzo coinquilino, che in quello stato si trasformava in una enciclopedia del delirio vivente. Bisognava considerare poi che Ale, come da copione, era già scomparso nella ressa.
Per Ale la primavera arrivava con la sbornia e non importava se il calendario dicesse Natale o Ferragosto, l'ormone gli si risvegliava in maniera prepotente e si manifestava nei modi più inaspettati. Quella sera, ad esempio, seminò tutti e si immerse nella confusione della pista da ballo. A peggiorare le cose per il povero imbucato era il mancato invito di Vanessa alla festa. Se la sua eterna fiamma fosse stata presente, Ale avrebbe avuto occhi e attenzioni solo per lei. Ma non era così, quindi se ne andava girando famelico come una miniatura di Pantagruele.
Sala rock/metal, niente; sala reggae/dancehall, niente; sala elettronica/drum'n bass, niente. Rimaneva solo la sala house che aveva lasciato per ultima perchè avrebbe voluto evitarla, se fosse stato possibile. Tirò un lungo sospiro e si tuffò nell'atmosfera tunzettara della sala.
“Ale? E' già scomparso?” chiese Teo a Vì
“Puoi scommetterci”
“Chi sta cercando questa volta?”
“A cena blaterava qualcosa su Natalie Portman.”
“Porca puttana” disse sorridendo “Quel ragazzo non vuole imparare a volare basso. Andrà incontro a molte delusioni stasera. Un Coca e Rum che torna a casa a mani vuote”
“Un Coca e Rum che non tornerà a casa da solo.”
“Ma dài...sempre ammesso che riesca a trovare una stella hollywoodiana nel locale più fuori moda della città, sul più bello riuscirà sicuramente a mandare tutto all'aria. Probabilmente immaginerà la faccia di Vanessa e si tirerà indietro."
“Sì, potrebbe anche essere, ma io faccio il tifo per lui.”
Raggiunsero gli altri nella sala reggae/dancehall. Inutile dire che Teo resistette tre minuti scarsi, giusto il tempo di schiantarsi in gola il suo whisky di benvenuto, appoggiare il bicchiere di plastica al tavolo e fregarsi la bevuta del ragazzo di Daniela che era indegnamente svenuto sul divano.
“'Sto pivello rovina il buon nome dei bevitori”, considerò con una punta di disprezzo passandogli al fianco, ”Faceva tanto il figo coi Rum e Pera a cena e adesso eccolo qua, dilettante.”
La sala reggae/dancehall era la preferita di Vì. Non certo per la musica, piuttosto per una questione di praticabilità, Là poteva ballare senza essere immediatamente circondata da maschietti allupati. Aveva provato, con Daniela e le altre, ad andarsi a sentire un po' di rock o elettronica, ma non era proprio aria. Passando per il corridoio poi, alla percezione di un pezzo violentissimo dei Tool, le venne voglia di tornare a casa, distruggere tacchi e jeans attillato, infilarsi un sacco di caffé e andare a scapellare sotto la cassa. Ma niente, e poi era la festa di Daniela che, non essendo ancora riuscita a piazzarla al mercato del pesce, le aveva imposto di essere una gran gnocca.
Le ore scorrevano via veloci, i Coca e Rum cominciavano a fare il loro porco lavoro e la dislessia per Vì era ormai un dato di fatto. Solo cominciava a sentirsi annoiata dal ritmo in levare della musica sempre uguale, non riusciva a capire nemmeno quando finisse una canzone e quando ne iniziasse un'altra. Inoltre lo stato troppo ridanciano in cui erano cadute le amiche di Daniela cominciava a darle sui nervi. Nulla di personale contro di loro, anzi, quando la incontravano, la trattavano sempre con affetto sincero, anche se Daniela non era presente. Solo le mancavano il ricercato cinismo e le battute al vetriolo di Teo e le immonde figure di merda di Ale.
Decise così di andare a cercarli. Cercò di immaginarsi per un secondo dove potesse essere finito un Teo senza più coscienza del proprio destino. Ale potrebbe essere stato ovunque e in nessun posto in particolare, inutile cercarlo dunque. Si diresse verso la sala elettronica/drum'n bass, cercò un attimo e già che c'era cominciò a ballare e affanculo a chi le palpava il culo, poteva sopportare finché fossero dei tocchi delicati. Quel ritmo martellante poteva reggerlo dieci minuti al massimo, ma era una vera liberazione dal festaiolo levare del reggae.
Essere una ragazza in discoteca aveva grossi svantaggi, ma se c'era una cosa che aveva capito era che la security non sbatterebbe mai fuori una ragazza per aver picchiato un ragazzo. Anzi, nel caso, pensava Vì, il buttafuori avrebbe dovuto pestare ulteriormente il malcapitato per l'offesa arrecata alla virilità del sesso dominante.
Continuando la sua ricerca, Vì stava anche per commettere l'imperdonabile errore di entrare nel bagno dei maschi, immersa com'era nei suoi pensieri, ma per fortuna tornò in sè appena in tempo per cambiare direzione.
Non sapeva più dove cercare, e di tornare dalle altre non aveva voglia.
Poi ebbe l'illuminazione.
In un secondo capì che non aveva controllato nel posto più scontato. Si diresse verso l'uscita, si fece timbrare il dorso della mano e, non appena messo uno stivale fuori dalla porta, sentì la mano di Ale che la prese sottobraccio e se la portò affianco.
Lo guardò, aveva un taglio sotto lo zigomo destro.
“Che suscede?” chiese lei.
“Guarda.”
Mise a fuoco, alzò lo sguardo e vide Teo, diciamo così, discutere animatamente con uno dei buttafuori.
“Quello è il Trucido. Il buttafuori ritardato della città. Ogni mese deve cambiare locale perchè in quelli dove lavora prima ne combina sempre qualcuna di troppo grossa. ”
Ogni volta che il Trucido cercava di mettere le mani addosso a Teo, lui lo evitava con un tempo di rezione talmente breve da essere al limite della premonizione. Non gli si allontanava però, continuava a girargli intorno come un esordiente Cassius Clay.
Questo aspetto di Teo non se lo sarebbe mai immaginato. Va bene che fosse sicuramente classificabile come un ragazzo alto, dal fisico asciutto e atletico, nonostante non fosse quello che si direbbe uno sportivo, ma che riuscisse a tenere testa a un colosso di Rodi, seppur ritardato, non se lo sarebbe mai aspettata.
“Osserva bene” disse Ale “il Trucido è un rottweiler, è imponente, gargantuo, si esalta quando sente il profumo del sangue, è stato costruito per combattere. Ma Teo è un lupo, un fascio di nervi tesi, agile, indomabile, la lotta è nel suo dna e vincere è il solo risultato utile che ha per continuare a vivere.”
Vì non poteva credere che parole tanto belle e intelligenti fossero usciti dalla bocca di Ale.
In effetti la sensazione che si aveva guardando quella scena è che il Trucido avrebbe potuto spezzare una braccio a Teo senza neanche rendersene conto, ma non lo faceva mai.
“Mi disci cosa casso è suscesso a Teo e a la tua fascia?”
“...bè, diciamo che ho cercato di infilare la lingua nella bocca della ragazza sbagliata. Ero ad un passo dal farmi una meritata pomiciata liberatoria quando mi arriva un missile in faccia, mi sento preso per un braccio e mi trovo sbattuto fuori. Cerco di rientrare, urlo, sbraito e busso a tutte le porte. Una si apre proprio mentre stavo per bussare, mi preparo a fiondarmi dentro, ma mi piomba addosso Teo.”
“Ma scìai pomisciato poi connla tipa?”
“Che t'importa?”
“Eddimmelo.”
“No.”
“Casso Ale, mma tivuoi impennìare un po'?” cercò di sbraitare lei, ricordandosi della scommessa fatta con Teo.
Accorsero altri buttafuori. Ale corse verso Teo, lo prese per un braccio e lo portò via sottraendolo ad un massacro preannunciato. Vì si mosse con calma, aveva i riflessi un po' rallentati dall'alcol e difficoltà evidenti a reggersi sui tacchi. Cominciò goffamente a correre dietro ai due fuggitivi.
Di come fossero arrivati a casa e del perchè Ale stesse dormendo sul loro divano Teo non ne aveva idea. Di come si fossero svolti gli eventi dopo il suo quarto, o forse quinto, brindisi con il dj della sala rock/metal nemmeno. Riempì la sua fedele bottiglia d'acqua e ritornò a letto.
Aprì gli occhi due ore e un litro d'acqua dopo. La situazione era sicuramente più nitida. Ale e Vì stavano chiacchierando allegramente sul divano. Si alzò. Li raggiunse.
“Buongiorn....ma che cazzo hai fatto?” chiese ad Ale notando il suo zigomo in decomposizione.
“Secondo te?”
“Secondo me qualcuna in questa stanza mi deve una bevuta!”
“...voi avete scommesso sul mio due di picche?”
“Se ti può consolare io tifavo per te, ma mi hai deluso, mio caro” disse Vì.
“Adesso ce la fai a parlare eh, maledetta?”
“Mi sei costato una bevuta, stronzone. E io che confidavo in te. Comunque il migliore ieri sera è stato Teo in versione Tyler Durden.”
Alla sentenza di Vì seguì lo sguardo sbigottito dello stesso Teo. Disse loro di non ricordarsi nulla. Le ore successive furono spese prima dai tre nel raccontarsi a vicenda le loro rispettive serate, poi da Ale e Vì ad integrare i vaghi e confusi ricordi di Teo.
Smaltito il pranzo erano tutti di nuovo in pista pronti per uscire ed andare a consegnare il regalo di laurea a Daniela. Contro ogni aspettativa erano riusciti ad organizzarsi per tempo e a comprare e impacchettare il regalo e, addirittura, ad accompagnarlo ad un bigliettino con tanto di dedica, solo che poi, come nel più tragicomico dei finali, arrivati al momento della consegna dei doni alla neo dottoressa, si accorsero di averlo dimenticato a casa. Si sa che chi non ha buona testa ha buone gambe, così si incamminarono verso casa della festeggiata per rimediare all'errore. Naturalmente, visto che Ale all'ultimo minuto aveva deciso di autoinvitarsi, dovettero aggiungere anche il suo nome sul bigliettino di congratulazioni.
Scesero le scale in fretta perchè la coppia bella ma litigarella del primo piano e l'avvocato praticante erano sempre in agguato.
Una volta in strada raggiunsero l'edicola davanti la fermata per comprare il biglietto.
“Scusate...è che avrei finito i soldi ieri sera...gli altri li ho a casa...non è che potreste....”
“Ale è Domenica, neanche se lo chiami a casa, il controllore, verrebbe mai a farti la multa!” Gli fece notare Teo.
“Fa' finta che io li abbia scalati dai soldi della bevuta che devo al tuo amichetto per colpa tua..” rispose sarcastica Vì.
Naturalmente, alla seconda fermata dalla partenza, il controllore salì sul pulman. Per fortuna Ale se ne accorse in tempo e riuscì ad uscire prima che il guardiano dei biglietti avesse l'occasione di accorgersi della sua presenza.
“Scendiamo anche noi?” chiese Vì.
“Neanche per sogno.” rispose Teo “Ale ci vediamo a casa di Daniela. Vedi di sbrigarti.”
“Ma io non so nemmendo dove sia!”
Le porte si chiusero e il pulman ripartì.
“Neanche se lo chiami a casa ti viene a fare la multa!” borbottò Ale scimmiottando l'amico mentre le porte del mezzo gli si chiudevano in faccia
Si incamminò lungo la strada imboccata dal pulman. Dopo due minuti lo perse di vista e non seppe più dove andare.
A bordo squillò un cellulare:
“Teo?”
“Sì.”
“Non è che per caso potresti gentilmente dirmi DOVE CAZZO ABITA DANIELA?”
“Certo, non capisco perchè ti arrabbi tanto...hai presente Via delle Lavandaie?”
“Assolutamente no.”
“Mmh...e quel bar fighetto con arredamento ultra moderno dove gli aperitivi costano cinque euro, non contengono alcol e non ti danno neanche da mangiare?”
“Bar Asturia?”
“Esatto, ci incontriamo là sotto.”
La faceva facile il motorizzato Teo, pensò Ale, saranno stati almeno tre chilometri di asfalto battuto dalla pioggia. Dopo quaranta minuti, infatti, un Ale stoico si presentò alla coppia di viaggiatori in pulman, chiedendo loro se potevano concedergli un secondo per andare al bagno, giusto per provare ad asciugarsi un po'.
“Provaci pure, ma ricorda che qui non sei dal tuo affezionato barista santone.” rispose il Teo più intollerante ad ogni forma di filosofia orientale.
“Bè, così non posso presentarmi di certo.”
Asciugarsi i capelli costò ad Ale un caffé, il che non sarebbe stato malaccio se non fosse costato un euro e sessanta. Neanche la bellissima tazza di vetro che lo conteneva e il dolcissimo strato di schiuma che lo ricopriva riuscivano a giustificare un prezzo così esorbitante.
“Cioè UN EURO E SESSANTA per un caffé!” si lamentò uscendo dal bar.
“E per la dozzina di buste di zucchero che ti sei fregato” gli fece notare Teo.
“Mezza dozzina, per la precisione”
"Niente carta ignienica stavolta?"
"Ma vaffanculo".
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Vì (Sonata - Largo)

Vì suonava ogni Giovedì sera nel locale del quartiere in occasione della serata universitaria.
I gestori del locale avevano capito da tempo che era molto più facile ed economico trovare una ragazza che cantasse regolarmente, con bella voce e repertorio variegato al seguito, piuttosto che sbattersi a cercare e ingaggiare gruppi della zona. Si risparmiavano così il tempo speso a negoziare la ricompensa e il rischio di incappare in un gruppetto di dilettanti che avrebbe potuto portare al risultato opposto, svuotando completamente il locale. Quel lavoro Vì l'aveva trovato grazie a Teo. Quando lo conobbe lui metteva dischi il Sabato sera. Non era un vero e proprio dee-jay, anzi era la persona più lontana da un dee-jay che avesse mai armeggiato con files e computer. Non mischiava le tracce, non le sovrapponeva. Semplicemente concordava con Rut il tema della serata e alternava pezzi per tre/quattro ore, e all'occorrenza anche di più. Lasciava la musica esprimersi, non metteva niente di suo, svolgeva la sua mansione nel modo più spersonalizzato possibile, e a lei questo era piaciuto fin dall'inizio.
Un po' invidiava Teo perchè lui, nascosto dietro lo schermo del computer, non doveva mica metterci la faccia come faceva lei.
Un giorno, dopo averla ascoltata suonare la chitarra le propose di cantare sopra tracce di canzoni che avrebbe suonato la sera. La cosa riuscì perfettamente e così provarono a ripeterla un'altra volta, poi un'altra, poi un'altra ancora. Poi Teo decise di ritornare ad appropriarsi dei proprio fine settimana, così lasciò a Vì il compito di reggere da sola la serata. All'inizio era sempre nervosa prima di esibirsi, ma con il passare delle serate ci aveva preso gusto. In fondo le piaceva che per un'ora abbondante l'attenzione generale fosse rivolta a lei, che gli sguardi fossero puntati sul suo vestito accuratamente scelto e che tutte le orecchie presenti fossero protese a cogliere le sue parole.
Scegliere le canzoni da proporre per l'esibizione della settimana era diventato il suo passatempo preferito.
Aveva cominciato a scrivere anche dei pezzi suoi, ma non aveva mai trovato il coraggio di farli sentire in pubblico. Solo Ale, Teo e Daniela avevano avuto il privilegio di ascoltarli. Quello che colpiva nelle esibizioni di Vì non era tanto la sua bellissima voce, né la grazia della sua figura, era soprattutto quell'ombra che aleggiava su di lei, quel dolore e quella malinconia che neanche gli accordi pieni di chitarra e i suoi acuti riuscivano a nascondere. Era quell'incurabile male di vivere che le faceva da sfondo emotivo, che impregnava ogni suono che emetteva, che intrigava e teneva tutti incollati al proprio posto.
Inoltre essere la star del locale aveva altri vantaggi, le aveva dato la possibilità di conoscere un sacco di gente. Soprattutto un sacco di ragazzi che ci provavano, un po' per questioni di fama, un pò perchè Vì, fra tutto, non era certamente una brutta ragazza.
Fianchi stretti, seni piccoli, lineamenti delicati coperti da una cascata di impertinenti capelli biondi. Ma la cosa che le piaceva di più del suo fisico erano le mani dalla pelle liscia e morbida e dalle dita affusolate. Odiava invece i suoi polpacci, voluminosi e duri come quelli di un maschio di cinque chili più pesante. Odio che era fortunatamente superato dal suo amore per il calcio.
Restava il fatto che Vì aveva ricevuto molte proposte quel periodo, ma a lei serviva tempo per ricominciare a fidarsi delle persone. Sentiva che la strada era quella giusta. Teo, Ale e Daniela le ispiravano fiducia. Con loro si sentiva protetta, al sicuro. Tuttavia non si era preclusa nessuna via (tranne per quel metallaro con la lingua biforcuta che le propose di abbandonarsi alla lussuria più peccaminosa sotto l'altare di una chiesa sconsacrata...non è che i metallari la spaventassero, ma gli psicopatici sì).
Non era convinta di volere ulteriori cambiamenti nella sua vita, forse non ne aveva bisogno al momento. Tutto sommato era felice, con Teo si trovava a suo agio, a volte pensava che in qualche modo oscuro si fossero scelti l'un l'altra. Ale la faceva morire dal ridere, un pazzo scatenato senza capo né coda, un masnadiere metropolitano, uno che vive alla stagione invece che alla giornata. Molto spesso più che un amico era un figlio a carico, ma la sua presenza serviva se non altro a farla sentire più matura.
La sua vita le piaceva ancora di più da quando suonava al locale. Lo si capiva semplicemente guardando il suo guardaroba. Appena arrivata la gamma cromatica dei suoi vestiti spaziava dal grigio smunto al giallo ocra passando per il rosa pallido. Da qualche mese invece i suoi amici avevano salutato con piacere l'avvento del verde, del blu elettrico e del rosso sangue, colori che su di lei acquistavano personalità.
L'unica cosa che proprio non sopportava era il fatto che un gruppo le avesse rubato il Sabato, la serata madre, costringendola così ad accontentarsi del Giovedì. Riciclavano le ultime hits di Mtv e, per fare la figura degli intenditori, ogni tanto inserivano qualche pezzo dei Radiohead suonato in modo approssimativo, per usare un eufemismo. Creep Android, si chiamavano. Questo la faceva incazzare ancora di più perchè le ricordava la prima serata in cui suonò da sola presentandosi al pubblico con una sofferta versione accompagnata al piano di Like A Spinning Plate. Non scordò mai lo scrosciare degli applausi che seguì all'esecuzione del brano.
Quello fu anche il giorno in cui cominciò a credere di valere qualcosa.
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Ale, Teo, Vì (Concerto - Vivace) // Seconda parte

Preludio

Al suo risveglio Vì era ancora dominata dal suo istinto materno dalla marcata indole protettiva, e si era convinta di aver trovato una soluzione al problema delle sfuriate di Teo.
“Se la tua soluzione comprende un cerchio di gesso disegnato in terra, nel centro del quale dovrei sedermi, luci spente rimpiazzate da candele accese disposte intorno al cerchio di gesso, e incenso nell'aria, bè, sappi che preferisco finire in galera per omicidio.” la ammonì lui.
“Non fare lo scemo. Secondo me ti serve qualcosa che ti permetta di sfogarti. Che ne diresti di venire a correre con me e Daniela al parco? Magari smaltisci un po' di rabbia repressa.”
Teo fu sorpreso.
“Tutto sommato, mi sembra una proposta accettabile.” esclamò Ale uscendo dal bagno.
“E tu qui quando cazzo ci sei arrivato qui?” chiese Teo.
“Sta' calmo. Passavo nei dintorni e ho pensato di venirvi a trovare.”
“Guarda caso all'ora di pranzo! Ti spiego una cosa, se entri in un supermercato qualsiasi, puoi portarti via quelle confezioni colorate contenenti alimenti commestibili barattandole con quelle banconote altrettanto colorate che hai nel portafogli.”
“Tu dici?”
“Certo, scroccone. Quando il capitalismo approda allo stadio dell'opulenza, si risolve in una questione di affinità cromatiche.” Pausa teatrale. “Lo chiamano marketing.”
“In tanti anni che ti conosco non ho ancora capito se sei un genio o se per te è tutto una cazzata.”
“Comunque” si voltò verso Vì “Non è poi così male come proposta”
In quel momento stava pensando al regolare e ipnotico saltellare degli enormi seni di Daniela che corre, quella versione a chilometro zero di Marianne Faithfull dal viso tanto angelico quanto tentatrici le sue tette.
“Quand'è che ci andate la prossima volta?”
“Pensavamo a domani mattina. Sei dei nostri?”
"Mattina? Che intendete per mattina?"
"Non so, ad esempio quel lasso di tempo in cui dovresti essere alla prima lezione della giornata"
"Ma Vì..."
"Oh, poche storie: sì o no?"
"...ok, sì, agli ordini"
“Per una volta sei stato saggio, e così avremo la certezza che il metodo funzioni già da domani sera”
“Vieni anche tu Ale?” chiese Vì.
“Al parco? Certo, prendere un po' di sole non mi farà certo male.”
“Intendeva a correre.”
“A correre bè...no! Vi apetterò comodo sul mio asciugamano.”

Sinfonia (Ale, Daniela, Teo, Vì)

Fu così che la mattina successiva, un Teo scintillante nella sua tenuta da partitella amatoriale di calcetto era pronto a riconciliarsi con lo sport dopo anni passati ad evitarsi a vicenda. Teo e Ale si immaginavano che Daniela si sarebbe presentata in canotta bianca attillatissima e molto, molto scollata, invece dovettero registrare l'ennesimo fallimento delle loro aspettative. Lo sguardo affranto che si lanciarono l'un l'altro all'arrivo della procace atleta fu molto esplicativo in questo senso, La maglia che indossava la ragazza dal seno giunonico era almeno tre taglie più grande e, per loro sfortuna, lasciava tutto, ma proprio tutto, all'immaginazione.
“Ciao Dani, disturbo se mi unisco a voi?” disse sorridendo, anche se come sottotitolo scorreva “E che cazzo, mai una volta che mi vada bene.”
Vì spiegò alla sua amica il tentativo che stava facendo per disintossicare Teo dall'ira funesta che lo tormentava, e lei rispose subito che le sembrò un'ottima idea.
Ale, dal canto suo, le sorrise sornione e le mostrò il telo da mare.
“Via allora, prova a starci dietro finché puoi!” lo provocò Vì iniziando a correre.
“Non ti esaltare, bambina, del banale jogging non basterà certo a sfiancarmi.”
Dopo pochi chilometri Teo era scontatamente paonazzo e sconvolto dalla fatica, si accasciò sulla prima panchina libera in uno stato di pre-morte, portando a conoscenza delle due sportive, con uno sforzo notevole, che le avrebbe aspettate lì finché anche loro non si fossero stancate.
“Fa' un po' di stretching, altrimenti stasera non riuscirai a muovere le gambe.”
Teo riuscì solo ad alzare il pollice come risposta e non appena le due atlete si furono allontanate un attimo, si abbandonò sul prato nella canonica posa del quattro di spade. Poi, quando il cuore ritornò sotto i duecento battiti al minuto, si alzò per andare a raggiungere Ale qualche centinaio di metri più in la. Mentre stava per raggiungerlo, Teo vide il buon vecchio usurpatore di affitti intento a chiacchierare amabilmente con delle morette sedute accanto a lui.
“Ho visto zombie camminare in modo molto più disinvolto del tuo.” gli fece notare Ale quando lo vide avvicinarsi.
“Non puoi capire quanto sia lacerante e profondo il dolore che provo in questo momento.”
“Vogliamo parlare della maglietta di Daniela?”
“No grazie, sto già soffrendo abbastanza.”
“Ti presento Silvia, Sara e Maria, stanno studiando per l'esame di stato.”
“Ciao, Silvia Sara e Maria. Che state studiando?”
“Ciao! Mah, un po' di tutto. Ale ci stava giusto spiegando degli attentati di Bologna, Genova e di Aldo Moro.” disse una di loro, Sara forse.
"Guccini, De Andrè e Gaber" pensò Teo. Dovette ammettere che Ale era in grado di cavarsela in qualsiasi situazione.
“Già, il dottore qui presente e io siamo ricercatori del dipartimento di storia contemporanea. Ci stiamo giusto occupando in questi mesi degli ultimi studi pubblicati al riguardo.” se ne uscì brillantemente Teo senza avere una minima idea di quello che stesse dicendo.
Ma è risaputo che per rendere credibile un'enorme bugia bisogna portarla all'estremo, quindi continuò: “Che ne dite di proseguire questa chiacchierata stasera al Katakali, lo conoscete? E' un bel posto!”
“Ne abbiamo sentito parlare” rispose titubante Maria, forse, “Non è quel posto pieno di schizzati dove ogni sera finiscono in rissa?”
“No no no” rispose un Teo colto in castagna “Vi state sbagliando. E' un posto carino. Unico oserei dire!”
“Occhei allora, ci vediamo lì stasera.”
Silvia Sara e Maria se ne andarono.
“Ale che cazzo raccontiamo loro stasera? Non sappiamo niente di queste cose. Anzi, tu non sai niente di niente.”
“Ehi, abbassa i toni. Io sono uno dei massimi esperti di contratti di locazione, di affitto e dei tipi di clausole annesse. E poi non ci metteremo certo a parlare di anarchici e brigate rosse o nere di Sabato sera in un posto come il Katakali! Piuttosto, va' a sparare a Vì e Daniela, altrimenti stasera siamo ancora qua ad aspettare che si stanchino di correre.”
La sera stessa, entrando al Katatkali, i due furono sorpresi di trovare Silvia Sara e Maria ad aspettarli al bancone. Avevano l'aria spaesata e spaventata di chi si ritrova di colpo scaraventato nella rivisitazione nazi-punk dei gironi dell'inferno dantesco senza sapere il perchè, e certamente tutti i coloriti clienti del locale che le avevano circondate, increduli di vedere carne così fresca entrare in un postaccio del genere, non le aiutavano ad entrare in sintonia con l'ambiente.
I due si avvicinarono e le salutarono, Vì capì subito quello che stava succedendo.
“O schifosi, siete almeno sicuri che siano maggiorenni?”
“Ehi, sono delle esaminande, avranno sicuramente quasi diciannove anni a testa.” le rispose Ale deciso.
“Bah, se lo dite voi! Resta comunque il fatto che buttarsi sulle liceali è il punto più basso che abbiate raggiunto da quando vi conosco.”
Ripresero il discorso dove interrotto al parco ricominciando a parlare di storia, ma solo per poco per evidente mancanza di argomento. Cominciarono quindi a bullarsi di quanto fosse bello fare gli assistenti all'università, delle bestialità che sentivano dire alle esaminande durante le loro interrogazioni, dei loro seminari a cui nessuno partecipava. Passarono poi a descrivere agi e vantaggi della vita universitaria: vivere da soli, nessuno che ti dica a che ora rientrare o che ti interroghi su dove andrai a passare la serata, niente genitori che ti intimano di abbassare la musica e di non indossare quegli stracci di vestiti. Vì assisteva disgustata, poi decise di raggiungere Daniela alla sala dei biliardi.
I due usurpatori della storia reggevano botta alle domande delle tre liceali con fare sicuro e senza dimostrare segni di cedimento. Tutto scorreva regolare dunque, ma il destino è beffardo e si sa, e i due improvvisati assistenti di storia contemporanea non avrebbero certo immaginato che i tre sbarbatelli che stavano appena entrando avrebbero interferito sul loro piano.
“A casa a studiare, eh! Brutta troia.” esordì simpaticamente uno di loro, riferendosi a Sara, forse.
“E 'sti due deficienti chi cazzo sono?” chiese disinteressatamente, a titolo puramente informativo, un altro ragazzino.
“Non pensate male, sono solo amici, ci stanno aiutando a studiare storia. Sono due ricercatori dell'università.” disse Maria, forse.
Nel sentire pronunciare questa scusa ridicola, Ale si buttò la mano contro la fronte. Teo stava sproloquiando fra sè e sè vista la situazione in cui si era cacciato e visto che, se avesse anche solo provato a difendersi da eventuali attacchi, Vì lo avrebbe preso per le orecchie e portato in un centro di terapia. Decise di prendere in mano la situazione.
“Calmi calmi, ci siamo incontrati qui per puro caso...non abbiamo nessuna cattiva intenzione...guardate, adesso ce ne andiamo e vi lasciamo divertire tra di voi.”
Avrebbe potuto fare di meglio, il geniale Teo.
“Adesso ve ne andate un cazzo, brutti bastardi. Prima facciamo i conti. Se credete di avere a che fare con tre stupidi ragazzini, vi sbagliate di grosso.” proclamò uno dei ragazzini.
Ale nel sentire queste parole tirò un sospiro di sollievo, a questo punto c'erano buone probabilità che i tre fossero addirittura maggiorenni, e che quindi un eventuale scazzottata non avrebbe avuto risvolti penali.
“Che cazzo volevate fare con le nostre ragazze eh? Tutti così voi universitari, sempre pronti ad infilare il cazzo in qualsiasi buco che cammini. Ma questa volta vi è andata male, avete puntato le ragazze sbagliate. Queste sono proprietà privata.”
“Fai il magnaccia?” rispose allora Teo, che si era stancato di essere insultato da un ragazzino esaltato con la maglia di Calvin Klein che le poche ore di palestra non erano riuscite a riempire. Continuò “Ti ho già detto che non stiamo qui per infilare niente dentro nessuna. Adesso ce ne andiamo.”
“Voi adesso non vi muovete chè facciamo i conti.” ritornò a sottolineare il concetto un altro di loro.
“Senti, stronzetto” fu allora chiaro che la corsetta pomeridiana non aveva neanche minimamente intaccato le mura del castello di rabbia repressa di Teo “Usciamo in questo locale da più o meno due anni, ci conoscono tutti, buttafuori compresi, e se mi metti le mani addosso non sarò certo io ad essere malmenato da uno di loro e sbattuto fuori senza più gli incisivi. Datti una calmata. Adesso te e i tuoi amichetti belli induriti vi riprendete le vostre ragazze e ve ne andate affanculo.”
Un eccellente esempio di self-control.
“Credi di spaventarmi, brutto pezzo di merda? Credi che le tue minacce mi spaventino? A me non frega un cazzo di dove siamo, non ve la passerete certo liscia 'sto giro.”
“Bla bla bla” gli rispose Teo appoggiando la sua fronte su quella del malcapitato ragazzino “Se credi che qualche oretta a settimana di palestra possa bastarti a spaventare la gente ti sbagli di grosso. Adesso prendi la tua ragazza, salti sul tuo motorino con i tuoi amici, te ne torni a casa tua e te la smetti di fare l'eroe"
In quel momento per fortuna arrivò Vì che, conoscendo bene i suoi polli irrequieti, era tornata per vedere appunto in che guaio si stessero cacciando questa volta. Alla visione degli occhi terrorizzati delle tre ragazze al bancone e del ringhio di Teo che stava per fagocitare l'ignaro liceale, decise subito di intervenire in qualche modo. Purtroppo, prima che potesse proferire parola, il capobranco rifilò una potente testata al naso di Teo, che, inaspettatamente, non reagì, Mentre gli altri due maschietti beta si allontanarono da Ale per accerchiare Teo, Vì si buttò in mezzo e cominciò ad urlare “CALMI CALMI CALMI. Sono la sua ragazza, posso spiegarvi tutto. Sono insieme alla SUA, di ragazza”, disse indicando Ale. Continuò sperando di portare un po' di calma: “Quando siamo arrivati le vostre amichette erano già qua, le hanno salutate e si sono messi a parlare di storia. Non vi dovete preoccupare.”
“Va a prendere per culo qualcun altro, troia.” disse il capobranco, che forse non aveva gradito il vezzeggiativo usato da Vì. Quello che successe fu che il ragazzo impettito le diede uno schiaffo talmente forte che la fece cadere a terra.
Gli occhi di Teo si iniettarono di sangue nel vedere Vì scaraventata a terra, e veloce come un lampo aveva già steso il capobranco e si era avventato contro i denti e gli organi genitali dei poveri maschietti beta, così indifesi ora che erano rimasti senza il loro timoniere.
Quando i buttafuori, che stavano tenendo d'occhio la situazione già da un po', intervennero per difendere la stella del Giovedì sera, Teo aveva già finito con i due malcapitati che ora erano doloranti a terra a tenersi i testicoli con le mani. Vennero portati fuori tutti e cinque: i tre evirati, Teo e Ale.
“Come stai Vì?” le chiese Ale.
“Bene” rispose decisamente arrabbiata “Solo un livido.”
“Scusaci, non volevamo che ci finissi di mezzo tu.”
“Ogni volta che penso di avervi visto fare tutte le cose più stupide del mondo, riuscite a lasciarmi senza parole. Siete una bella coppia di imbecilli.”
“Hai rag...”
“Sta zitto per favore.” lo interruppe seccata.
Arrivò di corsa anche Daniela preceduta dalle sue enormi tette.
“Che sta succedendo?”
“Niente niente, tutto finito.” la tranquillizzò Vì.
“Ma cosa hai in faccia?”
“Niente, non preoccuparti. Uno stupido ragazzino, domani mi passerà.”
Si girò verso Ale con uno sguardo feroce e gli intimò
“Adesso mi racconti tutto per filo e per segno.”
Nel momento in cui si voltò per vedere i liceali andarsene spingendo i loro motorini truccati, Sara-Mara-Maria urlavano che questa sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, Vì si accorse che Teo era appoggiato al muro in disparte. Stava tremando dalla rabbia.
“Teo...”
“Come stai?”
“E' solo un livido, domani mi passerà”
“Non parlo solo di quello”
“Sono abbastanza incazzata con voi, effettivamente, vi siete comportati come due idioti. Ma tu calmati, sembri un tossico in crisi d'astinenza”
“Non dire niente, mi sento un verme. Ho provato a trattenermi, a non reagire, davvero mi ci ero impegnato, ma quando ho visto che ti ha colpita non ho capito più niente. Sono andato in tilt. Non volevo coinvolgerti in nessun modo. Non voglio che ti succeda mai più una cosa del genere.”
La strinse forte fra le braccia e le accarezzò i capelli. Vì rimase stupita, era abituata a vedere Teo non prendere mai niente sul serio. Era sempre stato uno di quelli che fra Beatles e Rolling Stones sceglieva il dissacrante Frank Zappa, ma con Sympathy For The Devil nel cuore. Ma questa volta non era ironico, i suoi denti non erano scoperti a causa di un sorriso. Era veramente arrabbiato con se stesso.
“Ora torna dentro, non voglio rovinarti ulteriormente la serata. Lasciami perdere, ho bisogno di stare un po' da solo.”
Mentre Ale era intento a descrivere la situazione a Daniela senza apparire troppo colpevole, i buttafuori rassicurarono Teo sul fatto di non averlo visto attaccare per primo e che solo per difendere Vì fosse ricorso alla violenza, da solo contro tre.
Lui li ringraziò, conosceva quei ragazzi che lavoravano al locale da un anno, uno lo incontrava ogni tanto anche in facoltà. Erano delle brave persone, certo ricorrevano spesso alle mani, ma in fondo li pagavano per questo, era solo il loro lavoro. Gli dissero anche che se voleva poteva rientrare, lui li ringraziò e continuò a stare appoggiato al muro.
Dopo qualche ora Vì, Daniela e Ale uscirono dal locale. La serata, dopo l'incidente, aveva ricominciato a scorrere tranquilla tra qualche birra e qualche caloria bruciata in pista da ballo. Quando uscirono trovarono Teo nello stesso punto in cui lo avevano lasciato rientrando nel locale. Vì lo guardò e gli fece notare che loro stavano tornando a casa, lui fece un cenno con la testa e li salutò. Rimase immobile.
La mattina dopo, quando Vì si svegliò, trovo Teo sul divano. La televisione era spenta e lui stava fissando l'intonaco del muro, lo salutò e gli chiese come stesse, ma lui non rispose. Non lo aveva neanche sentito rientrare durante la notte, quindi probabilmente era tornato tardissimo e non aveva chiuso occhio neanche per un minuto.

Interludio

“Ale ti ho svegliato?”
“Si Vì...ma ormai è fatta, dimmi tutto.”
“Teo è sul divano immobile, non parla e non si muove. Non so a che ora sia rientrato"
"E tu sembri molto preoccupata"
"Ale, ma mi stai ascoltando? Certo che sono preoccupata!"
Fece un sospiro lungo, sembrava pensare.
“Tranquilla, Vì, sta solo cercando di perdonarsi. Dagli qualche ora, al massimo qualche giorno, e vedrai che tornerà l'idiota di sempre.”
“Ma non c'è un qualche modo per, diciamo così, accelerare il processo?”
"Ci sarebbe, ma..."
"Ma?"
"Teo ti ha mai parlato della Scorta Mestruale?"

Ballata (Teo, Vì - Allegro)

Qualche giorno più tardi Vì tornò a casa per pranzo e vide Teo ai fornelli col sorriso che gli era proprio.
“Finalmente t'è passata!”
“Sì, finalmente sì.”
Lei gli saltò addosso.
“Sei ancora dei nostri dunque?”
“E certo, cosa fareste senza di me!....ma perchè sei così appiccicosa oggi?”
“Così." Spallucce "Sono contenta.” Poi il suo sguardo diventò serio “ Grazie per quello che hai fatto per me. Mi hai fatta sentire importante.”
“Ah, è questo quindi! Pensi che io l'abbia fatto per te? Per difenderti? Non ti starai sopravvalutando troppo? Ho solo protetto il mio affitto, non voglio neanche pensare a pagarlo tutto da solo.”
“Certo certo, parla pure.”
“Pensi di lasciarmi andare prima o poi?”
Fu contenta nel sentirgli dire queste parole. Le parole che avrebbe pronunciato il Teo dei giorni qualunque.
“Non lo so, ci penserò. Per adesso sto bene così.”
“Ah, che bello...esiste qualcosa che io possa dire o fare per riavere indietro l'uso del mio corpo?”
“Al momento no, mi dispiace.”
“Che fastidio...dài Vì, su, so che ce la puoi fare...”
Il sorriso di Vì era quello di chi, dopo tanto cercare, si sentiva finalmente a casa. Teo sapeva di quanto avesse avuto di che penarsi durante la sua vita, ed era consapevole che era merito del suo modo di fare scientificamente scanzonato se ora lei si sentiva finalmente felice. Era orgoglioso di se stesso in quel momento.
“Non fare l'orso come sempre. Sta zitto un momento.”
“Ma non riesco neanche a cucinare! Se Lucio mi avesse detto che eri così affettuosa non ti avrei mai presa a vivere qua....sto per piantarti una coltellata nella schiena.”
"Non ne avresti il coraggio."
"Sicura? Ti ricordo che me ne vengo da una rissa appena qualche giorno fa!"
"Bene bene, ho capito." Lo lasciò: "Ecco, contento?"
Teo sparì subito in camera lasciandole precise istruzioni: “Butta i funghi nel soffritto fra qualche minuto, aggiungi una spruzzata di vino bianco a intervalli regolari e gira lentamente. A fuoco lento, mi raccomando. Poi, una volta che si sarà assorbito il vino aggiungi un cucchiaio di passata, copri il tutto e aspetta. Chiamami quando avrai finito di aspettare. A dopo”
Sparì in camera sua.
“Occhèi, suor Germana.”
La testa di Teo riapparve dalla camera avvolta in una canottiera bianca, più simile ad un burqa che ad un velo da suora in realtà. La differenza fra diverse concezioni della vita, anche fra religioni quindi, per quanto lontane tra loro possano apparire, risiede nei dettagli, e questo Teo lo aveva capito bene. Naturalmente Vì, che conosceva perfettamente il suo geniale coinquilino, colse la feroce critica a chi ritiene migliore degli altri il proprio sistema.
Era ufficialmente tornato il Teo di sempre.
Oddio, non che fosse necessariamente una cosa positiva.
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Ale, Teo, Vì (Concerto - Vivace) // Prima parte

Sinfonia Ale, Teo, Vì)- Vivace

"Teo che ne pensi di una versione riarrangiata alla chitarra di The Kill dei Dresden Dolls?" chiese Vì.
"Dresden chi?"
“C'é un motivo se non l'ho chiesto a te, Ale.”
"Mmh...dunque, struggente al punto giusto, alternativa ma con stile e di facile presa sul pubblico. Sì, ottima idea. Scelta azzeccata, mi piace!"
"Non so, con la chitarra non mi convince molto..."
"Ma hai ancora cinque giorni, no?"
"Sì"
"E allora! Qual è il problema?"
"Vedremo...comunque, a voi l'onore!” continuò indicando i fornelli “Avete tutto il mio sostegno morale, ragazzi. Nel frattempo io mi occuperò del divano.”
“La classica donna di casa.” la pizzicò Teo.
“Non vi pare che sia più importante che io mi tenga in forma per stasera?”
"E va bene" ribattè "Ma almeno apparecchia. Muovi le membra, animati. Insomma fa qualcosa."
"Prima o poi ti ammazzerò nel sonno...." esclamò lei imbracciando la chitatrra "Comunque, voi due ai fuochi, io alla musica!"
"Mi fido di te, sono molto ispirato oggi, sento l'arte che fluisce nel mio corpo. Non inaridire la mia creatività con delle canzonacce."
Quindi, armati gli uni di coltelli e l'altra di chitarra e voce, tra una zucchina tagliata e una Sad Pony Guerilla Girl, un soffritto di cipolle accompagnato da una Summer On A Solitary Beach di Battiato, una spruzzata di vino al ritmo di L'Abbandono, i due cuochi improvvisati tirarono fuori un pranzo che nessuno si sarebbe mai aspettato, sicuramente galvanizzati dal talento canoro di Vì, che sapeva unire il ricercato e il popolare con una leggerezza disarmante.

Quella Domenica, nel tardo pomeriggio, sarebbero cominciate le partite dei playoff del campionato femminile universitario, e questa novità era molto gradita a Teo e Ale. E sì perchè il campionato vero, la Serie A, era appena finito, e quindi niente posticipo serale, inutile dire che la televisione di Domenica regalava esclusivamente il suo peggio. Stavano inoltre per cominciare gli Europei, e ad un appuntamento così importante non ci si poteva certo arrivare senza un minimo di riscaldamento. Così alle sei in punto i due svitati erano allo stadio per assistere alle nuove prodezze della loro strabiliante coinquilina, che si dia il caso fosse l'ala sinistra della squadra di calcio femminile dell'università, Il terrore dei terzini avversari in gonnella, la regina mancina del tunnel - era capace di farne anche di suola. Un numero dieci spostato a lato del campo, ma pur sempre un numero dieci.
Numero dieci si nasce, non è una cosa che ti possono insegnare nei due allenamenti settimanali di una squadra qualunque di dilettanti, poco importa se universitaria o terza categoria. Ce l'hai nel sangue o non ce l'hai, e questo è quanto.
Fino a quando non conobbero Vì, i due avevano sempre sottovalutato il calcio femminile. D'accordo poteva risultare insostenibilmente lento e macchinoso, poteva risultare uno sport troppo legato al tatticismo e alla strategia più che al libero movimento e alla fantasia, ma...c'era un grosso ma: sugli spalti sembrava di essere alla giornata mondiale della gnocca.
Solitamente, infatti, erano presenti le amiche delle giocatrici, le sorelle delle giocatrici, le amiche delle sorelle e le sorelle delle amiche delle giocatrici, le amiche delle amiche delle sorelle e ragazze generiche che non sapevano come passare la Domenica pomeriggio.
La cosa più curiosa che avevano notato i due improvvisati fan era che neanche le donne portavano gli uomini allo stadio.
“La sottile vendetta del femminismo.” disse una volta Teo al riguardo.
“Cioè?”
“Ma sì, pensaci, le ragazze potevano prendersi le piazze, le scuole, gli uffici del comune, tutto! Potevano prendersi tutto ma niente non sarebbe stato mai un affronto paragonabile ad occupare uno stadio. Lo stadio, capisci! Il santuario della maschilità! Il luogo sacro delle imprecazioni, delle urla, della birra e delle mani sul pacco! Mi stupisco anzi che nessuna psicologa abbia mai scritto niente al riguardo.”
“Sei sprecato su questa curva.”
“Lascia decidere a me dove sono sprecato.”
“Mi diceva Vì che l'altra squadra ha giocato le ultime quattro partite con cinque difensori e due mediani.” disse Teo in piena modalità ultrà. “Lo spettacolo innanzitutto.” continuò sarcastico scambiandosi uno sguardo d'intesa con il compare.
“Secondo me, stasera ce la riportano a casa sulla sedia a rotelle.”
“Cazzate, anche in cinque non riusciranno mai a prenderla.”
“Cinque sono tante, e possono diventare sette all'occorrenza con le due mediane che rientrano...ho paura che se si mettono in testa di prenderla, lo faranno eccome”
La partita iniziò quando il sole cominciò a farsi meno intenso.
Dopo appena cinque minuti fu chiaro a tutti gli spettatori che sarebbe stata più piacevole assistere ad una puntata di Un Posto Al Sole. Di solito si dice che una squadra gioca male perchè punta ad inaridire le fonti del gioco avversario, ma qui la situazione era molto più grave. Una squadra, quella avversaria, della parola giocare non conosceva neanche l'esistenza, mentre l'altra, quella di casa, che avrebbe anche saputo abbozzare qualche tentativo di manovra corale, era troppo impegnata a non scoprirsi in difesa.
“Allenatore cane, allenatore cane, allenatore cane...” ripeteva Teo come un mantra fra sè e sè mentre seguiva attentamente lo svolgersi del gioco.

Interludio (Teo, Ale)

Quest'uscita dell'irascibile Teo era il risultato di mesi e mesi di odio covato verso quell'uomo seduto in panchina. Lui e l'esteta del calcio Ale avevano già avuto modo di litigare furiosamente con l'allenatore della sua coinquilina. Tutto ebbe inizio durante una partita della stagione regolare, una partita già vinta sulla carta che il mister riuscì a perdere con delle mosse tattiche scellerate. La goccia che fece traboccare il vaso.
Il tecnico in questione era uno di quelli fedeli alla vecchia scuola del quattro-quattro-due, modulo che limitava le scorribande della terribile Vì nell'aria avversaria, in cui gli obblighi di copertura e l'esigenza di mantenere l'equilibrio tra i reparti vilipendevano il suo istinto di offendere.
Durante quella discussione, che sarebbe più preciso chiamare aggressione, Ale lo appellò con simpatici epiteti quali “vecchio bastardo” e "brutto stronzo", oltre ad inserire tra questo e quell'altro insulto anche qualche suggerimento di natura tattica, come ad esempio un modulo a tre punte che avrebbe permesso a Vì di esprimere in pieno la propria potenza di fuoco, mentre Teo, che era ormai fuori controllo, intento a descrivere i passatempi preferiti della madre del Vecchio Bastardo, veniva portato via a fatica da una camionata di spettatori intenti ad abbassare i toni della discussione e, se possibile, ad evitare una rissa.
Secondo l'arringa di Ale, più simile ad uno sfogo isterico in realtà, una volta schierata come punta, Vì avrebbe garantito alla squadra almeno un gol a partita, ma il suo allenatore non era affatto interessato alle disamine tattiche di un ragazzino. Ale non si arrese, decise in quel momento che non aveva seguito sedici campionati, tre mondiali (non volle mai considerare come tale quello del 2002), e tre europei per farsi ignorare; decise che non si era sorbito almeno trenta delle cento partite più brutte della storia del calcio per essere trattato come un novellino dal primo stronzo che faceva l'allenatore come secondo lavoro. Continuò così il suo dialogo sopra le righe con il tecnico della squadra. Teo, invece, cambiò deciso argomento lanciandosi in una disamina attenta della moglie del Vecchio Bastardo e dei suoi gusti in ambito sessuale.
“Per colpa vostra, brutti scemi patentati, oggi mi sono dovuta sorbire una sfuriata che nemmeno mio padre quando mi scoprì in bagno a fumare a quindici anni. Senza contare la seduta aggiuntiva di scatti alla fine degli allenamenti.” urlò Vi il giorno dopo quel colloquio poco amichevole.
“Stai esagerando...”
“Ale, ti ricordo che quello che stai scroccando è il MIO cibo.” rispose stanca Vì.

Ballata (Ale,Teo -Vivace)

Insomma, alla fine di questo breve excursus risultava chiaro che c'erano dei dissapori antichi tra i due attenti spettatori e l'uomo chiamato a guidare la squadra in questione.
Comunque la partita era una vera tortura, la manovra di Vì e compagne non trovava sbocchi concreti, mentre lo schema più gettonato delle loro avversarie era il tiraccio senza alcuna pretesa da trenta metri. La fine del primo tempo venne interpretata come un affrancamento da un padrone disumano.
“Io vado a fumare.” disse Teo ad Ale.
“Ma tu non fumi...”
Teo era già sparito. Naturalmente Ale aveva già capito cosa sarebbe successo da lì a poco. Appena il tempo di girare lo sguardo, infatti, e vide un riccioluto e losco figuro comparire alle spalle della panchina della squadra di casa. Dagli spalti, che erano posizionati esattamente di fronte alle panchine, si sentiì solamente farfugliare “Tre punte! Tre! Sai contare fino a tre?”.
Si stava seriamente rischiando l'incidente diplomatico proprio quando l'arbitro decretò la fine della prima frazione di gioco. Ale dagli spalti e Vì dalla panchina tirarono all'unisono un sospiro di sollievo.
Cominciò il secondo tempo e Teo, inarrestabile, riprese: “Sarà ora di attaccare? Rinforza 'sto cazzo di centrocampo e tutti in attacco, tanto queste non tirano neanche se ce le accompagni, nella nostra area.” Era tarantolato.
Poi si alzò un tifoso avversario, a giudicare dai colori della maglia che indossava, che aveva una diversa lettura tecnica della partita da proporre. E infatti gli gridò: “Ma stai zitto, coglione , ve ne facciamo quattro oggi!”
“Eeeeh, co 'sta flemma!”
Qualche scambio di battute dopo i due contendenti erano già faccia a faccia. Per fortuna Ale intervenne in tempo e riuscì a far sedere l'irto guerriero.
A dieci minuti dalla fine della partita successe quello che nessuno più si aspettava. Vì, insolitamente accentrata, fu servita al limite dell'area. Era seguita come un ombra dalla rocciosa centrale avversaria. Si girò, la guardò dritta negli occhi e la mise a sedere con una finta da applausi, avanzò di qualche passo portandosi la palla sul sinistro e, con un rasoterra preciso, scagliò la palla in fondo al sacco.
“IO AMO QUELLA RAGAZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!” urlò Teo in un impeto di gioia smodata. Tornò di corsa sugli spalti facendosi largo come poteva, con la grazia di un orso al balletto delle debuttanti. Ritornò da Ale e lo abbracciò e non mancò di far presente l'aggiornamento del risultato al tifoso avversario che prima lo aveva edotto sulla sua lettura della partita.

Sinfonia (Ale, Daniel, Teo, Vì - Vivace)

Alla fine dei novanta minuti i due continuarono a festeggiare come se avessero scommesso svariate buste paga sul risultato finale, e mentre aspettavano Vì e la sua compagna di squadra Daniela, si diressero verso il parcheggio del centro sportivo. Visto che il Katakali la Domenica osservava un meritato giorno di riposo, i due baldanzosi giovani e le due spossate calciatrici si diressero all'osteria di Gerri il Lercio. Una volta arrivati, Teo ordinò due birre, riempì quattro bicchieri, ne prese uno e alzandolo al cielo tributò il primo di una lunga serie di brindisi al talento di Vì.
Le piaceva quando le venivano riservate tutte le attenzioni possibili.
Le due sportive decisero di portare via i personali hooligans prima che superassero il livello di decenza ché non tutti i locali sono il Katakali, e non basta certo farsi chiamare il Lercio per poter aspirare a certi livelli.
Ale si fece lasciare a casa di Teo e Vì, non aveva voglia di andare a dormire, inoltre mandare a dormire un Teo così in forma sarebbe stato un vero e porprio crimine contro l'umanità.
“Sentite, canaglie, io voglio riposare. Ri-po-sa-re, chiaro?. Adesso me ne andrò in camera, mi infilerò nel letto e chiuderò gli occhi per riaprirli domattina. Fate in modo che io non debba mai alzarmi.” minacciò Vì lanciando il borsone con lo stemma universitario in bagno.
“Buonanotte, campionessa.” le disse Teo mentre Ale, intento a recuperare una bottiglia di vino dal frigo, fece il gesto di togliersi il cappello, agguantò la bottiglia, si girò verso di lei tributandole un inchino plastico.
“Vi adoro.” disse lei sparendo in camera sua.
“Vì, puoi lasciarci il computer?” le chiese Teo.
“Tutto vostro. Inutile dirvi che se ci trovio una macchia di vino siete morti entrambi.” disse seria Vì.
“ENTRAMBI” sottolineò poi guardando Ale che faceva finta di niente.
[E' risaputo che vietare un'attività è la maniera migliore per promuoverla] (si può dire meglio), e qundi i due amici si buttarono immediatamente su un certo cinema d'autore, ripercorrendo capolavori quali Blackzilla e La Mia Amica Ha Le Palle. Poi, spaventati dalla potenza comunicativa dell'opera, decisero di congedarsi dalla pornografia spicciola e di buttarsi sulla musica, cercarono eventuali date di concerti appetibili nelle zone limitrofi, scoprirono per caso che anche il Katakali aveva un sito tutto suo anche se dovettero constatare la sua semplicità e sostanziale inutilità. Passarono poi al calcio, lessero le ultime notizie sui convocati delle nazionali partecipanti all'Europeo e le ultime del calcio mercato. Poi finirono inevitabilmente a commentare video idioti e immagini di sedicenti fotografi e pittori sconosciuti.
L'indomani Vì si alzò e trovò Ale ancora una volta schiantato sul divano a crogiolarsi tra le braccia di Morfeo.
Non ne fu affatto sorpresa.
Qualche giorno dopo, probabilmente un Venerdì, il campanello suonò incredibilmente presto. Vì, al terzo squillo, si alzò abbastanza contrariata per quello che stava succedendo e per il menefreghismo del suo coimquilino, e andò a rispondere. Bussò alla porta della camera di Teo.
“E' per te, sbrigati.”
Teo emise un rantolo raccapricciante, raccolse qualche vestito da terra e si avviò a ricevere gli ospiti. Pensava che fosse Federica, la sua collega di corso che doveva passare per lasciargli degli appunti, e magari, nella sua fervida immaginazione, anche per qualcos'altro. Invece appena vide i due uomini sulla porta si accorse che uno di loro aveva una Bibbia in mano. Solo qualche istante dopo gli stessi due uomini stavano correndo giù dalle scale a più non posso, inseguiti dagli ombrelli di Vì che correvano a mezz'aria e lanciati dalla soglia dell'appartamento. Tornò in casa e puntò dritto verso la camera della sua dispettosa coinquilina, che stava nel frattempo soffocando dalle risate avvolta nelle coperte.
Quelle che arrivarono addosso a lei furono, invece, in sequenza: le di lui ciabatte, le sue infradito e le sue ballerine. Poi si passò al turpiloquio, marchio di fabbrica della furia di Teo e, non appena fece per girarsi e tornarsene in cucina dando le spalle a Vì, lei gli saltò al collo. Si azzuffarono per qualche secondo finché l'estrosa calciatrice non riuscì ad avere la meglio.
“Teo, seriamente, non credi che potresti almeno provare a parlare con qualcuno di questi tuoi scatti di rabbia? Non puoi continuare a dare di matto un giorno sì e l'altro pure. Io mi diverto tantissimo quando scleri, ma non penso che alla fine ti faccia così bene.”
“Riecco la mammina che riaffiora in superficie...se tu non avessi avuto questa alzata di ingegno io stamattina me ne sarei stato calmo e tranquillo a dormire almeno un'altra oretta, forse due.”
“Un'occasione del genere non mi sarebbe più capitata...", le scappò da ridere, "senti facciamo così, se ti vedo un'altra volta uscire di cervello entro domenica sera ti prendo a forza e ti porto dallo psicologo.”
“Va bene, mammina, vorrà dire che questo fine settimana non mi schiodo da 'sto divano.”
“No no no, non fare niente non é previsto dai patti.”
“Non è "niente"! Si chiama otium letterario.” rispose fiero lui.
“Stocazzo, Teo”
E ripresero ad azzuffarsi. Poi come al solito Vì ebbe la meglio, e Teo decise che dopo due disfatte in pochi minuti sarebbe stato più dignitoso tornarsene a dormire.