Ale, Teo, Vì (Concerto - andante)// Seconda parte

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Andante)

A Teo piaceva, passando per i vicoli, starsene ad ascoltare la musica che usciva dalle finestre, rubare conversazioni degli abitanti dei piano terra, annusare gli odori che uscivano prepotenti dalle cucine, osservare i colori delle case alternarsi sensa un minimo di criterio logico. Gli piacevano i segnali di vita quotidiana, avere la certezze che il mondo gli si muovesse intorno. A Vì e Ale bastava camminare.
Li rilassava, lo consideravano piacevole.
A una decina di metri dall'arrivo, mentre Vì era intenta a cercare le chiavi nella borsa, Ale cominciò a starnutire.
“C'è un qualche cazzo di gatto qui intorno.” affermò a fatica.
“Una gattina al guinzaglio, ad essere precisi.”
“E' quell'imbecille del piano terra, vero? A volte il mio cervello si rifiuta di credere che esista davvero. Li vendono da qualche parte i gomitoli di lana avvelenati?”
“No, ma i bastoni sono gratis! Però bisogna rimboccarsi le maniche, sudare un po' di più ed essere disposti a sporcarsi, ma il risultato è garantito.” gli rispose Teo.
Il destino decise di risparmiare loro il bis dell'incontro con la nevrotica coppia del primo piano, così poterono entrare in casa senza trovare ulteriori ostacoli.
“Pranzo?” chiese Vì.
“Pranzo!” le rispose Teo guardando Ale.
“E ti pareva.”
“Poco lamentare, tanto cucinare.A proposito, sai la novità?”
“Non mi farete pagare l'affitto per le notti che passerò qui, vero?”
“Mica male come idea...oh, non preoccuparti, nel caso ti faremmo un prezzo d'amico” disse Vì sorridendo.
“La buona notizia è che per la chiusura estiva il Katakali ha deciso di far tornare Vì a suonare di Sabato.”
“Oh oh oh, e brava.”
“Grazie cari, vi amo entrambi.”
“E come l'hanno presa i Creep Android?”
“Ovviamente malissimo, e questo mi rende ancora più soddisfatta! Giovedì sera me ne hanno dette di tutti i colori.”
“Bisogna capirli” li interruppe Teo “Stavano sognando da mesi di suonare alla serata di chiusura, l'addio a tutte quelle ragazzine truccate di nero in lacrime, e adesso che ce l'avevano fatta ad imparare quattro accordi arrivi tu, con la tua musica da capisco tutto io, e gli distruggi il sogno! Perchè non me l'hai detto ieri sera? Mi sarei divertito un mondo a farglielo presente!”
“Proprio per questo non te l'ho detto.”
“Teo, mi metti sull'acqua?”
“Col cazzo, Ale.”
“Grazie.”
Il Giovedì sera seguente Vì stava scoppiando dalla voglia di andare al Katakali, di correre a rinfacciare a quegli infangatori del buon nome del rock, che rispondevano al nome di Creep Android, che adesso era il suo turno. Vì stava spingendo i suoi comodissimi amici per arrivare al locale prima che il gruppo cominciasse a suonare, così da poter recapitare loro di persona le sue personali congratulazioni.
“E dai, vi volete muovere o no?” li esortò lei.
“Vì non cominciare a rompere le palle, adesso con calma ci alziamo e ce ne andiamo.” rispose Teo.
“E' quel con calma che mi preoccupa.”
Alla fine i due si videro costretti ad arrivare controvoglia in un locale ancora deserto. I quattro Creep Android erano già sul palco a regolare i volumi degli strumenti e a provare gli inserimenti delle basi elettroniche.
Quello che Rut, il proprietario del locale, chiamava palco era in realtà una fila di bancali che copriva in larghezza gli ultimi tre metri della pista da ballo, coperta con una moquette nera che odorava di morte e putrefazione, da tanto era là.
Vì si avvicinò loro in men che non si dica. Ale e Teo la videro iniziare a parlare accompagnata da quel sorrisetto tipico di chi si sta prendendo una giusta rivincita. Dopo pochi secondi il dialogo si restrinse tra lei e Pablo, il chitarrista del gruppo, che Vì odiava particolarmente. Lo odiava per via delle pose che era solito assumere mentre armeggiava con il suo strumento, che tra le altre cose era pure viola. Tutto quello che poterono vedere Teo e Ale da lontano era l'applauso a dir poco provocatorio con il quale lei concluse il suo discorsetto di incoraggiamento. Tornò al bancone, prese uno sgabello, si sedette e ordinò una mezza pinta di birra.
Rimase immobile per tutta la durata del concerto, mentre Teo e Ale erano impegnati ad inventarsi qualcosa per non morire di sonno. All'inizio concentrarono le loro attenzioni sulla ragazza di uno dei componenti della band, che ad ogni concerto di ogni settimana era in prima fila a piangere e a strapparsi i capelli, come se ogni settimana assistesse ad un Woodstock tutto suo. Purtroppo per i due accompagnatori di Vì la distrazione durò pochissimo perchè, come da copione, dopo una manciata di canzoni la sfegatata fan si assentava per andare in bagno, devastata dallo shock emotivo e con il trucco lavato via dalle lacrime. Per loro fortuna però, le porte del Katakali erano una fiocina inesauribile di sorprese.
“Teo guarda un po' chi è appena entrata?”
“O cazzo, Sonia!”
“Finalmente stasera ci si diverte.”
“Ma quale divertimento, se mi vede mi uccide.”
“Suvvia Teo, sii uomo e affrontala...cosa vuoi che ti faccia?”
“Non lo so, e sarei felice di non scoprirlo.”
Intanto Vì, seduta sullo stesso sgabello nella stessa posizione da quasi un'ora, stava fissando Pablo spegnere la sua elettrica e imbracciare, con posa teatrale, la sua acustica per la solita cover di Creep.
Le sarebbe piaciuta poter bruciare con lo sguarda quell'arrogante finto alternativo, ma a guardarla da fuori sembrava più che gli stesse per vomitare addosso una secchiata d'acido muriatico.
Iniziarono a suonare il loro pezzo di punta. Le parole cominciarono a risuonare nel locale.
When you were here, couldn't look you in the eye, you're just like an angel, your skins make me cry...
“Bè, certo che fa la sua porca figura, la signorina.” esclamò Ale guardando Sonia aggirarsi per la stanza in cerca di facce amiche.
“E' quello che ti frega...cazzo, mi ha visto.”
...you float like a feather, in a beautiful word, i wish i was special, so fuckin' special...
“Tò, chi si vede! Teo il nichilista! Come stai?”
“Io bene. La mia ricerca della verità un po' peggio, ma non demordo. Vedo con piacere che sei venuta sola, hai lasciato a casa i tuoi sette chakra stasera?”
...but i'm a creep, i'm a weirdo, what the hell am i doing here?...
“Il tuo sarcasmo è in gran forma vedo.”
“E cosa vuoi, diciamo che è un po' la mia rosa dei venti!”
...i don't belong here, i don't belong hereeeeee.
Visto l'accoglienza non proprio amichevole di Teo, Sonia decise di andarsene.
“Certo che hanno tempismo 'sti dilettanti.” disse rivolto verso il palco.
“Perchè?”
“Niente, Ale, un giorno la lingua inglese avrà un significato anche per te. E adesso seguimi, dopo questo spiacevole incontro ho un disperato bisogno di alcol.”
Raggiunsero Vì intenta a fischiare e accompagnare i suoi applausi con sfottò raccolti da ogni parte d'Italia. Una vera signora, non c'è che dire. Appena finito di suonare, Pablo lanciò la chitarra a terra e si diresse con uno sguardo da assassino verso Vì. Teo e Ale fiutarono nitidamente puzza di battibecco e si dileguarono veloci come lampi nella sala freccette.
La sala freccette al Katakali era uno di quei luoghi sacri tipo Las Vegas o Tijuana. Era l'unica stanza del locale con i tavoli a sedere, e nelle serate live i camerieri se ne tenevano alla larga, dunque si prendeva da bere al bancone e lì si andava solo per smaltire le fasi più deliranti e difficoltose della sbornia. Come al solito l'odore di erba aveva sopraffatto quello di ossigeno, le luci erano soffuse, per non dire spente, e ogni angolo era occupato da una coppia che presto si sarebbe spostata in bagno a finire quello che stava già facendo.
“Non puoi non sentirti a casa qua dentro.” osservò Teo.
Si diresse verso il tavolo al centro, dove quattro metallari erano impegnati in una bisca clandestina di poker all'ultimo sangue.
“C'è posto per altri due?” chiese Teo al tizio con la delicata maglia dei Cannibal Corpse.
“Qui si gioca a bevute amico, ogni fish è una vodka secca. Pensate di farcela?”
“Questa fish?” domadò sollevando dal tavolo il tappo di una Becks.
Il metallaro annuì distrattamente senza distogliere lo sguardo dalle sue carte. Ale e Teo si lanciarono uno sguardo d'intesa.
“Pensiamo di farcela.”
“Accomodatevi allora.” disse un altro con una canna da trenta centimetri in mano.
Dopo un paio d'ore fatte di sguardi intensi e abili mosse, i due si alzarono dal tavolo con quattro fish in mano a testa, diretti al bancone per capitalizzare la loro vincita.
“Quattro doppie vodke, mio caro Rut.”
“Sei la mia più grande soddisfazione, Teo.”
“Ma hai visto da qualche parte Vì? Era qua fino a un paio d'ore fa!”
“Sì, si stava per prendere a schiaffi con Pablo, poi se ne sono andati insieme.”
“INSIEME?”
“Pare di sì.”
“Pare che qualcuno questa notte non potrà tornare a casa.” lo sfottè Ale.
“Oddio a casa no! Dài, avrà avuto un po' di buon senso...”
“Vì? Sicuramente...”
“Allora avrò bisogno anche di un Rum e Pera....doppio, magari.”
“Ottima idea, facciamo due, Rut. Sempre doppi.” propose Ale.
“Tutti vostri ragazzi. E fatene buon uso.”
“Non mancheremo.”
Pochi minuti dopo i due ragazzi stavano mantenendo la promessa fatta al buon vecchio Rut nel bel mezzo del corso principale della città. Ale era intento a molestare ogni svedese, americana, inglese, francese e tedesca che incontrava. O almeno queste erano le sue intenzioni, ma non conoscendo neanche una lingua straniera, per non cadere in banali errori si limtò ad importunare tutte le ragazze che gli capitavano a tiro. Teo si era invece fermato a smontare pezzo per pezzo la vitalità di un liceale che faceva bella mostra della sua maglietta dei Marlene Kuntz, come fosse la bandiera del proprio anticonformismo e prova della propria ribellione. Gli piaceva molto destabilizzare l'equilibrio psichico di chi gli si parava di fronte.
Le prime luci dell'alba sorpresero Teo intento ad arrampicarsi sulle scale che lo separavano dal suo appartamento mentre si domandava con cosa avrebbe riempito il buco che le vodke e compagnia bella gli avevano lasciato nello stomaco. In quanto ad Ale, nessuno, neanche l'alba stessa, riuscì a capire dove fosse scomparso ad un certo punto della nottata.

Duetto (Teo, Vì - Andante)

Proprio mentre Teo si apprestava a decidere con cosa riempire la piadina che aveva fra le mani, Vì rientrò inaspettatamente a casa.
“Uh uh, guarda chi si vede? Come mai sei a casa? T'è andato storto qualcosa?”
“No no, tutto molto bene, una prestazione sessuale da applausi, se è questo che intendevi...devo dire che non me lo aspettavo, davvero.” rispose lei, con una tranquillità eloquente.
"..."
Il bello di parlare con Vì, in quanto laureanda in lettere classiche, era che conosceva tante metafore e perifrasi quante ne servivano per non rendere mai scarna e troppo diretta una conversazione.
“Sono onorato dalla tua sincerità.” disse sorpreso “Ma preferirei che omettessi certi particolari.”
“Oh, poverino! Bè, adesso sai che la cicogna non esiste. Prepara qualcosa anche per me ché sono affamata.”
“E ti credo...”
Il bello di essere uno studente di matematica per Teo era che in un dialogo, nessuno si aspettava che usasse voli pindarici o giri di parole per arrivare al punto.
"Sai una cosa? Non capisco proprio perchè voi donne dopo il sesso diventate più belle mentre noi uomini riusciamo solo a puzzare di più!”
“Perchè siamo una razza superiore.” propose sorridendo con una sana punta di femminismo.
“....comunque, anche a noi razza inferiore piace svegliarci ogni tanto con una ragazza al fianco, sai?”
“No no, niente baci né abbracci. E' solo sesso occasionale.”
“La tua freddezza è commovente”, le porse una piadina, “Buon appetito.”
Lei rispose con un cenno.
Alla fine decisero di fare un altro giro, il pasto era piaciuto. Erano rimaste quattro piadine e abbastanza condimento per tutte, e dare fondo alle scorte sembrò un atto dovuto.
“Comunque...devi andarci piano con quel ragazzo, così hai rischiato di rovinare tutta la sua futura vita sessuale.”
“Non esagerare, scemo.”
“Non sto esagerando, pensaci: hai preso un ragazzo, che sarà anche patentato e abiterà da solo, ma ha sì e no vent'anni, e gli hai fatto passare la nottata più furiosa della sua vita. Ora probabilmente è felicissimo, ma pensa cosa succederà quando si ritroverà tra le mani una matricola in preda ai suoi dubbi e alle sue ansie!”
“Ma per chi m'hai preso?”
Nessuna risposta, poi Teo la guardò di traverso, come se le parole fossero superflue in quel momento. Vì ricevette il messaggio e abbassò lo sguardo.
Recuperò l'uso della parola e continuò: “E comunque, almeno adesso se la smetterà di rompermi le palle. Vedrai che da oggi non criticherà più i miei accordi imprecisi, la mia tecnica approssimativa. Da oggi quando mi guarderà al massimo riuscirà ad emettere qualche sospiro legato al più bel ricordo della sua vita recente. Lo dovevo fare!”
“Diabolica, inafferrabile e vendicativa. Potrei anche innamorarmi di te se continui così.”
“Certo, e io potrei anche volare un giorno. Pensa alle piadine piuttosto.”
“E se dovesse cominciare a tartassarti di squilli?”
“E secondo te io gli ho lasciato il mio numero?”
“Anche spietata...” disse con voce languida.
“Ma che ci stai provando?”
Teo scoppiò a ridere.
“Brutto stronzo.”
Inutile dire che in pochi secondi la situazione degenerò in un amalgama di risate, lanci di tovaglioli, piatti di plastica e qualunque cosa fosse a portata di mano. Quando finirono tutti gli oggetti lanciabili e contundenti, si passò agli schiaffi. Di Vì, per la precisione.
“Osi sfiorarmi dopo aver fatto scempio del tuo corpo, donna?”
“Ma senti che discorsetti da femminuccia, prova a difenderti piuttosto.” gli disse lei cominciando a tempestarlo di colpi.
“Mi farebbe schifo anche solo pensare di toccare una peccatrice come te.”
“Allora lasciami fare, non ho mica finito di picchiarti.”
“Sei fortunata che il mio retaggio cattolico mi impedisca di alzare le mani su una donna, per quanto sporca possa essere.”
In realtà era la fase calante della sbornia a fiaccare i suoi riflessi, ma questo era fin troppo ovvio.
“Cazzate.”
Era incredibile quanta energia avesse ancora in corpo Vì, con quanta velocità schiaffeggiasse le braccia e le spalle di Teo e con quanta precisione colpisse sempre nello stesso punto.
“BASTA PAZZA!”
“E va bene, basta così. Ma solo perchè mi fai pena, debole e arrendevole come sei.”
L'abilità che aveva Vì nel far notare a chi le stava intorno i propri difetti senza farglieli pesare era da ricondurre sempre al fatto che fosse una laureanda in lettere classiche, ovviamente.

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