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Diritto all'odio è non averlo

Nella lingua tedesca esiste il termine schadenfreude che sintetizza un concetto molto comune in una sola parola: provare gioia e soddisfazione dalle disgrazie altrui. Secondo la tradizione popolare tedesca essa è la forma di gioia più pura, perchè nasce dal cuore e non viene filtrara da costruzioni sociali, quali il senso civico e la giustizia, che si sono stratificate con il tempo nella nostra coscienza. E' il sentimento che arriva intatto al nostro cervello nella forma più istintiva e animalesca possibile. Personalmente aggiungerei che è la vittoria finale del cinismo.
Nel Buddhismo esiste invece la parola mudita che esprime, al contrario, la felicità scaturita dalla buona sorte dell'altro. Ma si sa, il Buddhismo è una dottrina molto alla "volemose bene". Essa è conosciuta anche come gioia comprensiva o gioia convenzionale. Con la parola convenzionale si vuole intendere più diffusa, ma anche che essa è la più costruita, la più depurata dalla spinta vitale dalla quale scaturisce ad opera del nostro raziocinio. La più adatta a tutti in quanto priva di caratteristiche troppo estreme.
Come avrete capito fin dal titolo del post sto per parlare del faccia a duomo berlusconi-Tartaglia, ma questo breve excursus storico-linguistico mi tornava indispensabile per introdurre qualche concetto che servirà a non farmi passare da terrorista e pericoloso sobillatore man mano che proseguirete nella lettura.
Una sorta di polizza di responsabilità civile.
Al di là di tutto quello che giornalisti sobri fino alla nausea possano dire esiste un diritto all'odio. Esiste perchè un politico può chiedere ad ogni cittadino il voto, il consenso, e addirittura il rispetto se dimostra di essere coerente con se stesso, ma non potrà mai chiedere di essere amato. L'amore è certamente un sentimento nobile e alto e bla bla bla, ma ha il grossissimo difetto di finire. Così come può finire l'amore di una madre verso il proprio figlio, o di un figlio verso la famiglia che lo ha cresciuto, può finire anche l'amore e il rispetto per un avversario politico o un collega di lavoro.
Solo in un caso un uomo riesce a farsi amare da un popolo, ed esso è il caso della tirannia. Un popolo di sudditi ama il proprio dittatore, perchè egli ha saputo blandirlo e raggirarlo, un popolo libero elegge i propri rappresentanti e ogni giorno può e deve esprimere il suo consenso.
Non facciamo gli ipocriti per favore, tutti odiamo almeno qualcuno e tutti proviamo benessere quando quel qualcuno non ce la fa. L'odio fa parte delle pulsioni che muove l'uomo durante la sua vita, e provarlo è una delle cose più naturali che ci possa accadere.
Come ci si sente ad essere traditi dalle persone in cui si è riposta tutta la nostra fiducia?
Come ci si sente ad essere costretti al silenzio e ad essere presi a spintoni da chi ha la tua stessa tessera sindacale o di partito?
E che tristezza voi che non odiate niente e nessuno, voi che non sembrate mai infastiditi o scocciati e che non avete neanche un difetto degno di essere apprezzato, sul quale valga la pena ironizzare.
Ah, mi stavo scordando che dovevo anche parlare di berlusconi. Bè, in realtà non me ne frega niente delle sue condizioni di salute e di come l'attentato milanese sia potuto accadere, ma l'occasione è ghiotta e non posso lasciarmela sfuggire. L'occasione di rivalutare la filosofia spicciola agli occhi degli intellettuali molto sci sci che oggi riempono fogli di giornale ma soprattutto discoteche e programmi mediaset. E si perchè le uniche parole che meritano di essere sprecate sull'argomento sono quelle che pronunciò il buon Sylvester Stallone in Demolition Man: "Ci vuole un pazzo per beccare un pazzo".
Buona Schadenfreude a tutti!
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Il vento di Seattle

Come sta il popolo di Seattle dieci anni dopo la sua nascita? Più precisamente, dov'è oggi?
Dopo la caduta del muro di Berlino un altro anniversario parimenti importante è da ricordare in questi giorni: il 30 Novembre 1999, data in cui la generazione X smette di essere un'incognita e decide di imbracciare camicioni di flanella, sciarpe, pantaloni stracciati, e scende in strada per esplodere rabbiosa.
Dentro quei volti tagliati dal vento di Seattle c'erano ragazzi additati da tutti come andati, bruciati, irrecuperabili. Alcolisti, drogati, amorali, annullati dalla televisione e dai promo commerciali, svogliati e privi di stimoli, incapaci di provare emozioni. Eppure quel giorno erano tantissimi.
La realtà è che forse dentro quei volti c'erano semplicemente dei bambini che provavano nostalgia per cose che non avevano avuto mai, come una famiglia amorevole e una vita serena, che avevano capito che tutto quello che veniva fatto vedere loro era irraggiungibile. Che non era possibile per tutti diventare una rockstar, andarsene in giro con una Corvette, surfare tra bionde procaci in bikini che ti strizzano l'occhio. Il popolo che per primo aveva capito che il sogno americano, alla fine degli anni novanta, era andato. Morto e sepolto. Che la copertina patinata che ricopriva i sorrisi smaglianti delle celebrità nella realtà era solo vento gelido che ti ferisce le mani e il viso.
Il popolo di Seattle oggi sta male. Molti avevano sperato che il 1999 fosse la data di nascita di una presa di coscienza collettiva, e invece non è successo.
Siamo ancora alle prese con gli stessi problemi, siamo inseguiti dalle stesse paure e rincorriamo ancora gli stessi sogni, perchè ci terrorizza ancora l'idea di dover uscire da noi stessi, di essere obbligati a condividere esperienze e opinioni, di essere costretti a credere che domani sarà tutto migliore per non sentirci persi adesso.
Dico siamo, si, perchè il popolo di Seattle siamo noi. Voi trentenni che eravate a Genova, testimoni in presa diretta della stesura di una delle pagine più vergognose della nostra storia recente, voi non ancora trentenni che sarete a Copenhagen a vedere, una volta di più, che le sorti del mondo si decidono con cene in ristoranti a cinque stelle, pacche sulle spalle, battutone da vecchi marpioni e discorsi pirotecnici. Voi tutti che domani sarete a chiedere le dimissioni di silvioberlusconi, uno di quelli che ha saputo trasformare le ansie e le perplessità delle gente in paura, e sfruttarla per istaurare un governo totalitario, giustizialista senza giustizia e schifosamente maschilista.
Il grido di Seattle del 1999 è ancora oggi il nostro grido, ma temo che la pioggia l'abbia sommerso e che lo stesso vento che lo vide nascere lo stia disperdendo. Forse, come succede per tutte le cose, il tempo ha attutito il nostro rumore.
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Parole parole parole

In questi ultimi tempi più che mai ho sentito dichiarazioni ridicole, pensierini degni di bambini di quinta elementare che si approcciano timidamente alla scrittura e accozzaglie di cagate vomitate da bocche che meriterebbero solo di essere riempite di calci.
Vorrei cominciare la rassegna con il nostro (vostro) ministro della giustizia Alfano, che intervistato a caldo sul caso Cucchi riuscì a dire che non aveva ancora strumenti per valutare l'intera faccenda, ma che era certo dell'ottimo operato della polizia.
In sintesi: non aveva strumenti, però ne era certo.
Continuo con quello che Luttazzi, citazione obbligatoria vista la recente uscita del suo ultimo libro, definì tempi indietro come l'essere umano più stupido del mondo insieme a britney spears (scusate le minuscole...anzi, scusate un cazzo!). Parlo naturalmente di Carlo Giovanardi che, come il treno della breccia, quando tutti hanno già detto tutto tranne la verità sul caso Cucchi, arriva come un calcio nei coglioni a ricordarci che la stupidità umana e l'universo hanno in comune il fatto di essere infiniti. Non divaghiamo. L'uomo più stupido del mondo ha attribuito la causa della morte ai soli 42 chili di Stefano, come se i chili che se ne vanno dal nostro corpo uscissero a cazzotti e sprangate lasciandoci ossa rotte e occhi tumefatti.
Bravo Carlo, hai detto la tua ora puoi anche andartene affanculo.
Segue a ruota l'incontenibile Daniela Santanché che dà in diretta televisiva del pedofilo a Maometto, e non essendo sicura che il messaggio sia passato, lo ripete per un pomeriggio intero, ora più ora meno. Peccato che la signora più a destra della destra dimentichi che la cultura greca così come quella romana, che sono le nostre radici prima e più della cultura cristiana, era popolata da un mare di recchioni, lesbiche lussuriose e pedofili petulanti.
Brava Daniela, ora segui Carlo.
Il mio compito di bastonatore diventa più complicato ora che mi appresto a parlare della sentenza della Corte Europea sul crocifisso appeso nelle aule. Su questa faccenda sono state veramente sprecate secchiate di parole, dalle rivendicazioni dei forcaioli integralisti cristiani che abitano in vaticano e in padania, fino alle timide proposte di mantenere bassi i toni dello scontro del sempre più scialbo partito democratico. A proposito, condivido l'idea alla base delle primarie, perchè è giusto far scegliere ai propri elettori in che modo essere inutili.
Sto ancora divagando, cazzo.
Quello che non ho sentito dire da nessuno però è il fatto che tenere un crocifisso nelle scuole vuol dire impartire nozioni e cercare di dare una cultura ai genitori di domani riconoscendo però l'esistenza di una verità diversa ed incontrovertibile. Insegnare a farsi domande per comprendere il perchè delle cose accettando allo stesso tempo che ci sia una verità assoluta che non si può né capire né dimostrare, solo accettare.
Tenere i crocifissi nelle aule di tribunale vuol dire amministrare la giustizia riconoscendo che ce n'è una che è al di là, diversa e superiore a quella dell'uomo. E' realmente accettabile tutto questo? O il punto della questione è ancora una volta il negro cattivo che ci vuole rubare l'identità nazionale?
Alla fine del discorso mi ritornano in mente le lezioni alla scuola elementare e media della lingua italiana, quando le maestre, con le loro maledettissime penne rosse, dipingevano i miei fogli di protocollo sotto ogni "un'altro", "andiamo ha casa", "o fame" e via discorrendo. Di primo acchitto può essere un ricordo fuori luogo, ma in realtà erano le prime volte in cui qualcuno cercava di farmi capire l'importanza delle parole e della capacità di sapersi esprimere, che sono due elementi fondamentali per essere e sentirsi liberi.
Discreta giornata a tutti.
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In direzione ostinata e contraria

Il parroco delle Piagge a Firenze ha dichiarato marito e moglie Sandra Alvino, nata uomo e donna da 30 anni, e Fortunato Talotta, già sposati da 25 anni con rito civile nonostante il veto di due anni fa del cardinale Ennio Antonelli.
Il parroco ha voluto concludere la cerimonia con la canzone di Fabrizio De Andrè Smisurata preghiera, poesia elegante e fortissima che trasuda disobbedienza da ogni verso.
Il parroco e i coniugi sanno già che l'atto verrà annullato in breve tempo, ma non per questo hanno deciso di mollare. 200 persone hanno assistito alla celebrazione.
Evviva i bastardi dunque, mi viene da dire sulla scia del nuovissimo e fiammante Tarantino, siano essi preti, reietti o disobbedientu, perché di gente che non riesce ad ignorare la propria coscienza ne abbiamo bisogno oggi più che mai.
"Come una svista
Come un'anomalia
Come una distrazione
Come un dovere".


Fonte: City, Lunedì 26 Ottobre

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Realtà e fantasia

Apprendo oggi da uno dei pochi giornali non in mano ai comunisti rimasti in Italia una notizia interessantissima. Pare che il picchiatore dell'inter Marco Materazzi abbia fatto causa all'ispettore Coliandro per una battuta pronunciata durante la puntata del 10 Febbraio di quest'anno, in cui l'attore recitava la seguente frase: "Quel bastardo di Materazzi si è fatto espellere un'altra volta".
Se pensate che fare causa al protagonista di una fiction sia già una cosa incredibile, bé, aspettate di ascoltare le richieste di risarcimento: un euro per ogni spettatore della puntata.
In breve, potrebbe accadere che la Rai, cioè noi, venisse costretta a pagare due milioni e trecentottantamila euro a Marco Materazzi per danni morali.
Tempi duri per chi vuole far ridere senza essere famoso in questo paese.


(Fonte: Dipiù, 14 Settembre 2009)
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Failed revolutions

Quando non ho da fare niente, come oggi pomeriggio, ci tengo a comportarmi come se non avessi nulla da fare. Di conseguenza anche se potrei fare, che so, una doccia, una passeggiata, una sana litigata con qualche familiare che invade i miei già ristrettissimi spazi vitali, decido invece di rimanere inchiodato al letto. Una forte affermazione del mio essere diverso. E penso.

E penso.
E penso. Penso al personalissimo rapporto che ha l'uomo con la solitudine. Eh sì, perchè c'è chi la brama, chi la odia e chi addirittura la teme, ne ha paura e cerca in ogni modo di evitarla.

Penso che la televisione in fondo non sia poi tanto diversa da dio o da un centro commerciale. La sua funzione è farci compagnia, sollazzare i nostri sensi, ma come tutti i palliativi, dopo l'overdose iniziale, riesce solamente a lasciarci più confusi e spaesati.
Prima di internet e della televisione, prima dei selvaggi pomeriggi di shopping, prima della Play Station e delle sfide a Pro Evolution Soccer (Winning Eleven, per i più nostalgici), c'era un solo pensiero in grado di tenerci compagnia anche nei momenti più grigi: la donna.

La musica ci insegna per prima l'importanza delle donne nelle nostre vite, quante canzoni avete sentito intitolate con nomi femminili? Molte immagino.
E allora provo a immaginarle anche io queste donne della musica.

Ad esempio, Katrien dei Mogwai me la immagino come un turbinìo violento di emozioni: sanguigna, idealista, indomabile. Quelle storie che quando finiscono ti lasciano addosso un'amarezza arresa che non se ne andrà mai più via.

La destinataria di She's like heroin dei System of a down è sicuramente una fiamma che brucia violenta. Ha un ritmo insostenibile, è deviata e imprevedibile, di conseguenza irresistibile. L'amore dannato che ti porta alla rovina, e la parte peggiore è che tu te ne accorgi, ma non puoi farci niente. Un'autodistruzione consapevole. Non molto diversa dalla Lory Meyers dei Nofx.

La Daughter dei Pearl Jam è sicuramente un'adolescente che ha fretta di crescere: capelli arruffati, niente trucco e poco curata, molto carina lo stesso. E' una ribelle per necessità e non per moda, anche se a tradirla sono quegli occhi limpidi e indifesi e quei lineamenti morbidi. Rifiuta di essere trattata e custodita come un cristallo fragile e grida a denti stretti la sua capacità di stare al mondo. Una tosta che non ha tempo per innamorarsi, ma tremendamente insicura. E' la sorella maggiore di Aurora Sogna dei Subsonica, anche se non vuole sentirselo dire.
Certo l'ultima arrivata è cresciuta in ambienti molto più digitali e all'avanguardia stilistica, seppure alienanti allo stesso modo. E anche se alle sfuriate preferisce chiudersi ogni volta di più in sè stessa, l'incapacità di sentirsi a proprio agio tra gli altri è la stessa della sorellona a stelle e strisce.

Di ben altra pasta è Per Elisa di Battiato. Una predatrice senz'anima: ti punta, ti prende e ti molla; a te rimane solo quella stupida e virile illusione di controllo, che ti porta inevitabilmente a distruggerti. E' il prodotto ultimo delle rivendicazioni femministe degli anni settanta, forgiata da decenni di sottomissioni, allenata a prendere ciò che vuole. Ma sotto quel volto fermo e determinato trapela un po' di stanchezza, perchè non si può essere una macchina perfetta per sempre.

Un piacevole incontro, perchè mai dimenticata, è invece Persa degli Altro, che rappresenta quella storia lontanissima nel tempo di cui non si hanno più ricordi di momenti o episodi precisi, solamente emozioni. E' quella piccola ferita nel cuore con cui hai imparato a convivere.

Ci sono però anche delle figure che non riesco bene ad inquadrare. Donne sfuggenti, intriganti e molto molto affascinanti. Di una ne parlo solamente per pochi secondi, è Karola Bloch dei Port-Royal: un'ossessione incessante, ma allo stesso tempo dolce e melodica. Di lei ti colpiscono soprattutto le mille sfaccettature della sua personalità. L'altra invece ci tengo a presentarla, si chiama Eva Green e alle tue orecchie arriva così:
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Sporcarsi

Vorrei una volta per tutte fare chiarezza sui recenti avvenimenti afghani che hanno portato alla difesa ad oltranza di questo o quell'altro ideale. Ho visto video vergognosi, post raccapriccianti e striscioni immondi cercare di fare della scellerata ironia, e tutto questo mi fa schifo.
Mi fa schifo perchè io non starò mai dalla parte di chi fa saltare in aria delle persone in nome di un dio. L'islam, come ogni culto, è sinonimo di violenza, prevaricazione ed oppressione, e questo dovremmo saperlo tutti, ma sembra che ce lo ricordiamo solo quando a parlare è un vecchio bacucco vestito di bianco.
Mi fa schifo vedere gente morire in nome della bandiera italiana, simbolo che riesce ormai a rappresentare solo qualunquismo, arrivismo e pompini.
Mi fa schifo perchè un video che gira su un social network riesce a smuovere più consensi e indignazione di migliaia di persone che muoiono nei cantieri edili o nelle vasche avvelenate di una qualsiasi azienda. E' facile fare come i cani ed abbaiare quando tutti abbaiano, ma allora mi chiedo: dove è in questi momenti il nostro senso critico al quale ci appelliamo per crederci migliori degli altri?
E' giusto indignarsi perchè sei morti italiani hanno avuto un funerale di stato e migliaia di morti afghani sono destinati a decomporsi sotto le macerie di qualche palazzina costruita con lo sterco, ma non scordiamoci mai che se ciò avviene la colpa è anche nostra che del capitalismo interpretiamo la parte degli sciacalli, che ci piaccia o meno.
Non sarò mai a favore della guerra e non considero eroe nessun militare, visto che ho evitato di farlo con tutte le mie forze, e perchè mi rendo conto che se si decide di fare un lavoro del genere bisogna mettere in conto la possibilità di una morte atroce. Ma attenzione a demonizzare la violenza, perchè i nostri nonni non ci hanno liberato mettendo i fiori nei cannoni dei fascisti, non ci hanno regalato un futuro da esseri umani invece che schiavi rotolandosi nel fango a Woodstock strafatti di acidi. I freakettoni che a tutti tanto piacciono oggi sono a tenere corsi di yoga ai manager di aziende fallite, a produrre (industrialmente) cibi vegetariani per assecondare le ultime tendenze più o meno giovanili dei milanesi cool e a tentare di curare la gente con un sacco di stronzate che risponde al nome di medicina alternativa.
Io sono sempre dalla parte di chi lotta, che lo faccia per riuscire a sfamare e a garantire una vita dignitosa alla gente che ama o per riuscire a tornare a casa vivo la sera. In ogni maglietta sudata che rientra a cena da una giornata di lavoro c'è dignità, e questo non va mai scordato, soprattutto per chi si nasconde dietro la falce e il martello per gridare il proprio dissenso.
Abbasso i freakettoni.
Abbasso i talebani.
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Ovunque

Annoiato è la prima parola che mi viene in mente guardando l'oceano. Nella terra non ho le mie radici, forse ci sono state, e nel buio riesco ormai ad orientarmi. Ogni volta io vorrei ascoltarti, ma riesco solo a sentire il suono dell'eco della tua voce. Ovunque e per sempre, che tu sia per me il coltello.
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Di nazismi più o meno conclamati

Della scarsa capacità diplomatica di Ratzinger ce ne eravamo già accorti tutti in occasione della sua visita in Africa, casualmente il continente più afflitto dalla piaga dell'Aids. Evidentemente, però, per il Papa non era ancora abbastanza, e così ha pensato bene, nel suo ultimo intervento, di dare del nazista a "l'uomo che fa dell'arbitrarietà il suo sistema di vita".
Ecco, rispondere a questi deliranti sproloqui vuol dire prodursi in un breve excursus sull'ordine gerarchico della Chiesa Cattolica.
All'apice troviamo il Papa, cioè Ratzinger stesso, che è vescovo di Roma, capo della chiesa e autorizzato a dire, a quanto pare, qualsiasi cosa gli passi per la testa.
A pedinarlo in seconda posizione c'è, poi, il Camerlengo, cioè la figura chiamata a sostituire il Papa stesso quando è fuori città o quando è dentro una bara.
Nel gruppo Champions troviamo anche, in rigoroso ordine d'importanza, la figura del Cardinale e dell'Arcivescovo, Quest'ultima categoria viene ulteriormente suddivisa, per ragioni che sfuggono alla mia mente troppo terrena e limitata, in: Arcivescovo Maggiore e Metropolita.
Papabili (notare il ricercato gioco di parole) candidati per la coppa Uefa sono, invece, il Primate (con buona pace del buon Darwin), il Patriarca, il Vescovo, il Vescovo Ausiliare e il Parroco.
Nei bassifondi della classifica fino alla lotta per la retrocessione troviamo poi il Viceparroco, il Presbitero e il Diacono.
Per ultimi e senza più ambizioni di gloria figurano i Monaci.

Poi ci sarebbero le donne...sì, ma dove?
Vabbè le suore...certo, le suore....

E visto che le parole ormai non hanno più valore è perfettamente prevedibile l'appellativo di nazista a chiunque non condivida questa ideologia, come se si possa nascere atei e poi diventare cattolici solo se lo si desideri.
Intanto i veri nazisti, completi di uniformi e atteggiamento tronfio, ci sono eccome. Sono organizzati in gruppi, riconosciuti dalla nostra Repubblica, rispondono agli ordini di Gaetano Saya e pattugliano le strade di Milano.
Nazista....
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Against

Scrivere mi piace. Alfano no.
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E' solo febbre

Di solito quando arriva il periodo degli esami si pensa a tutto pur di non studiare. Per questo, ultimamente, mi capita molto spesso di pensare al fenomeno che sta prendendo sempre più piede nella nostra società e che risponde al nome di design. Che poi è un suono molto ricercato per dire architettura delle cose e degli ambienti, da quanto ho capito. Esigenze che tale fenomeno vuole soddisfare, in ordine sparso d'imporanza, sono: vivere nel bello, vivere nell'arte senza troppo impegno, esteriorizzare la propria personalità attraverso le curvature delle linee degli oggetti di cui ci circondiamo.
Sempre da quanto ho capito.

Guardo il servizio sul salone del mobile a Milano.
Ci sono ragazze fiche, tanti tailleur, scarpe lucide, pelli abbronzate, galloni di martini, tazzurelle giapponesi, sushi a profusione; techno minimale a condire il tutto. Poi, in mezzo a tutto questo, una poltrona da diecimila euro.
Arte, dicono.

Eppure, a pensarci bene, tutto ebbe inzio quando l'uomo delle caverne, per riposare più comodamente, sistemò nella sua caverna un mucchietto di paglia per terra sul quale dormire. E io, a migliaia di anni di distanza, ho il terrore di tornare a casa un giorno, ansioso di vedere il debutto dell'Italia ai mondiali del 2010, e trovare centocinquanta coglioni con calici di martini e sushi in mano che parlano di arte del concetto, di concetto nell'arte, e che commentano il mio divano.
"Un ottimo mix di retrò e vintage, un gusto unico, particolare. Le sue linee pronunciate creano una rottura con l'ambiente circostante, quasi a simboleggiare un'armonia persa e mai più ritrovata. Posso sapere chi è il creatore di questa meravigliosa opera?"
"Falegnameria Igino."
"Non conosco..."
"Bé, ha avuto i suoi momenti."

Che poi è la stessa cosa con le sfilate di moda.
Guardo i servizi al telegiornale e vedo ragazze esili come giunchi che caracollano su un palco, tacchi altissimi, vestiti sobri e per nulla appariscenti.
Come quelli indossati dai manifestanti del gay pride per capirci.
Ancora, modelli-manichini non meglio identificabili e invasati vari ingiustamente premiati dalla vita, come ad esempio Roberto Cavalli, o Flavio Briatore, non ho ancora capito la differenza. Poi, come degna conclusione, sento i lifting di Donatella Versace parlarmi di made in italy. Anche questa è arte, dicono.

E penso ancora all'uomo delle caverne di cui sopra che scuoiava qualche animale per coprirsi con le sue pelli ed evitare così di morire di freddo. E io, a migliaia di anni di distanza, ho il terrore di uscire di casa, incazzato per aver appena scoperto che le provviste di birra sono finite, ed essere fermato da un uomo avvolto in una tunica bianca, o da una donna vestita come un pavone, che mi chieda a quale collezione appartenga la mia maglietta, e che elogi il mio stile ricercatamente trasandato.
"Così essenziale eppure così denso di richiami...e la completa mancanza di accessori, poi, che colpo di genio! Sarà la nuova frontiera: liberi, autentici, alla riscoperta di noi stessi. Posso sapere chi è il suo stilista?"
"Buonsenso."
"Italiano?"
"Si, ma non lo conosce nessuno."

I comuni denominatori fra le due situazioni che sono riuscito a trovare sono l'ormai celeberrimo uomo delle caverne e Milano. Ora, il nostro amico con la clava ha già il suo bel daffare a procurarsi il cibo combattendo con animali che pesano dieci volte lui, a non morire di freddo nella sua grotta non certo accogliente, a trovare una compagna con cui perpetrare la specie e mantenere vivibile e relativamente pulita una caverna dalla metratura smisurata; addossargli quindi anche le colpe delle umane scelleratezze mi sembra eccessivo.
Resta Milano, dunque, unica città al mondo dove bello si dice cool, brutto si dice out, spostare una sedia si dice feng shui, rilassarsi si dice chill out, il rumore del mare che esce dallo stereo si chiama new age, e ogni cosa che fai e che sei ha un nome inglese che non significa un cazzo. Dove è tutto così eccessivo che neanche mangiare macrobiotico, ballare techno radical chic e vestire metro sexual ti rende diverso.
Va da sé che in un posto del genere arte potrebbe benissimo voler dire, che so, delirio, immondizia, pattume. O merda, perché no.
Ma, a pensarci bene, Milano è la fedele riproduzione in scala di un'intera società che tende alla caricatura di se stessa, in cui le persone sono retrocesse allo stato di cyborg: sentono gli stimoli solo se fortissimi, i loro sensi sono catturati solo da ciò che è esagerato, incredibile. Dove la dimensione intima è un pericolo mortale, ogni emozione deve essere pubblicamente esposta e spettacolarizzabile.

Milano è il luogo dove tutto diventa prima brand e poi trendy, dove tutto nasce grotteco e muore ridicolo. Milano è la metastasi di ogni pensiero, il pus di ogni contaminazione, la deriva di ogni idea.
Una delle cose peggiori che l'uomo abbia mai creato.
Certamente qualcuno potrà farmi notare che bisogna in ogni caso avere rispetto per il lavoro altrui, perchè dietro il processo di creazione che porta ad un mero prodotto, ovvero un mobile o un vestito, ci può essere un'idea nuova o un concetto particolare, ma io sono un empirista e valuto la realtà dalla realtà, non dalle intenzioni, quindi me ne sbatto i coglioni e continuo ad abbaiare.
"Se piacerà, ti piacerà."
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Zone azzerate

Che a Napoli la gente si fosse abituata alla morte non è un fatto di cui meravigliarsi. Non è una questione di cinismo, semplicemente di sopravvivenza. Vivere in una zona dove sparatorie, regolamentidi conti, e spesso tutte e due le cose insieme, sono all'ordine del giorno, significa intorpidire i sensi e l'indignazione e cercare di guardare oltre. Sentiero forzato se si considera poi uno Stato assente, latitante come chi spara, impegnato il più possibile a tenersi fuori dalla faccenda.
Ma questa volta non si è trattato di abitudine alla morte, non è stata l'ennesima e sciagurata, seppur prevedibile, tappa dell' "abituarsi alla fine". No, questa volta immagini inequivocabili hanno mostato gente infastidita da un uomo esanime ferito a morte da un proiettile vagante. Pensieri del tipo "Te guarda 'sto stronzone, proprio qui doveva venì a morire, che se mi macchia i pantaloni cazzo racconto a mia moglie?". Ecco, trasferite questo discorso in dialetto napoletano e avrete l'esatta misura della barbarie della civiltà moderna.
L'Italia che scappa dalla pietà impaurita, che timbra il biglietto per superare le sbarre che contengono la misericordia. Non male per il meno laico tra gli stati laici del mondo, che su valori di uguaglianza, aiuto, perdono, pretende di fondare una società senza popolo, un circolo di imprenditori e avvocati, il salotto buono e raffinato di project managers e private bankers.
Volti nascosti dietro osceni occhiali da sole dai lineamenti deformati dal butulino che inseguono il mito di flaviobriatore e tronchettiprovera.
La stessa società senza coscienza di popolo che scappa come un gregge davanti alla pecora sfortunata ferita a morte per non fare la stessa fine. Così piena di libertà, con quella faccia abbronzata, e quella pelle liscia e a prova di tempo, con quel gusto del bello e quell'amore per la famiglia. Eppure desoltamente misera.
Misera come la finta sinistra che a Napoli si, la camorra è una gran piaga, però questi rom hanno davvero rotto i coglioni. Ecco, la sinistra che invece insegue il diegodellavalle di turno, che magari avrà anche un aspetto più sobrio degli altri due sue colleghi, ma di certo ne condivide intenti e fini.

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Appena prima di votare.

Domani ci sono le elezioni europee. Come al solito, non so ancora cosa fare, mi sono ridotto a decidere all'ultimo momento. Va bene, ripasso un pò.
Di votare chi scopa bambine non me la sento, ma questa volta vorrei spezzare una lancia a favore di Zilvio, perchè se è vero che lui è una carogna semiumana nutrita a soldi, è anche vero che ormai in giro si trovano certi troioni...e vabbè, quindi uno è escluso. Cioè, in realtà ho già escluso tutti, dato che Fini e Bossi sono nel Pdl, e Casini e Storace orbitano intorno il nostro premier piantachiodi come mosche intorno alla merda (paragone non proprio gaelico, ne convengo, ma rende molto bene l'idea). Strano eh, ho deciso di non votare chi scopa bambine e già, tra politici e preti, non mi è rimasto più nessuno da votare. Belli i tempi (diversi) in cui nel nostro paese si poteva scegliere tra la destra di Borsellino e la sinistra di Berlinguer!
Parlando di sinistra, bè, come al solito uno si gira dalla parte cui sente di appartenere e gli si gela il sangue.
Franceschini, o mio dio Franceschini. C'era quasi riuscito a sorprendermi quando tuonò "Vorreste che i vostri figli fossero educati da uno come Berlusconi?", e invece il giorno dopo subito a chiedere scusa e ad assicurare di essere stato frainteso. Dovrebbe sapere inoltre, il sg. Franceschini, che alcune frange di periferia del suo partito propongono nel loro programma elettorale l'istituzione delle ronde di sorveglianza notturna. Forse non c'entrerà niente con le europee, ma mi preme molto sottolinearlo per due motivi: primo, è una cosa che proprio non mi va giù, e secondo, è la prova schiacciante che la Lega ha vinto. Perchè se riesci a far sentire la gente in pericolo in un paese di tremilacinquecento abitanti dove si viaggia alla media di un'autoradio rubata e qualche cassonetto divelto all'anno, parlando di atti di delinquenza notturni, e dove sono tutti parenti di terzo o quarto grado, bè, allora hanno già vinto. Non ho finito, è inutile progredire, non serve a niente lo sviluppo tecnologico, internet, i mezzi di comunicazione, non sono serviti a niente neppure il muro di Berlino, le stragi degli anni '70 e piazza Tienanmen, se poi nel 2009 la sinistra riporta lo squadrismo nelle strade.
Ma andiamo avanti, ovvero ancora più a sinistra. Oddio, non ho seguito molto il movimento di questi partiti dopo le scorse elezioni, ero rimasto alla Sinistra Arcobaleno e al Partito Comunista dei Lavoratori. Adesso sono troppi, aiuto, ho perso già il conto e la voglia di interessarmi a ciascuno di loro.
Insomma, alla fine di questo post cosa fare ancora non l'ho deciso, anzi, sono ben lontano dall'averlo fatto. Stavolta però una cosa la so, a votare ci vado, perchè è dovere di ogni italiano impedire che i cani che ci rappresentano escano dai nostri confini. Sono sicuro che quasi tutti voi ricordate le immonde figure di merda che la Lega ci fece fare qualche anno fa a Bruxelles. Vi prego, non mandiamo gente che ha schedato bambini rom, e che con il decreto sicurezza farà schedare anche i barboni, a rappresentarci in Europa. E' vero che ormai siamo la barzelletta del continente, ma quel poco di amor proprio che ci è rimasto teniamocelo, cazzo.
Concludendo, solita frecciatina alla chiesacattolica ché altrimenti non mi sentirei a mio agio con me stesso. Vengo a sapere che il processo di santificazione (si dice così?) di Karol Woijtyla ha subito un brusco arresto a causa del ritrovamento di uno sterminato archivio epistolare appartenuto al vecchio papa stesso. In soldoni, Giovanni Paolo II rischia di non diventare più santo perchè per cinquantacinque anni intrattenne rapporti con una donna. La fedina penale della sua anima è forse irrimediabilmente macchiata per il fatto di aver considerato suo pari un essere inferiore quale è la donna, di averle addirittura concesso di dialogare del più e del meno con il papa in persona, massima autorità spirituale del mondo e bla bla bla. Alla faccia del sessismo, e alla faccia del cazzo, anche.
Spero con tutto il cuore che prima o poi si scopra che Woijtyla ci fece sesso, e svariate volte visto che ci siamo, con questa fantomatica signora, perchè renderebbe la sua figura molto più umana e alla portata di tutti. E perchè in questi tempi così bui è di grandi uomini che abbiamo bisogno, di santi in giro ce ne sono già troppi.
A proposito di grandi uomini, e questa volta concludo veramente, date un'occhiata al discorso che Obama ha tenuto ieri sera a Il Cairo, poi, per faavore, tributate due madonnoni alla pochezza dei nostri politici. Ne passerà di tempo prima che un Franceschini qualunque se ne vada a strappare applausi all'università più antica e prestigiosa del mondo arabo.
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Requiem (The Crimson Sunset)

Era una uggiosa giornata di Settembre, Teo era affondato nel divano a guardare i cartoni pomeridiani mentre Lucio stava togliendo le ultime cose dalla camera.
Livia, così si chiamava la nuova coinquilina che aveva scelto Teo, aveva chiamato dicendo che sarebbe arrivata dopo pranzo.
“E' finita la pacchia, caro il mio stronzone! Niente più calzini ovunque. Niente più rutto libero dopo i pasti e pantaloni sempre addosso, anche a Luglio.”
“Mi dispiace ma sui rutti non transigo”
Dopo due anni di convivenza Teo e Lucio assomigliavano più a una coppia sposata che a due amici. Lucio ricordava ancora il giorno in cui conobbe Teo.
Era al gabinetto dopo il terzo caffé della giornata quando all'improvviso suonò il cellulare.
“Pronto? Si mi chiamo Matteo, ho ventuno anni e chiamo per l'annuncio trovato in facoltà della singola in affitto. Mi chiedevo se fosse possibile vederla.”
A giudicare da quelle parole, se Lucio non avesse fatto visitare la casa a Teo non avrebbe mai capito che razza di idiota fosse. Gli bastò qualche minuto per capire che era lui quello giusto, appena il tempo di farlo entrare, di poter osservare il suo volto da quattordicenne, il suo casco di ricci, i suoi occhi vispi che emanavano luce propria dentro ad una spessa barriera di vetro, di svolgere le presentazioni di rito e fargli esclamare “Ma questo tappeto è stupendo!”
Solo uno con le rotelle fuori posto poteva farsi colpire da un tappeto nella scelta di una stanza dove poter abitare.
Un attimo dopo ecco Lucio che descriveva il vicinato a Teo come per prepararlo ad inevitabili incontri spiacevoli, come se fosse già uno della casa. E in effetti lo era. Da quel giorno si seguirono due anni di pazzie, feste, discussioni, concerti, tutto rigorosamente insieme. Da quel giorno nacque quell'amicizia destinata a durare una vita.
Suonò il campanello, Teo si affacciò alla finestra, perchè con citofoni e campanelli non aveva grande dimestichezza, e vide Livia per la seconda volta in vita sua, piccola piccola come poteva sembrare dal terzo piano. Scese e la aiutò a portare su le valigie, con lei c'era anche la sua amica Daniela, ovvero due tette con dietro una ragazza.
“Allora? E' arrivata la nuova coinquilina?” domandò Ale al telefono.
“Sì, Livia è arrivata dopo pranzo.”
“Passerò per conoscerla il prima possibile.”
Naturalmente il prima possibile per Ale significava l’ora di cena. E se non fosse venuto accompagnato da Vanessa si sarebbe potuto pensare che volesse scroccare una cena. Tipa strana questa Vanessa, aveva delle fisse particolari.
“Piacere, Ale.”
“Livia.”
“Vanessa.”
“Livia, piacere. Questa è la mia amica Daniela. E’ da quando sono arrivata che Matteo mi parla di voi, finalmente vi conosco! Ale sta per Alessandro giusto?”
“In realtà è Alexandro...lo so che è strano, ma i miei si erano messi in testa di darmi un nome che fosse solo mio!”
“Perché non Floriano, allora? O Ezechiele, perchè no?”
"..."
"Scusa, scherzavo!"
“Non volevano darmi un nome strano o spocchioso. Volevano un nome normale, come tanti, ma con qualcosa che lo rendesse unico. So che è orribile, chiamami Ale e la risolviamo così”
Passarono molto tempo a chiacchierare e a conoscersi. Sembravano funzionare bene tutti insieme, ma Teo, e in cuor suo anche Ale, sapevano che Vanessa se ne sarebbe andata presto, era troppo evanescente per fermarsi più del necessario. In quanto a Lucio, beh, era stato il compagno di mille serate per Teo e Ale e sapevano bene che sarebbe stata dura farne a meno per un anno intero. Tuttavia non si respirava malinconia nell'aria, c'era una bella atmosfera, serena, distesa. C'era la sensazione che ricominciare sarebbe stato bellissimo ancora una volta.
Poi, dopo i brindisi di rito alla partenza di Lucio e le promesse di raggiungerlo prima o poi Dublino, Ale, Vanessa e Daniela se ne andarono.
“Simpatici i tuoi amici, penso che mi troverò bene qua. Certo che Alexandro...insomma, una x sarebbe un carattere particolare? Non ha senso!”
“E’ Ale che non ha senso", fece spallucce, "Imparerai a volergli bene.”
Vì era stata avvisata del fatto che Lucio sarebbe dovuto rimanere per un pò nella casa dopo il suo arrivo. L'aereo per Dublino sarebbe partito due giorni dopo e non gli era conveniente tornare a casa per un lasso di tempo così ristretto. Naturalmente avrebbe dormto sul divano lasciando alla nuova arrivata la camera. Livia non aveva sollevato problemi al riguardo.
“Hai più sentito Katrien?” chiese Lucio a Teo.
“Qualche settimana fa, poco dopo il suo ritorno a Belfast. Mi ha detto che il viaggio era andato bene, che aveva un sacco di cose da fare, rivedere i vecchi amici, trovarsi un nuovo appartamento in città per l'anno che stava iniziando. Cose così. Mi ha fatto piacere sentirla.”
“Quindi è proprio finita?”
“Sì, Lucio, è finita. Fin da prima che se ne andasse.”
“Mi dispiace per te amico, veramente. Katrien era davvero una ragazza incredibile, ma te l'avevo detto che non ti sarebbe convenuto metterti con una studentessa Erasmus.” disse, non con il ghigno di chi sapeva di aver ragione fin dall'inizio, bensì con il sorriso triste di chi condivide il tuo dolore.
“Cazzo, Lucio, non è che ogni cosa debba essere per forza come la lezione all'università. Non è che ogni storia debba avere per forza una morale, o debba contenere una lezione da imparare. Capita che ci si innamori e basta. Vuoi la lezioncina? Eccotela, prendi nota: è nella nostra natura cercare un senso in quello che ci succede, ma il più delle volte una storia, bè, è semplicemente una storia. Non ci sono progetti divini che muovono gli eventi, non c'è un fine ultimo, non è una metafora e non ci sono indizi da svelare per arrivare alla soluzione. Anzi, non c'è neanche una soluzione di solito. Una storia inizia e finisce. Nel mezzo si consuma. Punto. Non è che per questo non possa essere bella ed emozionante. Poi ci sono le storielle, più corte e più semplici, quelle in cui inizio e fine coincidono, molto spesso nello stesso luogo, e anche quelle sono certamente degne di essere vissute.”
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Lucio (Sinfonia - Vivo)

Era arrivato a Dublino in un giorno di pioggia di Ottobre. All'aereoporto lo aspettava il suo tutor che lo avrebbe accompagnato in un ostello al centro, o almeno avrebbe dovuto essere là ad aspettarlo, visto che Lucio non vedeva proprio nessuno. Una volta all'ostello, il buon Lucio avrebbe aspettato tre giorni per iniziare ad occupare l'appartamento che proprio il suo tutor gli aveva trovato.
Si sedette su una panchina nella zone dell'entrata dell'aereoporto, prese il biglietto che gli aveva dato Ale pregandolo di leggerlo solo una volta sbarcato in Irlanda. Lucio lo tirò fuori dalle tasche, stropicciato e acciacciato com'era, cercando di renderlo leggibile senza strapparlo. Lo srotolò e lo lesse.

Caro Lucio,
ti ho fregato 20 euro, mi servivano...te li ridò quando torni!
Ale

“Brutto figlio di puttana!” esclamò ad alta voce.
Il ricordo della corsa dell'ultimo minuto al bancomat per ritirare i soldi per il biglietto che gli avrebbe permesso di non perdere il volo era ancora troppo vivo per riuscire a contenere la rabbia.
“Manco buon viaggio m'ha scritto 'sto stronzo.”continuò a sfogarsi ad alta voce, tanto nessuno avrebbe capito quello che stava dicendo.
E così Lucio era finalmente sbarcato in Irlanda. Dentro di se fremeva, ma in quel momento stava provando anche un po' di paura, non sapeva dove andare né conosceva la faccia di chi avrebbe dovuto aspettarlo all'aereoporto, di chi avrebbe dovuto già essere lì per lui.
I suoi pensieri, come al solito, correvano veloci nella sua testa. Pensava a come potesse essere l'ostello, a come avrebbe passato i primi tre giorni da solo in un paese sconosciuto, a che tipo di persone potessero essere il ragazzo portoghese e la ragazza francese con i quali avrebbe dovuto vivere.
Pensava anche a Katrien, la ex-ragazza di Teo. Pensava che avrebbe potuto chiamarla, che Belfast da Dublino non è certo una traversata atlantica, che in fondo erano stati sempre in buoni rapporti nell'anno e mezzo abbondante che ha girato per casa sua, che non era mica per provarci, anche se in fin dei conti non ci sarebbe nulla di male visto che con Teo era tutto finito, che era solo per rivedere un'amica, che sarebbe stato solo per visitare la città che era piaciuta a Teo, che il mondo è dannatamente piccolo, che magari non glielo avrebbe detto al suo vecchio amico, giusto per non riaprire inutilmente una vecchia ferita, che forse a ripensarci sarebbe stato meglio dirglielo per una questione di sincerità, che poi a chiamarla così, a bruciapelo, non avrebbe neanche saputo cosa dirle di preciso, che magari le avrebbe mandato una mail.
Era sempre stato un ragazzo deciso, in Italia.
Pensava anche a tutto quello che aveva lasciato alla partenza, insieme alla sua decisione. Pensava che aveva fatto proprio bene ad andarsene, che un anno a Dublino gli avrebbe cancellato Daniela dalla testa, che lei gli piaceva proprio tanto, che dopo un anno a provarci senza mai esagerare, senza mai forzare i tempi, come un vero signore, almeno un bacio se lo sarebbe meritato, che sentiva che si stava innamorando già da qualche mese e avrebbe dovuto lasciar perdere in quel momento, che era maledettamente testardo, che non poteva certo farsi fare le scarpe da quello sfigato del ragazzo, che poi è sempre così: più è speciale la ragazza e più è odiosamente stupido il suo ragazzo, che era partito da un giorno e già gli mancava, che a Natale l'avrebbe rivista quando sarebbe passato in città a trovare Teo e Ale, che magari lei gli sarebbe corsa incontro saltandogli addosso, che lei avrebbe sofferto molto per la sua assenza, che fino a Natale ne sarebbe passata di acqua sotto i ponti, che magari, durante le prime festività utili, una capatina in città ce l'avrebbe infilata volentieri, che almeno avrebbe potuto provare a dare qualche esame, che in testa aveva proprio un gran casino.
Solo una cosa sapeva, che i due coinquilini per quanto fantastici potessero risultare, non sarebbero mai stati capaci di rimpiazzare l'occhialuto Teo e il bastardo Ale, e a proposito di Ale, quando sarebbe tornato in città avrebbe dovuto ricordarsi assolutamente di sganciargli due schiaffi. Prima di riprendersi i soldi naturalmente.
Pensò anche a Vì per un attimo. Pensò a quando Daniela gliela fece conoscere la prima volta dicendo che cercava una singola non troppo distante dal centro. Oltre ad essere veramente una ragazza carinissima, gli era sembrata anche alla mano e brilante, chissà, magari Teo avrebbe trovato qualcuno in grado di rispondere per le rime alle sue battutine taglienti. Ripensò a quando disse a Teo che aveva trovato questa ragazza, e ricordò il riccio geniaccio rispondergli che finalmente, la camera che era stata sua fino a tre giorni prima, avrebbe cominciato a profumare.
Intanto, fuori dalla sua testa, un uomo sulla quarantina con il capello fluente e con un piede fuori dalla macchina lo guardava suonando ripetutamente il clacson.
“Luscio? Lusìo?” urlava il capellone.
“Sì, Lusìo...adesso sò diventato brasiliano!” commentò a bassa voce.
Raccolse le sue valigie e si trascinò verso la macchina.
E verso un anno di Dublino.
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Ale, Teo, Vì (Concerto - Presto) //Seconda parte

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Presto)

Con il nuovo mese sarebbero arrivate due buone notizie: primo, i nuovi coinquilini di Ale, secondo, Lucio stava per tornare da Dublino. Ale arrivò qualche giorno prima a casa di Teo e Vì con la notizia che aveva ricevuto molte chiamate per gli annunci delle stanze. I due furono subito contenti perchè quando le cose gli andavano bene erano feste e cene pagate, non c'era cosa che si fosse mai rifiutato di offrir loro. In cambio però, quando andava male, non avendo neanche lontanamente la voglia e la costanza di lavorare, se non saltuariamente, occorreva provvedere al suo mantenimento. Inoltre i rapporti di Ale con il mondo del lavoro erano avvolti da una cortina di sfiga impenetrabile. La sua ultima occupazione consistette nel registrare le prenotazioni in un ristorante di un certo livello. Uno di quelli in cui per andare a mangiarci devi prenotare due settimane prima. Uno di quelli in cui, anche se il tuo compito è solo rispondere al telefono ed accompagnare i clienti al loro tavolo, devi essere in giacca e cravatta. Teo ha sempre ricordato trattenendo a stento le risate il giorno in cui Ale si presentò a casa sua recluso in quel completo. Aveva la stessa faccia di uno che ha appena parlato per venti minuti con chi conosce il segreto della vita senza capirci nulla. I suoi occhi verdeazzurro erano smarriti, proprio non ci si riconosceva in quel vestito. Resistette contro ogni previsione per quasi due mesi, a detta sua perchè c'era una "gnocca di cameriera che non ti immagini", ma anche perchè la paga era sicuramente buona. Anche quello infatti era uno di quei periodi in cui avrebbe dovuto pagare da solo il faraonico affitto di una casa di centottanta metri quadri.
Comunque l'arrivo imminente dei nuovi coinquilini teneva tutti sulle spine. Teo non perse tempo a sciogliere le briglie alla sua fantasia. Si immaginò nell'ordine: una bionda polacca all'ultima follia concessale dalla vita prima di diventare veramente adulta; una riccioluta, esile cantautrice francese che cercava di farsi pubblicare la sua prima demo; una aspirante modella dominicana, che un po' di esotico ci sta sempre bene. Vì , dal canto suo, si sarebbe accontentata di uno spagnolo dallo sguardo magnetico in vacanza studio, o un nuotatore professionista australiano. In realtà arrivarono due matricole di Ingegneria, inchiodati dalla mattina alla sera ai rispettivi pc, un seminarista pelato e francese di quasi trent'anni che "io non sapevo che un seminarista fosse un prete che non è ancora prete, giuro", e una ragazza greca devastata dall'acne con gravi disturbi alimentari.
Il seminarista storse un po' la bocca all'idea di dover vivere con una ragazza e cadere così in tentazione. Poi quando la vide capì che di tentazioni non ce ne sarebbero state. Più incazzato il seminarista sembrò quando arrivo Raul, galiziano all'apparenza senza macchia, ma con il vizio di coltivare piante sospette in casa. La prima settimana con la casa di nuovo completa si concretizzò in diverse risse verbali tra Raul e il seminarista, con la greca che somatizzava la tensione ingurgitando quantità elefantiache di feta. Per quanto riguardava i due nerd, bè, non riuscivano proprio a vivere off-line. Ad Ale fu subito chiaro che se ne sarebbe dovuto andare per mantenere un pò di raziocinio, e quale posto migliore se non il divano dei suoi migliori amici?
Dopo una settimana passata a dormire sul divano Ale non si era ancora arreso a tornare a casa sua. La cosa spaventò Teo perchè, pensò, un guerriero può anche deporre le armi, ma al suo riposo non può rinunciare mai. Inoltre la preoccupazione di Teo era accentuata dal fatto che Ale desiderava a tal punto non tornare a casa sua che aveva cominciato a comportarsi come un ospite, e non come uno di casa come aveva sempre fatto. Puliva i piatti, passava lo straccio, e un giorno lo trovarono addirittura a pulire il bagno. In almeno una delle due case la convivenza scorreva tranquilla quindi.
Tranquilla, sì, ma anche compressa. E proprio questo aspetto rappresentava la minaccia più seria alla serenità della convivenza. O almeno questo era il pensiero di Teo, che stava cominciando a studiare come risolvere la situazione.
Una sera mandò Ale a fare la spesa per avere l'occasione di avere un faccia a faccia sincero con la sua coinquilina. Nonostante i toni decisi, Vì non se la sentì di abbandonare Ale a se stesso nello stato di straccio logoro in cui si trovava. E con il suo voto contrario, Teo dovette arrendersi all'idea di poter riappropriarsi del divano nel breve termine, sebbene riuscì a strappare una clausola di tipo temporale sull'armistizio.
La seconda settimana, come facilmente prevedibile, i problemi cominciarono a farsi più frequenti.
Una sera Ale era particolarmente depresso. Stava guardando la televisione con Teo, mentre Vì era nella sua stanza a gironzolare per il web con il suo fiammeggiante Mac. Naturalmente, appena il computer molto cool della calciatrice e cantante entrò nel campo visivo di Teo, lui appiccicò con lo scotch un post-it a coprire la mela che contraddistingue il prodotto, sul quale prima aveva avuto premura di disegnare (volontariamente male, a detta sua), un grappolo d'uva. Tornando alla sera in questione, le avvisaglie che una tragedia fosse imminente si erano avute già a cena quando Ale, dopo aver dato il primo morso alla sua pizza Margherita, appoggiò disgustato i resti dello spicchio sul cartone. Fece un sospiro e rantolò qualcosa del tipo
“Se penso che di solito questa pizza la dividevo con Vanessa.”
“Porca puttana, Ale.” esclamò Teo schifato dall'amarezza che trasudava il suo amico.
Si alzò e cominciò a camminare in tondo nella cucina allentandosi la maglietta all'altezza del collo, come se stesse soffocando. Intanto che camminava e gesticolava ripeteva “Triste, triste, triste,...”
Vì si limitò a guardarlo attraverso la frangetta e dire “E dai Ale, così mi si innervosisce il bambino!”
“...una persona triste...irrimediabilmente triste...”
Ale guardò Vì abbattuto e riuscì solo a emettere un sospiro.
“...una vita che agonizza...”
“Dai Ale, fa un po' male, ma vedrai che passa.”
“...un'anima che muore....triste e sola...”
“EBBASTA TEO NON TI CI METTERE ANCHE TU.” si impose lei.
Poi, senza aggiungere altro, avendo perfettamente compreso la gravità della situazione, si sbrigò a finire la pizza e si fiondò in camera sua. Teo avrebbe potuto giurare di averla sentita chiudersi a chiave. Fatto sta che Ale sul divano non faceva altro che parlare delle virtù di questa moderna Beatrice, mentre Teo avrebbe preferito assistere, senza diritto di intervento, ad una conferenza sul nichilismo dei testi di Ian Curtis.
“Senti, Ale, non per cattiveria, ma oggi è stata una giornataccia in facoltà. Non ho voglia di parlarne. Facciamo così, prendi il mio cellulare, ho dei giochi bellissimi, io intanto vado in bagno a sgozzarmi.”
Due ore e mezzo dopo Teo non si era sgozzato, ma Ale era ancora sprofondato nel divano con il cellulare in mano, che aveva nel frattempo attaccato al caricatore, visto che aveva sfinito la batteria a furia di giochini programmati per fanciulli con la metà dei suoi anni.
“Senti, non che mi dia fastidio il fatto che tu sia seduto ininterrottamente da nove giorni sul mio divano, che tu abbia preso possesso in modo ormai irreversibile di casa mia, che, infine, tu ti sia appropriato anche del mio cellulare del quale sono schifosamente orgoglioso, ma non sarebbe più comodo per te giocare con il computer di Vì? Almeno non consumeresti i tuoi occhi su uno schermo da tre pollici”
“Ma sei scemo? Non ti ricordi di chi era il computer?”
“Primo: il computer NON era di Vanessa, l'ha solo comprato da una sua amica. Secondo: non è che da oggi in poi tu possa evitare tutti i pub, i bar, i supermercati, le strade, i vicoli e tutti i luoghi e gli oggetti che abbiano avuto a che fare con lei negli ultimi, che so?, VENTIDUE ANNI DI STORIA!”
“No no, non esiste proprio. E poi sono arrivato al decimo livello! Sto andando un gran bene.”
“Due ore e mezzo per arrivare al decimo livello?...sei sicuro di aver superato gli esami di quinta elementare?” esclamò basito “Vabbè và, io me ne vado a dormire, tu continua pure. Fa come fossi a casa mia.”
Era chiaro che Ale se ne sarebbe dovuto andare. Molto presto.
Naturalmente la mattina dopo, mentre Teo e Vì erano in cucina a fare colazione, Ale ronfava sul divano provato da una notte pazza di Tetris, Coca-Cola e biscotti alla panna.
“Ale mi fa tenerezza, non capisce che ogni individuo è completo in sè. E' perfetto nella sua individualità.” e questo era stato senza dubbio il capolavoro zen di Vì.
“Sentivo proprio la mancanza delle tue perle di saggezza orientale. Oggi pomeriggio vado a comprarmi un taser.”
"Per una volta, ti prego, sii serio. Ale sta soffrendo.”
“Hai ragione, ci penso io. Finisco di fare colazioe e vado a parlargli.”
Vì preparò la borsa, una pettinata veloce al bagno e se ne andò.
Grosso errore.
Teo andò in salone, svegliò Ale e gli disse "Ale, è molto importante per il sereno prosieguo della nostra amicizia che tu te ne vada. Ora. Mi dispiace, ma se continuiamo così fra due giorni al massimo ti mettiamo le mandi addosso."
Avrebbe potuto usare un pochino più di tatto, in effetti.
Continuò: "Cazzo, in fondo una casa ce l'hai, e poi li hai scelti tu i coinquilini."
"Sì, ma il prete mi rompe se vado in giro a petto nudo. E' impossibile dire una cosa del genere, dovrebbe essere bandito dal ventunesimo secolo. E considera che i due nerd, negli ultimi due giorni che sono stato a casa, hanno parlato solo di un'armatura squamata. Poi, se vuoi un altro carico da undici, c'è la tipa greca che apre la bocca solo per vomitare. Non so nemmeno come cazzo si chiami!"
“Ad ogni modo, questa è stata l'ultima notte che passerai qua fin quando non tornerai un uomo degno di questo nome."
"..."
"Lo faccio solo per il tuo bene.”
E fu così che Ale se ne andò, dove non lo disse mai.

Duetto (Teo, Vì - Presto)

“CERTO CHE QUANDO TI CI METTI SEI PROPRIO UNO STRONZO. Ti ho chiesto di aiutare Ale e tu che fai? Lo mandi a vivere sotto un ponte? MA SEI SCEMO?”
Vì avrebbe voluto strappare a Teo gli occhi dalle orbite con un piede di porco.
“Senti, non credo neanche io che la sua depressione se ne andrà tornando a casa sua con la fagocita feta e i druidi guardiani del Vallo di Adriano, ma almeno così non ci andremo anche noi in depressione.”
“NON E' QUESTO IL PUNTO. Il punto è che hai abbandonato un amico che aveva bisogno d'aiuto.”
“Non l'ho abbandonato. L'ho costretto ad affrontare i suoi demoni. Sai bene che Ale non l'avrebbe mai fatto di sua spontanea volontà, che sarebbe scappato in eterno. Senza considerare che così almeno noi potremo tornare alla nostra vita serena.”
Riuscì a cavarsela così, ma in cuor suo sapeva che un minimo di ragione Vì ce l'aveva. D'altra parte, con Lucio a Dublino, la spaventosa Kitty che si aggirava per casa di Daniela, e l'opzione Vanessa cancellata per sempre, di alternative non ce n'erano: Ale era destinato alla strada.
Magari se quel disertore della cultura avesse frequentato anche solo una lezione in quattro anni di università avrebbe altri amici a cui potersi appoggiare per un paio di giorni. Senza contare che ad accogliere un seminullafacente. nonché compendio in sessanta chili di tutte le distrazioni possibili, se la sarebbero sentita in pochi. A volte siamo semplicemente la persona sbagliata al momento sbagliato.
Comunque sia la partenza di Ale aveva effettivamente riportato speranza nella vita di Teo, che già da tempo si era immaginato dietro le sbarre di una lurida cella in seguito all'omicidio plurimo dei suoi due amici. Non avrebbe potuto sicuramente reggere tutte insieme una Vì posseduta dalle mestruazioni e le ultime esalazioni di un amico ridotto in fin di vita da una micidiale combinazione: inconsapevolezza circa il proprio futuro, pene d'amore, conflitti abitativi.
Si accorse che Vì era entrata nel suo fantastico periodo una sera, rientrando dopo cena dall'aula studio notturna della facoltà. Appena aprì la porta sentì in modo chiaro delle urla provenire dal salotto, esitò un attimo, poi, decisamente incuriosito si decise ad entrare. Trovò Vì sola e nascosta in una coperta che le scopriva appena i capelli che stava visionando, con molta attenzione, un generico film porno.
“Salve.” disse lui con un tono di voce più alto del normale per farsi notare.
“Ciao.” Mugolò lei.
“Ti direi che questa situazione è strana, se solo bastasse a descriverla.”
Lei non rispose, era completamente assorta dalle pose plastiche dei due pornodivi. Teo non sapeva bene cosa fare in realtà.
“Non capisco cosa ci sia di così interessante nel porno...è solo violenza meccanica...penso che se potessimo vederci da fuori, in terza persona diciamo, mentre facciamo l'amore, ne rimarremmo disgustati e smetteremmo di farlo. Guarda che posizioni hanno, non si scopa mica così, stanno forzando la natura...non è mai auspicabile forzare la natura.”
“Questa situazione rispecchia fedelmente l'andamento delirante della mia vita.” considerò ad alta voce Teo.
“Hanno reso artificiale la cosa più istintiva e naturale del mondo...come costruire un cuore di plastica, impiantarlo in un cadavere e sperare che funzioni...ma cosa c'è in fondo a tutto questo edonismo?”
“Ho capito. Mi piacerebbe continuare a parlare del niente con la versione addolorata della mia coinquilina, ma non posso. Me ne vado a dormire. Ciao. Se ti serve qualcosa, un aiuto, un sostegno morale, della morfina o non so cosa, non chiamami. Sono in camera. A domani.”
Entrò in camera, afferrò la sua scorta mestruale, considerò l'eventualità di comprare un televsore da sistemare sopra l'armadio, mise Holiday In Camobodia dei Dead Kennedys e si tuffò nel letto pronto a perdere i sensi.
Un giorno sì e uno no Ale tornava a trovarli a pranzo, e un giorno si e uno no trovava anche Teo che faceva di tutto per evitare la sua coinquilina, quindi il distacco era stato solo parziale. Evitava sempre di dire dove era attualmente domiciliato, e questo aveva fatto pensare a Vì che forse, e a quel forse si aggrappava con molta speranza, fosse andato a bussare alle porte di Vanessa.
Sta di fatto che dopo neanche due settimane Ale si arrese all'idea di dover passare almeno un altro mese tra gruppi di studio di teologia, abboffate di formaggio tipico ellenico, le piante d'erba di Louis, e manuali da druido in celtico antico dei nerd.
Strane traiettorie prende a volte la vita, per quanta strada si possa fare, spesso il punto iniziale e quello finale coincidono.
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Ale, Teo, Vì (Concerto - Presto) // Prima parte

Preludio (Teo - Presto)

“Teo?”
“Sì, chi è?”
“Sono Sonia, la ragazza di ieri sera.”
Sonia, la cassiera del Game Over.
“Volevo chiederti se avessi impegni per stasera...”
“Mmh, impegni?.., no! Sono completamente privo di impegni al momento.”
“Ah, bene...perchè oggi avrei il giorno libero e...ecco, mi chiedevo se ti andasse di incontrarci per un aperitivo.”
“Certamente.”
“Pensavo al Daydrinking, è un posto carino, ci sei mai stato?”
“No. Dov'è?”
“Hai presente il quartiere di Porta Augusta?”
“Sì.”
Tombola.
“Allora, da Porta Augusta prendi a destra in Via delle Ceneri, continui per un paio di fermate superando la Coop, il pronto soccorso e la facoltà di Medicina. Là troverai un parcheggio da dove si vede un Blockbuster in lontananza, lo raggiungi e sei in via Aldo Moro, a quel punto continui in discesa per un centinaio di metri e prendi la prima a sinistra in Via delle Campagne. Tutto chiaro?”
“Ceneri a destra, filmacci al centro e campagne a sinistra. Niente di più facile.”
“A stasera allora.”
“A stasera, cara. Ciao.”
A che ora aveva detto Sonia? Soprattutto, si era parlato di orari al telefono con Sonia?
“Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo” urlò Teo guardando il soffitto, e più probabilmente oltre, “Che imbecille...a che ora va a fare l'aperitivo la gente normale? Alle sei? Troppo presto, entro e mi ritrovo da solo in un posto sconosciuto. Alle sette? Magari è già li che mi aspetta pensando che sono uno di quelli che se lo tira, appena entro mi stampa uno schiaffo in faccia e se ne va. Fantastico, Teo, davvero fantastico.”
Insomma, dilaniato dal dubbio, Teo alle cinque e mezza si aggirava già avanti al Blockbuster. In tre minuti, forse a causa degli ormoni che gli avevano amplificato il senso dell'orientamento e velocizzato le gambe, era già davanti al Daydrinking. Che era chiuso.
“SO-NO-U-NO-STRON-ZO. STRON-ZO STRON-ZO STRON-ZO” urlò al suo riflesso su una vetrina di un negozio di cosmetica.

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Presto)

Vì entrò in casa. Andò in cucina, appoggiò la borsa, prese uno di quei bicchieri da una pinta rubati al locale, lo riempì d'acqua e se lo svuotò in quattro secondi scarsi. Poi la sua attenzione fu rapita da quella macchietta rosa sul frigo. Era un post-it.
“SONO AL DAYDRINKING. SPERO DI TORNARE DOMANI. Teo”.
Vì sapeva bene che Teo scriveva in maiuscolo solo quando era molto felice. Fece un ghigno satanico, accompagnato da una sinistra risata, e cercò il cellulare.
“Ale?”
“Ciao Vì, dimmi tutto”
“Non indovineresti mai!”
“Vuoi regalarmi mille euro?”
“Meglio. Teo ha un appuntamento. Adesso. E so dove.”
“Mi stai dicendo di andare a pedinarlo e di sabotargli la serata?”
“Tu mi leggi dentro.”
“Arrivo.”
Forse Ale sapeva deformare il tempo e lo spazio, forse Ale era il fratello illegittimo di Flash, fatto sta che in undici minuti undici suonò al campanello di Vì, che forse sapeva teletrasportarsi, che forse era la sorella illegittima del fratello illegittimo di Flash, fatto sta che undici secondi undici apparve dal pianerottolo delle scale ad Ale.
“Daydrinking. Subito.”
“Lo conosco, ci ho fatto un paio di serate l'anno scorso. E' dalle parti della facoltà di Medicina. Un cesso di posto. Uno di quelli in cui se non prendi qualche cocktail fosforescente ti guardano storto. Andiamo.”
Passarono il tragitto a fantasticare su chi potesse essere la ragazza con cui doveva vedersi Teo. Il ventaglio delle possibilità era molto ampio. Era un soggetto talmente strano che poteva effettivamente incontrare chiunque. Continuarono così a camminare, ridere e chiacchierare.
Il locale apriva alle sei e Teo in quel momento rimpianse di non fumare. Aspettò smanioso la fatidica ora e non appena si aprì la porta si fiondò dentro a farsi una birra ristoratrice. Alle sei e mezzo cominciò ad entrare qualche coppia e qualche gruppetto di amici, ma di Sonia non c'era neanche l'ombra, e Teo continuava a ristorarsi. Alle sette uno squillo all'ormai ubriaco ma stakhanovista eroe annunciava l'arrivo di Sonia. Corse in bagno a recuperare un aspetto umano e tornò a sedersi al suo posto accuratamente scelto, proprio davanti l'entrata. Alle sette e un quarto finalmente Sonia entrò.
“Ciao, Teo” bacio bacio “è molto che aspetti?”
“Ma scherzi? Sono qua da cinque minuti appena.”
Il suo alito al luppolo avrebbe potuto testimoniare il contrario.
Alle sette e mezzo una curiosa coppia varcò la soglia del locale. Una biondina vestita da abat-jour e uno spillo poco più alto che riempiva a fatica una stravagante camicia si sedettero al tavolo più in ombra di tutto il locale.
"Ma io la conosco, Vì, la conosco!"
"E chi sarebbe?"
“E' Sonia, la cameriera del Game Over...hai capito il buon vecchio Teo!”
“Non l'ho mai sentita nominare. L'ho mai vista?”
“Non penso. Ci siamo stati l'altra sera al Game Over, mentre tu eri occupata con Pablo.”
"Io non ero con Pablo, ero a casa. Da sola."
"Da sola con Pablo."
"Guarda che vermante non l'ho più visto dalla settimana scorsa."
"Va bene, il punto non è Pablo...però te lo devo chiedere: perchè proprio lui?" Ale non riusciva in nessun caso ad andare dritto al punto.
“Dai non me la far pesare! Già ti lascio immaginare quante me ne può aver dette Teo!”
“Ma gli hai fatto male?”
“Basta con questa storia! Ma che c'avete tutti? Poi dite della solidarietà femminile.”
“Dài che scherzo. Comunque, tornando a Teo, ieri stavamo chiacchierando seduti al bancone quando si accorse della rosa dei venti che lei aveva tatuata alla base del collo poco sotto l'attaccatura dei capelli. Da allora perse la testa e cominciò a tacchinarla fino allo sfinimento. Lei non sembrava troppo convinta, ma alla fine lui le scrisse il numero di telefono sullo scontrino dell'ultima birra.”
“Dai fammi guardare, cambiamoci di posto.”
Sonia si dimostrò una ragazza inaspettatamente brillante, di quelle che amano condurre la discussione, e Teo, nelle precarie condizioni psicofisiche in cui si trovava, reggeva a fatica la conversazione. Inoltre quel miscuglio violaceo nel bicchiere che aveva appena ordinato la ragazza con la rosa dei venti non prometteva niente di buono.
Parlarono di musica.
“Io facevo il dee-jay al Katakali fino a qualche mese fa!” se ne uscì trionfante il buon Teo.
“Allora ho un appuntamento con un vip!”
“Oddio, non è che fossi proprio un dee-jay, diciamo che mettevo su una canzone dopo l'altra a seconda del tema della serata...non avevo neanche un nome d'arte...neanche il computer era mio a dir la verità. Rut, il padrone, mi lasciava usare il suo...in realtà la maggior parte delle volte caricavo la play-list, schiacciavo play e tornavo in postazione all'ultima canzone per caricarne una nuova...potresti far finta che io non mai abbia pronunciato le ultime quattro frasi?”
Parlarono delle rispettive passioni.
“Oddio non mi definirei un patito del calcio, seguo qualche partita ogni tanto, giusto la Champions League, il campionato la Domenica pomeriggio a tempo perso, il posticipo serale...mondiali ed europei? Bah, solo le partite dell'Italia...del Brasile e dell'Argentina...a volte della Francia e della Germania, ma solo se non ho niente di meglio da fare.”
Parlarono della vita notturna universitaria.
“ Bè oltre al Katakali mi piace frequentare il...Cleb, il...pub di Gerri Il Lercio, anche se è più una taverna in effetti...ma non così spesso, poi. Ieri sera il Game Over mi è piaciuto molto.”
“Lo odio quel postaccio di merda, ti schiavizzano per quattro soldi.”
Parlarono, infine, di scuola.
“Seguo molto la vita in facoltà, le lezioni, i seminari, le...iniziative culturali...”
Insomma le cose non stavano andando proprio alla grande. Teo, durante la mezz'ora spesa ad aspettare che il locale aprisse e l'oretta abbondante davanti lo spillatore si era immaginato brillante, con una parlantina avvolgente. Si era immaginato di accoglierla con uno di quegli apprezzamenti da farla rimanere folgorata, di rapirla con qualche battuta sagace, di farla innamorare come mai in vita sua e di lasciarla, dopo una nottata di sesso sfrenato, ad aspettare ansiosa un suo messaggio, squillo o qualsiasi cosa fosse. Ma la realtà era ben diversa.
Poi venne la parte difficile.
Venne fuori che Sonia non era affatto vegetariana, ma la carne non la mangiava; che i romanzi di Moccia erano pattume, sì, ma che andava riconosciuto loro il merito di aver riportato una generazione a leggere; che Vasco Rossi non le piaceva, d'accordo, ma rimaneva pur sempre la storia del rock italiano; che del macchinone se ne fregava, ma un principe azzurro non ti viene mica a prendere con il Ciao; che non ci credeva mica nell'astrologia, ma l'oroscopo lo leggeva ogni sera prima di uscire; che il Feng Shui e la New Age non sono cose serie, ma tentar non nuoce. Che giudicare non spetta a noi. Che criticare senza proporre alternative è da vigliacchi. Che una rondine non fa primavera.
“Teo sta per esplodere. Ha la classica faccia di chi vorrebbe avere una motosega tra le mani.” disse Vì, osservando attentamente lo spettacolo per cui non aveva pagato il biglietto.
I suoi ormoni pregavano Teo di rimanere zitto, ma la sua misantropia e il suo cinismo lo spingevano a lasciare Sonia stesa a terra priva di vita, a prendere a calci la sua carcassa e a scrivere Helter Skelter sul muro con il suo sangue. Così, dilaniato da questo scontro interiore, con una vocina flebile riuscì appena a dire: “Perchè la rosa dei venti?”
“Ah, il tatuaggio. Ti piace? L'ho fatto in corrispondenza del terzo chakra, il Vishudda Chakra, quello che è responsabile del funzionamento della lingua, della bocca, della pelle e delle braccia, gli organi mediante i quali comunichiamo.”
“Ma pensa un po'...interessante...”
“Inoltre, secondo il Reiki...lo conosci vero, il Reiki? Secondo il Reiki, appunto, ogni chakra ha delle peculiari caratteristiche che ti trasmette quando riesci ad attivarlo, quelle del Vishudda sono il rispetto di sè, l'amore verso l'umanità e la relazione non possessiva nei confronti della famiglia e degli amici.”
“Non possessiva verso gli amici...mmh...” ribattè sempre più attonito.
“Pare che secondo la dottrina prevalente...”
“Dottrina prevalente?”
“Sì...secondo questi studiosi, insomma, attivare questo chakra è essenziale per accedere al mondo spirituale.”
“...mondo spirituale...”
Quella che gocciolava dalla bocca di Teo non era saliva, ma schiuma di rabbia.
“Poi la rosa dei venti mi piaceva di più come disegno rispetto a quello del Vishudda Chakra.”
L'antroposofia erano francamente troppo. Infatti un minuto dopo Teo era fuori dal locale che tirava madonne qua e là e prendeva a calci i cerchioni di ogni macchina che gli fosse capitata a tiro, e mentre imponeva delle audaci metamorfosi a più o meno tutte le divinità conosciute, sbraitava cose tipo “POSSIBILE CHE NON CI SI PUO' FARE UNA SACROSANTA SCOPATA SENZA SORBIRSI TUTTE 'STE CAZZATE? PERCHE'?”
Ale corse fuori, lo raggiunse, lo prese al collo da dietro e gli disse di calmarsi e che adesso se ne sarebbero andati da Gerri il Lercio a farsi una birra distensiva, o magari un vagone di birra distensiva, data la situazione. Intanto Vì era andata a parlare ad una incredula Sonia dicendole che per Teo era un periodaccio, che era stato appena bocciato ad un esame cui teneva molto, che, essendo un tipo molto sensibile, stava soffrendo molto per il nonno che aveva appena scoperto di non stare affatto bene e che bisognava provare a capirlo, poverino.
Sulla via per il Katakali il bollettino della guerriglia urbana personale di Teo incrementò vertiginosamente. In meno di due chilometri aveva fatto fuori otto specchietti, due della stessa macchina che a quanto pare l'aveva ispirato particolarmente, aveva preso a calci tutti i cassonetti dell'immondizia incontrati e aveva vistosamente ammaccato ogni cassetta dove imbucare le lettere.
“Qui le cose peggiorano, questo fra poco tira fuori il napalm dalle tasche! Dobbiamo sedarlo in qualche modo.” disse un Ale piuttosto preoccupato.
Nel sentire la parola “sedare” a Vì venne l'illuminazione.
“Ce l'ho! Passiamo a casa.”
“A casa?”
“Si, ti spiego quando saremo arrivati.”
Quando giunsero davanti il loro palazzo Teo aveva finalmente finito di distruggere e devastare. Entrarono e si avviarono alle scale quando Ale commise l'imperdonabile errore di lasciarsi sfuggire Teo, quando se ne accorse lo trovò davanti alla porta dell'avvocato, con le mani appoggiate a palmi aperti sull'inguine, che stava per cominciare il suo nuovo show.
“CIUCCIAMI IL C” Ale con uno scatto degno di un centometrista riuscì a placcarlo tappandogli la bocca in tempo. Riuscì a portarlo via porprio mentre l'imbellettato stagista stava aprendo la porta. Vì si gettò verso la cassetta della posta facendo finta di aprirla.
“Oh, salve Vì. Che strano, mi sembrava di aver udito la voce di Teo!”
“...sì...in effetti mi stava giusto ricordando dalle scale di controllare se fosse arrivata qualche bolletta...” provò a giustificarsi lei non troppo convinta.
“Tutto a posto allora! Ti saluto cara, abbi una buona giornata.”
“Ciao.”
Poi la porta si richiuse e lei tirò un sospiro di sollievo. Salì le scale e raggiunse gli altri. Per fortuna Teo era ancora intento ad occuparsi di definire il più accuratamente possibile l'avvocato per accorgersi di essere stato trascinato davanti la porta della coppia del primo piano, altrimenti avrebbe avuto qualche consiglio da dare anche a loro.
Lo fecero entrare, lo misero a sedere e Vì andò in camera sua a prendere la sua scorta mestruale.
Quella che Teo chiamava “scorta mestruale” era in realtà una bustina con dentro qualche grammo di pakistano di cui abusava senza dignità nei magici giorni di Vì. La biondina numero dieci aveva infatti la particolarità di essere assolutamente intrattabile in quei giorni, e dato che la soglia di sopportazione in Teo era ai minimi storici, quando arrivava quel periodo passava più tempo possibile fuori casa e non tornava ficnhè non avesse trovato una giusta dose di sedativo. Si chiudeva in camera, evitando accuratamente ogni incontro con la sua coinquilina posseduta dal ciclo, e si distruggeva di canne fin quando non sveniva esanime sul letto.
Scosso com'era dalla furiosa rabbia Teo non riusciva neanche a muovere le dita, così Vì prese in mano la situazione e nel giro di un minuto scarso rollò una canna talmente perfetta da meritarsi un posto d'onore al MOMA.
“E tu da quando sai far le canne con tanta maestria?” le chiese Ale.
“E tu da quanto mi conosci?”
Silenzio.
Lo lasciarono steso sul letto a fumare, e piano piano i suoi grugniti di rabbia si placarono fino a diventare semplici imprecazioni ben scandite. Dopo una decina di minuti il paziente uscì dalla camera con un sorrisello stampato e l'occhietto un po' arrossato. Fu chiaro che potevano riportarlo fuori senza dover più temere la devastazione totale.
Da Gerri il Lercio Teo riuscì a recuperare, insieme alla ragione, addirittura un po' di autoironia.
“Ma è così insopportabile Sonia? Insomma è una bella ragazza e ieri sembrava anche molto spigliata!” chiese Ale.
“Come posso spiegarti...mmh...ecco: è come una canzone della Pausini.”
“Cioè?”
“Petulante ed orribile?” intervenne decisa Vì.
“Esatto. Pensate che è riuscita a nominare Vasco Rossi, il Feng Shui, Moccia e i sette chakra nello stesso discorso.”
“O cazzo. Ti capisco fratello. Ti capisco.” disse Ale porgendo le porpire nocche all'amico provato.

Interludio

Vì decise in quel momento che Sonia sarebbe dovuta entrare di diritto nella classifica delle migliori tre ragazze della vita di Teo dell'ultimo anno. La biondina tutto pepe aveva infatti appeso un foglio in cucina in cui aveva classificato tali fanciulle, chiamandole con dei nomi fittizzi rappresentanti dello stato d'animo provocato dalla loro presenza, giusto per mantenere l'anonimato. Per far capire il meccanismo basti dire che Vì affibbiò a Sonia il nuovo nome di Fastidio. Fastidio era entrata direttamente in terza posizione, sorpassando Ansia.
Ansia era una ragazza simpatica e carina, collega di studiTeo, ma aveva il limite di possedere solo due espressioni alternative. La prima, quella che serviva ad esprimere preoccupazione, la usava quando incontrava Teo in facoltà, e consisteva nell'esclamare “CiaoTeocomestainontihovistoierialezionechetièsuccesso?”.
L'altra espressione, era riservata agli incontri casuali, sempre con Teo, che il fato le riservava fuori dal contesto scolastico. Questa seconda espressione, usata per esprimere stupore, e decisamente più elaborata, si concretizzava in “Maguardachisivede!Teononavreimaipensatodiincontrareuntipocometeinunpostodelgenere!Chebellochebellochebello!”.
Al secondo posto, stabile da sempre c'era Terrore.
Terrore era un'amica di Teo dall'anno del suo esordio universitario. Quando la conobbe era una ragazza normale, poi si mise con il chitarrista di un gruppo psichedelico dell'underground cittadino e perse completamente la ragione. Terrore aveva smesso di mangiare e di dormire perchè, a detta sua, erano attività che ti sottraevano tempo da vivere. In compenso beveva come una fogna, nel senso che beveva molto e solo cose strane e dall'odore nauseante, e non disprezzava l'assunzione saltuaria di lisergici e oppiacei. Il nome Terrore le era stato appioppato da Vì perchè era talmente magra che dava l'impressione di spirarti tra le braccia ogni volta che ti parlava, che quello che usciva dalla sua bocca non era fiato, ma l'anima che tentava inutilmente di scappare da un corpo totalmente devastato da una mente malata.
Al primo posto, inamovibile e irraggiungibile, c'era Bitume. D'accordo bitume non è certamente uno stato d'animo, ma Vì considerò che non sarebbe mai riuscita a trovare un'altra parola in grado di descrivere meglio quella cosa. Bitume era così grassa che quando si sedeva sul divano le sue gambe scomparivano fino al ginocchio, ma la vera ragione che spinse la cantante biondina a darle quel marchio distintivo andava oltre i suoi problemi di obesità. Bitume era tremendamente appiccicosa con Teo, ogni volta che lo vedeva gli saltava, metaforicamente parlando, addosso. Era anche la ragazza che l'aveva spinta a stilare tale classifica, quindi difficilmente sarebbe stata spodestata dal trono. A Vì il suo coinquilino non volle mai raccontare come conobbe Bitume e lei cominciò a sospettare che tra i due potesse essere successo qualcosa di veramente raccapricciante. Forse una sbronza nel momento sbagliato, un incontro maledetto, un letto rinforzato e migliaia di euro spesi in psicoanalisi...forse, chi sa.
Ultimamente era stato aggiunto un nome sul foglio in cui la creativa calciatrice aveva stilato tale classifica. Scritto sopra il podio, come a significare fuori competizione. Il nome era Dubbio. Quando lo vide Vì chiese curiosa a Teo
“Cosa mi sono persa ieri sera?”
“Niente stupida, sei tu Dubbio.”
“Perchè Dubbio?”
“Perchè non mi spiego per quale ragione io non ti abbia ancora picchiata selvaggiamente.”
“Perchè ne prenderesti di santa ragione.”
Ferito nel profondo da quella risposta, Teo prese una penna, tirò una riga sopra Dubbio e a fianco scrisse Astio.
Astio e Teo, a proposito di nomi, si erano anche presi la briga di rinominare le più significative giornate di Ale. Incancellabili nella mente di Teo rimasero le due giornate in cui Ale smaltì l'influenza sul loro divano: Stand-by e Chiasmo.
La giornata Stand-by iniziò quando Ale si svegliò dal divano del loro appartamento per tornarsene a casa dopo una notte brava, ma si accorse di essere raffreddato e febbricitante. Prese una coperta, si allungò nuovamente sul divano e non si mosse più fino alla mattina successiva. Neanche accese la televisione. Quel pomeriggio, abbastanza preoccupata, Vì gli consigliò almeno di girarsi per evitare la formazione di fastidiose piaghe da decubito sul suo sedere.
Chiasmo fu invece la giornata successiva. Quel giorno Ale, una volta sveglio, rimase sdraiato per alcune ore sempre sul divano della casa non sua, poi si mise seduto. A pranzo si alzò per andare in bagno dopo trenta ore e quando tornò si rimise seduto per un paio d'ore, poi si sdraiò.
Dubbio, invece, di Ale ricordava con maggiore entusiasmo la giornata rinominata Franklin Delano Roosevelt. Fu il giorno in cui Ale finalmente si decise a fare il punto della situazione con Vanessa, di capire che così non poteva andare avanti e di adoperarsi per uscire dalla crisi, di cominciare il suo Nuovo Corso.
“Troppa poesia sprecata, stai parlando di Ale.” Commentò Teo l'uscita di Vì.
“Forse hai ragione, ma resta comunque un fatto molto importante nella sua vita.”
“Non parlate come se io non ci fossi!” si intromise Ale.
“Sta zitto, sono cose che non ti riguardano.” rispose Teo.

STOP

Terminato il giro di birre per calmare Teo, i tre uscirono. Ale se ne andò stranamente di sua volontà verso la sua reggia.
Tornando a casa Teo chiese a Vì come Sonia avesse preso la sua sfuriata.
“Diciamo che andarti a denunciare non sarà la prima cosa che farà domattina. Spero.”
“...vabbè...grazie comunque del tentativo.”
“Devi imparare ad essere un po' più diplomatico. A vederti da fuori sembra che ci provi gusto a distruggerti la vita.”
Fece una pausa.
“Stupido”, aggiunse poi.
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Ale (Sonata - Presto)

L'estate stava arrivando. Era già la fine di Giugno, ma quest'anno sembrava che l'estate avesse lasciato alla primavera il compito di illudere, di far credere a tutti che sarebbe stato possibile passeggiare alle undici di mattina, uscire per l'aperitivo in piazza alle sei del pomeriggio. Si sta parlando dell'estate che ti prende al collo come un'anaconda che ti strangola lentamente fino a lasciarti inerme.
Ale guardò Vanessa seduta sul cornicione delle mura appena fuori la tavernaccia di Gerri Il Lercio. Aveva deciso che se doveva andare incontro alla sua propria disfatta, voleva almeno farlo su un terreno amico. Dietro di lei si stagliava enorme il versante ovest della città, illuminato dall'arancione torbido del tramonto. Il vento le buttava i capelli in faccia e questo, se possibile, la rendeva ancora più bella.
Ad Ale, Vanessa era sempre sembrata particolare.
Era costantemente sovrappensiero, non ascoltava mai fino in fondo, ma non lo faceva per snobbismo, no. Sembrava più che altro una con molte idee e poco tempo. Si credeva destinata ad un progetto più grande. Comunque era di compagnia, di sicuro non una con cui pesava uscire. E poi c'era una cosa che Ale amava particolarmente in Vanessa, il fatto che lei credesse nella reincarnazione. Questa sua particolarità aveva molti risvolti pratici. Vanessa trattava ogni essere vivente come trattava se stessa, con cura e attenzione, non uccideva le mosche che le ronzavano in cucina e le zanzare che le deturpavano le gambe nelle notti estive. Inutile dire che questo volto del comportamento di Vanessa al cinico Teo faceva storcere il naso. Non piaceva neanche a Vì, cui non andava troppo a genio il buonismo spicciolo.
Avevano parlato a lungo, lui aveva deciso che era arrivato il momento di andare avanti, per quanto potesse risultargli insopportabile. Voleva portare il loro rapporto nella fase ufficiale, in fondo era quasi un anno che si frequentavano. Lei, però, non fu d'accordo.
Quel pomeriggio ci fu uno strano imbarazzo, per la prima volta Ale non era riuscito a sentirsi a suo agio con lei. Ogni volta che apriva bocca sentiva una tarantola arrampicarsi su per l'esofago, e questo lo disturbava non poco. Tutto era stato già detto e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Avrebbe voluto ripeterle ancora che dalla prima volta in cui lei gli rivolse la parola, lui avrebbe voluto passare la sua vita nel mezzo di quella conversazione, avrebbe voluto farle sapere quanto tempo aveva passato di fronte allo specchio del bagno cercando l'espressione giusta, quella che meglio poteva riflettere il tono delle sue parole.
Avrebbe voluto ficcarle a spintoni in quel cervellino che seguiva logiche tutte sue che si era innamorato veramente, che ora come ora nulla lo avrebbe reso più felice che rimanere con lei per sempre. Per sempre.
Quelle parole che la spaventava tanto: per sempre.
Invece non disse niente. Aveva la faccia di qualcuno che avrebbe continuato a pentirsi per tutta la vita della decisione presa, e anche a Vanessa scappò una lacrima, perchè, in fondo, gli voleva bene.
Ale non riuscì mai a capire i suoi discorsi di non voler sentirsi legata a nessuno, di essere libera. Erano concetti che nella sua testa proprio non ci entravano, come la difesa a cinque, il doppio mediano, e il perchè subaffittare stanze fosse illegale. Quando erano insieme si divertivano, entrambi, e al contrario di quanto sosteneva Teo, Vanessa non frequentava altri ragazzi. Certo però era strana, molto strana, ma ad Ale questo piaceva ancora di più.
La guardò un ultima volta, si strinse le braccia intorno alla polo scura come se fosse stato attraversato da un brivido gelido. In quel momento si sentiva incredibilmente pesante, già respirare era una fatica insopportabile, per non parlare poi di quante energie richiedesse tenere gli occhi aperti. Le riservò un ultimo abbraccio durato un secondo, poi si voltò e se ne andò.
Cestino, click destro, svuota cestino, conferma.
“Teo?”
“Ohi, Ale, sono al supermercato....ascolta, secondo te è possibile che il Primitivo di Manduria possa avere un'aroma vellutato e corposo allo stesso tempo?”
“Tu e Vì. Bar Centrale. Subito. Ho bisogno di bere e non ho voglia di farlo da solo.”
Ora quella tarantola che gli camminava dentro se n'era andata, ma non si sentì meglio, perchè andandosene l'aracnide si era portato via l'esofago, lo stomaco, il fegato ed entrambi le reni. Non percepiva niente dai polmoni fino alle gambe. Ora si sentiva vuoto.
Era questo che intendeva Vanessa quando gli parlava del sentirsi liberi?
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Concerto (Ale, Teo, Vì - Allegro)// Seconda parte

Minuetto (Ale, Teo, Vì - Allegro)

Suonarono al campanello di Daniela ed entrarono. Lei era al telefono col suo ragazzo, li fece entrare e li pregò di accomodarsi dicendo loro che sarebbe arrivata subito, poi si chiuse in camera per continuare la conversazione. Andarono in cucina e si sedettero vicino ad una delle sue coinquiline che stava affogando nei libri.
Lei saluto Vì. E solo Vì.
Vista l'incredibile vitalità che trasudava dalla coinquilina di Daniela, i tre decisero di andare ad aspettarla in salotto, dove il gatto della ragazza affogata nei libri aspettava sornione Ale, che non appena aprì la porta cominciò a starnutire senza sosta.
“Emergenza felina. Togliete quel cazzo di gatto di torno.”
Teo non poteva certo rimanere indifferente al grido d'aiuto lanciato dal suo amico. Entrò in salone guardando il micio con aria di sfida. L'animale a malapena si curò del suo ingresso da gladiatore. Erano l'uno davanti l'altro, si guardavano negli occhi come per studiare a vicenda le possibili mosse dell'avversario. Teo alzò le mani al cielo come per incitare e ricevere energia dalle urla di un pubblico immaginario.
“Te guarda che razza di scena che deve mettere in piedi quell'imbecille per prendere un gatto mezzo addormentato.” esclamò Vì.
“Ad ogni modo digli di sbrigarsi.” disse Ale cercando di non soffocare tra gli starnuti.
Il felino, intanto, che aveva fiutato la carica di tensione che si era andata creando nell'aria, si era alzato in piedi e aveva cominciato a dondolare la coda per confondere gli occhi attenti dell'umano. Teo si lanciò sul divano con le braccia protese in avanti, ma quando impattò il soffice oggetto il gatto era in piedi sulla sua testa. Si girò repentinamente e riuscì ad afferargli la coda, ma il felino si divincolò e, con il balzo tanto caro alla sua specie, andò ad atterrare al centro del tavolo della sala. Allora Teo si alzò di scatto e cominciò ad aggirarsi intorno al tavolo, fissando il suo nemico negli occhi. Mormorò anche qualcosa del tipo “non ti mollo”, ma Vì non fu sicura, o non volle credere, di averlo sentito. Improvvisamente l'inafferrabile creatura scattò verso sinistra, Teo si tuffò come il miglior Buffon, ma era solo una finta. Il micio tornò sui suoi passi e se ne andò verso destra finendo sul davanzale della finestra, sottolineando con uno sbadiglio e un'aggiustata ai baffi la semplicità con la quale si era liberto del cacciatore. Da terra Teo fece i complimenti all'abile mossa del suo nemico mortale, si impresse bene in mente la lezione ricevuta e si tirò nuovamente in piedi.
“Non posso credere a quello che sto vedendo!” commentò Vì.
“ODDIO MUOIOOOOOO.” urlò un Ale agonizzante in un ultimo impeto di vita.
Teo analizzò il campo di battaglia e notò che le tende erano raccolte a sinistra del davanzale, allora fissò il felino dribblomane e gli si gettò addosso da destra. Il micietto spaventato si gettò d'istinto dalla parte opposta andando ad incastrarsi dritto dritto nella tendina della finestra. Il gladiatore da salotto allora scattò da terra verso la tenda, si alzò e afferrò il gatto intento a divincolarsi. Lo prese per le zampe anteriori, si girò verso Vì e Ale, che ormai arrancava in ginocchio sconfitto dalla sua allergia, e lo alzò in aria come fosse la Coppa del Mondo. Cominciò anche ad intonare l'Inno alla Gioia.
“E' sicuramente la cosa più grottesca che io abbia mai visto.” disse un'incredula Vì.
“TI SBRIGHI A LEVARE QUEL CAZZO DI COSO?”
Teo aprì la porta finestra del terrazzo e appoggiò a terra, con molto rispetto, il nemico di una faticosa battaglia. Appena toccato il suolo con tutte quattro le zampe il felino rientrò in salotto, passando sotto le gambe del povero gladiatore, con una naturalezza e una tranquillità fuori dal comune. Un tunnel in piena regola.
Teo, sbigottito, urlò contro il cielo come faceva Ligabue nei suoi concerti, solo che nei suoi concerti Ligabue non bestemmiava.
A quel punto entrò in scena Vì, si diresse verso la finestra, scanzò Teo, guardò il tenero micietto, allungò lentamente una mano verso di lui, mosse le dita, schioccò dolcemente un paio di volte la lingua sul palato e il gattino le venne ad annusare le mani. Vì lo prese in braccio, lo portò sul terrazzo e chiuse la porta.
“Imbecille.” disse rivolgendosi a Teo. Poi si girò “Ale, ora puoi entrare.”
“Vì, tu li stai sottovalutando, i felini ci stanno studiando...”
“Oddio non cominciare, ti prego.”
“...ci stanno facendo credere di essere animali domestici, di amare le coccole, invece stanno studiando le nostre abitudini, i nostri schemi...”
“Teo, vaffanculo.”
“...un giorno ci colpiranno Vì, un giorno si ribelleranno e prenderanno possesso del pianeta, è scritto...”
“Vaffanculo.”
“...non parlarmi così, te ne pentirai quando sarai un loro ostaggio, quando la tua sola funzione sarà quella di soddisfare gli appetiti sessuali del Felino Supremo...”
“Che schifo, Teo...un gatto!”
“...non un gatto, Vì...Il Gatto, il nuovo Padrone del Mondo.”
“Teo?”
“Si?”
“VAFFANCULO.”
Nel giro di qualche minuto Ale tornò a respirare e addirittura riacquistò un colorito umano.
“Una casa così grande e ci vivono solamente in due?” osservò, completamento rimesso, lui che ormai vedeva ogni casa come un possibile investimento.
“Calmo, palazzinaro, ci sono anche altre due sorelle nella doppia, ma abitano qua vicino e fanno la settimana corta. Torneranno stasera penso.” gli fece sapere Vì.
Dieci minuti erano già trascorsi e Daniela era ancora presa a pomiciare virtualmente con la sua dolce metà via telefono chiusa in camera sua. Vì accese la televisione in cerca di distrazioni, ma non ne trovò molte.
Venti minuti. La televisone continuava a vomitare parole senza un preciso ordine logico. Si accorse di non aver mai osservato bene la televisione negli ultimi dieci anni, di non aver mai colto la palese vacuità del tutto.
Trenta minuti. Dalla stanza di Daniela fuoriusciva un'infinita serie di riattacca tu, no prima tu, no prima tu, prima tu, prima tu, prima tu, no io no, no io no, io no, io no.
“Sto per vomitera sopra il regalo.” disse un'astioso Teo.
“Hai dei seri problemi con la rabbia. Mai pensato di farti vedere? Se non ti curi prima o poi morirari di infarto.”
“Così non mi sei d'aiuto, Vì.”
“Ma lo dico per il tuo bene! Senza considerare poi eventuali gastriti, la crescente compromissione della capacità di concentrarti, l'ulcera perforante...”
“Se continui mi vedrò costretto a farti del male.”
“...l'aumento esponenziale delle possibilità di beccarsi un'aneurisma, la progressiva perdita dei capelli...”
In tutto questo Ale si era addormentato subito dopo aver capito che sull'appartamento di Daniela non c'era modo di lucrare. Da circa ventinove minuti quindi.
Poi, finalmente, Daniela uscì dalla sua camera.

Sinfonia (Ale, Daniela, Teo, Vì - Allegro)

“Oddio, Ale si è addormentato! Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto.”
“Non preoccuparti per noi Dani. In quanto a Ale è molto stanco, è venuto a piedi da casa nostra.”
“E perchè mai a piedi?”
“Una lunga storia...” si intromise Teo.
I tre decisero di lasciarlo dormire ancora sul divano.
Il regalo a Daniela piacque molto, naturalmente era stata Vì ad entrare nel negozio, scegliere l'articolo e confezionarlo a casa, Teo aveva avuto solo incarichi di rappresentanza e di supporto morale. Gli stivaletti bianchi le stavano effettivamente bene, ma Teo si era già immaginato la scena di Daniela che scartava il suo nuovissimo e merlatissimo reggiseno e, talmente impressionata dal regalo, si spogliava davanti a loro per provarselo.
Entusiasta dei suoi nuovi stivaletti Daniela invitò i tre a fermarsi a cena, proposta che accettarono ben volentieri. Ale ancora dormiva.
“Dani, come si chiama il gatto?” chiese curioso Teo.
“In nome di dio non chiederglielo!” esclamò disperata Vì.
“Per conoscere il nome del guerriero che mi ha sconfitto.”
“Guerriero? Sconfitto? Mi sono persa qualcosa?”
“Nulla che abbia senso.” disse ancora Vì.
"Kitty! Si chiama Kitty."
“Come Kitty? Che vuol dire Kitty? E' una...?”
“...gattina! Una tenera gattina.” le spiegò Daniela.
“Ah ah, questa non te l'aspettavi eh? Come ci si sente ad essere stato umiliato dalla TERRIBILE Kitty?” infierì lei con tanto di risata beffarda.
“...un po' disorientati devo dire...”
“Continuo a non capire.” affermò nuovamente Daniela.
“Non preoccuparti, oggi Teo è più stupido del solito...ma secondo voi è il caso di svegliare Ale?”
“A noi non da fastidio sul divano, lasciatelo riposare pure.” disse Daniela.
“Adesso lo sveglio, così ci da una mano in cucina, non lo diresti mai ma è un discreto cuoco.”
E dopo aver parlato Teo si diresse verso il divano.
“Che tosti i miei uomini! Entrambi sconfitti dalla terrificante Kitty, l'essere forgiato dalle tenebre nel ventre degli inferi per distruggere l'umanità a colpi di...fusa!!” esclamò Vì.
[*]“Sai benissimo che poteva solo andarti peggio.” ribattè Daniela “Ti volgiono bene come se ne vuole ad una sorella, sono simpatici, gentili, svitati al punto giusto, mai banali. Un po' inaffidabili ma mica puoi pretendere tutto, no?” [*]
“In effetti ogni giorno non saprai mai in che guaio si e ti caccerà Ale, e quale stratagemma stravagante troverà Teo per tirarcene fuori. Di annoiarmi non ho certo tempo!”
Si diressero verso la cucina e cominciarono a preparare qualcosa. Pochi minuti dopo arrivarono anche Teo e Ale che aiutarono, senza ammazzarsi di fatica, in tutte le fasi della preparazione. A cena i quattro si divertirono molto, soprattutto quando Ale e Teo raccontarono la loro personale serata di cui Daniela era all'oscuro.
Poi Daniela propose un argomento che sollevò un'animata discussione.
Daniela: ”Che ne dite se la settimana prossima andassimo alla festa di carnevale?”
Vì: “Ci sto!”
Ale: “Decisamente si.”
Teo: “Assolutamente no.”
Tutti tranne Teo: “Perchè?”
Teo: “Perchè no!”
Vì: “Che due palle Teo, puoi evitare per una volta di fare l'asociale?”
Teo: “No.”
Vì: “Stai diventando monotono.”
Teo: “Allora visto che sto diventando monotono, facciamo così: invece di dire no, da adesso in poi quando vorrò dire no darò una sberla a Ale.”
Tutti tranne Teo: “...”
Daniela: “Eddai Teo, che ti costa? Abbiamo il passaggio in macchina e poi la festa è a Medicina, non si paga neanche l'ingresso!”
Sberla.
Ale: “Ahia."
Vì: “Senti lo sappiamo che non ti piacciono i posti affollati, ma ci divertiremo!”
Sberla.
Ale: “AHIA, ma non puoi infastidire Vì?”
Sberla.
Daniela: “Guarda che nemmeno mascherarsi è obbligatorio!”
Sberla.
Ale: “Cazzo Teo, mi lasci mangiare almeno?”
Sberla.
Ale: ”BASTA PORCA PUTTANA!”
Teo: “E certo, vado li senza maschera a fare la figura dell'imbecille in mezzo ad una mandria di cerebrolesi!”
Vì: “Dani, sai da cosa potremmo vestirci?”
Daniela: “Stai pensando quello che penso io?”
Vì: “Credo proprio di si!”
Ale: “Ehi, ma di cosa state parlando?”
Teo: “Di vestiti ovvio! Ormai sono partite, non possiamo piu' fermarle!”
Vì: “E no caro, non penserai mica di cavartela così! Ti renderò la vita difficile finché non accetterai di venire.”
Sberla.
Ale: “E QUESTA PER COSA CAZZO ERA? NON HA MICA FATTO UNA DOMANDA!”
Teo: “Scusa, è l'abitudine!”
Vì: “Non ti darò tregua!”
Teo: “Non ce la farai mai.”
Vì: “Vedremo.”
Daniela: “Dài, Teo, tanto lo sappiamo tutti che alla fine ti diverti come un matto in queste situazioni, non fare sempre il prezioso!”.
Sberla.
Ale: “La piantiamo per favore?”
Niente sberla.
Ale (sorpreso e con le mani intorno alla testa): “Bé...?”
Teo: “ Questa volta sono d'accordo con te, ma se proprio ti ci sei affezionato, beh...”
Sberla
Ale: "CAZZO."
Daniela: “Allora è deciso, Giovedì prossimo tutti alla festa di Medicina. Ale, almeno tu, trovati un costume decente.”
Ale: “Non preoccuparti, ho già in mente qualcosa di grosso.”
Teo: “Perchè mi stai guardando?”
Ale: “Lo scoprirari.”
Vì: “Teo, al tuo vestito ci penso io.”
Teo: “Fate come volete, tanto io non verrò mai.”
Vì: “Dani non preoccuparti, lascia fare a me. Conta anche lui per un posto in macchina.”
Sberla.
Ale: ”Ehi, pensavo fosse finita!”
Sberla
Ale: “Dani, c'è un posto anche per Vanessa?”
Daniela: “Mmh...con lei saremo in sei, ma sicuramente ci sarà anche qualche altra macchina. Non ci dovrebbero esseri problemi, comunque domani chiamo e ti faccio sapere meglio.”
Teo: “Guarda che siete cinque.”
Vì: “Non esiste, tu vieni dovessi trascinarti per le caviglie.”
Teo: “Ammettilo che non puoi stare senza di me!”
Vì: “Non saprei chi offendere e picchiare per sfogarmi.”
Daniela: “Di posti in macchina ce ne sono di sicuro, non preoccuparti. Ale, mi raccomando, di anche a Vanessa di mascherarsi.”
Ale: “Non preoccuparti, ama fare queste cose.”
Vì: “Che stai facendo stronzo?”
Teo: “Pensavo non lo mangiassi!”
Vì: “Ma ti pare che mi devi fregare le cose dal piatto!”
Teo: “E' un peccato sprecarlo!”
Vì: “E CHI TI HA DETTO CHE NON LO AVREI MANGIATO?”
Teo: “Allora la prossima volta mangia invece di chiacchierare.”
Vì: “Ti odio maledetto.”
In tutto questo la sua coinquilina non spiccicò una parola, forse non poteva credere a quello che stava vedendo. Appena finito di cenare se ne andò in camera sua, mentre gli altri, come da copione, guardarono la parte finale del posticipo prima, e la Domenica Sportiva poi.
Alla fine del palinsesto calcistico Ale e Teo se ne andarono. Vì decise di fermarsi ancora un po'.
“Scusa ma a questo punto fermati a dormire qua!” disse Teo a Vì.
“Oh oh oh, ma senti senti chi si preoccupa per me! E poi sarei io quella premurosa?”
“Non sono preoccupato.”
“Allora perchè dovrei fermarmi a dormire qua? Ci sono pulman fino alle una e mezza di notte.”
“Fa' un po' come ti pare. Per una volta che uno vuole fare la personcina a modo! Ciao ragazze.”
“Ciao cari.” li salutò Daniela.

Duetto (Dani, Vì - Adagio)

“Come stai?”
“In che senso, Dani?”
“Nel senso, come ti senti?”
“Appesantita dalla cena che però era molto buona.”
“Teo ti ha contagiata?”
Vì sorrise: "Sì, me ne sto accorgendo piano piano.", poi si fece seria “Sto bene. Inaspettatamente e dannatamente bene.”
“Inaspettatamente?”
“Bè, sai...non mi sarei aspettata che quest'anno sarebbe stato così bello!”
“Perchè?”
“Così, era una sensazione, niente di concreto. Troppe cose che non ero ancora riuscita a lasciarmi indietro, gli anni da recuperare all'università, il fatto di andare ad abitare da sola con un ragazzo di tre anni più piccolo. Chi l'avrebbe mai detto che è proprio grazie a quei due scemi terrorrizati da una gattina che sono di nuovo felice.”
“Ora ti manca solo un ragazzo!”
“Dani, non ricominciare. Ti ho già detto che non voglio parlare di quest'argomento. Sto finalmente bene così dopo tanto tempo, quando ne avrò voglia, quando ne sentirò il bisogno, mi darò da fare per trovarlo. Per adesso ci sono due quasi uomini nella mia vita e mi bastano quelli.”
“Non ci credo, ti sono bastati sei mesi per affezionarti? A te? Alla gelida Vì? Stai invecchiando, cara.”
“E cosa vuoi? Si cambia nella vita. Poi loro sono meglio di qualsiasi fidanzato. Non devi stare li a chiederti ogni minuto se ti vogliono veramente bene, a decidere cosa fare ogni sera, a inventarti qualcosa per spezzare la routine quotidiana, e quando tornano non si aspettano di trovare la casa in ordine e la cena pronta. Non mi trattano né meglio né peggio di qualsiasi altra ragazza, sono semplicemente una di loro. Sai che ho sempre desiderato essere la persona più normale possibile.”
“Tanto di questa storia ne riparleremo. Ho giusto un paio di amici da farti conoscere! A proposito, ti ricordi Andrea?”
“No.”
“Dai quel mio amico che faceva il pizzaiolo?”
“Ah, sì...vagamente...basso, tarchiato e capello lungo?”
“Tarchiato, diciamo fisicato!”
“Diciamo tarchiato che rende meglio l'idea.”
“Vabbè, comunque lui. Si è appena lasciato con la sua ragazza...”
“Oddio Dani che palle! Non sono mica una partita di pesce da piazzare prima che scada! E dai!”
“Ho capito, lasciamo perdere. Comunque mi fa piacere che tu sia felice, veramente.”
Poi Daniela cominciò a sparecchiare.
“Mi aiuti a lavare i piatti?”
“Mmh...NO.”
“Certo che sei proprio una donna di casa tu! Impara almeno a cucinare!”
“E perchè mai? Teo è un funambolo ai fornelli e Ale sarà pure uno scroccone, ma quando si autoinvita non ti fa muovere un muscolo.”
Ci furono un paio di minuti di silenzio, la stanchezza cominciava a farsi sentire.
“Hai più sentito tuo padre?”
“No, ha provato a chiamarmi un paio di volte quando ero giù per Natale, ma non voglio rispondergli. Non adesso per lo meno.”
“Occhei, scusa per la domanda.”
“No, non preoccuparti. E' tutto a posto."
"E a loro l'hai detto?"
“Con Teo ne abbiamo parlato. E' troppo intelligente per tenergli nascosto qualcosa, dopo un mese scarso che ero lì si era già accorto che tutto quello che facevo, almeno all'inizio, lo facevo solo per non avere tempo per pensare. In più è un buon ascoltatore, ti fa sentire a tuo agio a prescindere da quanto sia difficile dire quello che hai da dire. Al contrario di quello che dice, lui non ti giudica mai. Non è affatto difficile parlare con chi non ha pregiudizi. Con Ale non ne ho parlato, non ce n'è mai stata occasione, ma se dovesse capitare lo farei senza problemi.”
Daniela le sorrise, la sua amica era finalmente tornata in pista.
“Che dici, ce ne andiamo a dormire?”
“Ai suoi ordini, dottoressa!”
Teo era già immerso nel suo letto quando si illuminò lo spacefonino. Era un messaggio di Vì, recitava: “Mi fermo a dormire da Dani. Ci vediamo domani.”
Era un lupo solitario, gli piaceva correre da solo, ma fu contento nel sapere al sicuro chi avrebbe corso al suo fianco ancora per qualche tempo.

Sinfonia (Ale, Dani, Teo, Vanessa, Vì)

La sera del Giovedì successivo una scena degna di essere ricordata si stava svolgendo nel salottino della casa di Teo e Vì. La cantante biondina e la sua amica maggiorata erano in completa divisa sportiva, con tanto di scarpe con i tacchetti e calzettoni di lana, Ale era immerso nei jeans e nelle maglie di Teo, e con il cappello rovesciato sembrava proprio un'imitazione biancastra di un rapper americano. Vanessa si era limitata ad arrotolarsi un rotolo di carta igienica intorno alla testa e a disegnarsi un puntino rosso al centro della fronte. In quanto all'asociale Teo, bè, diciamo che non si era ancora deciso ad uscire dalla sua camera.
“Oh ma ti muovi?” urlò impazientemente Vì, con tanto di codino.
“Un attimo, un attimo, l'arte ha bisogno di tempo.”
“Ma hai la minima idea di quale possa essere il suo costume?” chiese Daniela a Vì.
“No, assolutamente no. In tutti questi giorni non ha mai detto niente al riguardo. Lo sai, è Teo.”
“Secondo me è qualcosa di grosso.” disse Ale.
Poi improvvisamente Teo uscì dalla stanza tra lo stupore di tutti. Era vestito come al solito, ma aveva in faccia una maschera da maiale, di quelle in lattice che aderiscono alla pelle del volto.
Ale: “Perchè ti sei vestito da rapinatore?”
Teo: “Rapinatore? Ma sei scemo?”
Ale: “Dài, è uguale a quelle maschere che si usano per andare a rapinare una banca?”
Teo: “Dici? A me sembra più una maschera da maiale, visto che è il muso di un maiale!”
Ale: “Bah, sarà...”
Teo: “E voi due? Devo dire che mi avete sorpreso!”
Daniela: “Visto? Pratico ed economico, in più originale. Il costume perfetto.”
Vì (fissando Daniela con sguardo invidioso): “Già, peccato che questa maglietta larga mostri impietosamente la mia assenza di tette.”
Ale: “Dai non buttarti giù! Noi ti vogliamo bene lo stesso.”
Vì: “Tu sei uno stronzo. E tu, rapinatore, non provare a fiatare!”
Teo: “SONO UN PORCO. UN PORCO. LO VOLETE CAPIRE?”
Seguirono battute scontate e di basso livello, poi risate, poi applausi.
Arrivarono in pochi minuti alla facoltà di Medicina e, come era scontato, non trovarono parcheggio. Naturalmente ci pensò Ale che risolse il problema in pochi minuti sfruttando lo spazio esistente fra la fermata dell'autobus e il lampione della luce.
“Forse è questa la tua vocazione: parcheggiare automezzi!” gli fece notare Teo.
“Fottiti, porco.”
“Finalmente l'hai capita.”
Appena entrati a Teo venne subito il disgusto nel notare come le sue aspettative purtroppo non fossero state tradite. C'era troppa gente all'interno dell'edificio adibito per l'occasione a discoteca, musica assordante e aria irrespirabile. Gli altri impiegarono pochi secondi a farsi trascinare all'euforia della situazione, mentre lui decise che per alleviare la sua repulsione si sarebbe dovuto affidare ancora una volta ai baristi.
“Mi fai una birra? Grande. Molto grande.” chiese al barista.
“Come?”
“UNA BIRRA GRANDE” ripetè sporgendosi sul bancone.
“Vodka?”
“...”
Visto che la parola non era efficae, ripiegò su altri mezzi di comuncazione. Indicò lo spinatore e alzò le mani lasciando fra loro uno spazio di mezzo metro almeno.
“Ah, occhei, capito. Bel costume complimenti. A quando la prossima rapina?”
“SONO UN MAIALE. “ urlò spazientito.
“Certo certo.”
Afferrato il suo palliativo tornò dagli altri. Trovò solo Vì importunata da Qui, Quo e Qua. Evidentemente Ale e Vanessa e Daniela e il suo ragazzo erano già scomparsi negli anfratti più bui dell'edificio. Scansò i tre paperini con la sua grazia tipica, poi si avvicinò alle orecchie di Vì.
“Te l'avevo detto che sarebbe stata una pessima idea. Adesso che facciamo?”
“Adesso vieni a ballare con me!”
“No no.”
Vì lo prese per un braccio e lo trascinò verso la pista da ballo e fu in quel momento che Teo vide quello che non si aspettava. Vide una semplice maschera di plastica bianca contornata da una criniera di stupendi capelli scuri e sostenuta da un corpo incredibilmente stupendo.
“Ferma ferma.” disse a Vì, e continuò “Vieni con me. Anzi apettami qua, torno subito.”
“Vai incontro al tuo sicuro due di picche?”
“Si cara, ma con una dignità incredibile questa volta.”
Raggiunse la ragazza appoggiata al tavolo.
Non aveva ancora deciso come attaccare bottone quando venne colto di sorpresa
"Ma tu sei un suino!" disse, indicandolo, la maschera.
La voce particolarmente stridula ruppe qualcosa nelle speranze di Teo
“Veramente io sarei un...” disse Teo vedendola andarsene. Si fermò un attimo a riflettere sulla evidente mancanza di gioia della sua generazione, e sul fatto che presentarsi con una maschera da maiale in faccia non era un'idea geniale per rompere il ghiaccio con il gentil sesso. E, come era prevedibile, quando si girò, trovò Vì che stava ridendo talmente tanto che quasi sembrava piangere.
“Se non la finisci ti ridò in pasto a Qui, Quo e Qua.”
“Poverino il piccolo Teo, vieni qua, fatti abbracciare!”, disse lei ridendo ancora a crepapelle, "Nessuna ti capisce, poverino!"
“Non provare a toccarmi, infimo esserino.”
Se ne andarono fuori, Teo per prendere una boccata d'aria, Vì per una boccata di nicotina. Tra una chiacchiera e l'altra con un cavaliere dell'Apocalisse (Carestia, a giudicare dal fisico rachitico. Pestilenza, se invece si focalizzava l'attenzione sull'acne che gonfiava i suoi lineamenti), i due videro Ale e Vanessa impegnati in una pomiciata all'ultimo respiro su una delle panchine antistanti l'entrata della facoltà.
Cominciarono subito a discutere sul possibile futuro dei due amanti come coppia. Dopo mesi e mesi di tira e molla, di cercarsi e allontanarsi, forse i tempi erano maturi. Forse, pensava Vì, un lieto fine era possibile, ma naturalmente Teo, non essendo solito vedere il futuro contornato da un'aura rosa e accompagnato da una canzone smielata in sottofondo, proponeva i suoi dubbi.
Fatto sta che in quel preciso momento, su quella precisa panchina, tutto era perfetto, e il resto non contava.
Lì, in quel piccolo spazio, per i due innamorati, il mondo sarebbe potuto finire in quello stesso istante, ma sarebbe stato perfetto lo stesso. Sembrava in effetti di guardare una coppia con tutti i canoni della categoria. E in fondo anche Teo, per quanto disincantato, avrebbe desiderato per loro un lieto fine.
“Ma tornando a noi” interruppe Vì “ti va di mostrare a tutti che sei un vero rapinatore?”
“Che ti frulla per la testa?”
“Ho un piano, ma mi serve una mano.”
“Ti sto ascoltando Eva Kant.”
“Andiamo al bancone, io parlo col barista, metto gli occhi da cerbiatta, e tu ti inguatti la prima bottiglia che ti capita a portata di mano.”
“Mi sembra un piano ineccepibile. E per l'altro barista come facciamo?”
"E non è che posso fare tutto io! Inventati qualcosa."
Teo sbuffò. "Certo, potrei invitarlo a girarsi un momento. O magari potrei offrirgli del sesso a pagamento!"
"Sei una rottura di palle quando ti ci metti", buttò a terra la sigaretta ormai finita, "Lo facciamo si o no?"
“Facciamolo.”