Sostanza, poesia e memoria. Tre sottotitoli per quattro scelte.


Ce n'è di sostanza in questo referendum.
Innanzitutto trattava di temi con dirette ripercussioni sulla nostra vita quotidiana, senza troppe implicazioni partitiche (tranne, forse, il quesito sul legittimo impedimento) o letture politiche da tenere in considerazione. Certo i dibattiti sono stati lunghi, le campagne numerose e gli appelli accorati, ma ciò non toglie che il voto è stato viscerale più che ragionato.
Inoltre, se è vero che la Seconda Repubblica ha coinciso fino ad oggi quasi perfettamente con il periodo berlusconiano, si potrebbe anche pensare che la tornata elettorale appena conclusa sia un messaggio chiaro per decretarne la fine, anche di più delle ultime comunali e provinciali.

Intatta è la poesia anarchica. Il sogno eretico di essere un ribelle senza compromessi: bello e impossibile. Un sogno quotidianamente minacciato dalla mia estrazione borghese, dal mio lavoro e dal mio salario, entrambi borghesissimi; una poesia imprigionata da una prosa troppo scadente.
Ho imbracciato il fucile questa volta, sì, ma il generale invitava a disertare la battaglia. E va aggiunto poi che il voto referendario implica interferenza e non certo delega.

La memoria, infine, va preservata. Così come questo certificato elettorale mi è stato recapitato tre giorni fa, vorrei che un altro ancora, da usare per le prossime volte, mi venisse consegnato fra tre giorni.
Vorrei lasciare questo così, con un colpo e un centro.
Lo incornicierei e appenderei al centro di una parete bianca, orribile da vedere ma bellissimo da guardare, anche se comincerebbe a trasmettermi malinconia fra qualche anno.
Lo terrei là come il ricordo di quell'unica volta in cui non sono stato sconfitto (tanti timbri e mai una gioia sul vecchio), una vittoria senza Pirro. Un feticcio, un talismano contro il mio cinismo da campagna elettorale, la prima di una lunga serie di soddisfazioni che non potrà mai esserci.

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