un doveroso e commosso addio

Massimo Paoli è un nome che a molti di voi non dirà niente ma che a me riporta alla mente bei momenti, forse le uniche soddisfazioni accademiche di una carriera durata poco più di 6 anni.

Il Prof. Paoli insegnava una materia "caratterizzante" e una "opzionale" (si dice così, pensate un po'!) del corso di studi triennale di Economia Aziendale all'Università degli Studi di Perugia, e dell'insegnate che è stato ricorderò sempre l'amore per le proprie materie e l'approccio completamente diverso dagli altri professori che aveva con noi ragazzini che ci atteggiavamo a grandi tecnici con ancora addosso la puzza dei licei di provincia.

Ricordo anche l'odio che provava verso di lui la maggior parte degli studenti e dei suoi colleghi.
Gli studenti lo odiavano perchè le sue erano lezioni poco monetizzabili: non uscivi con degli appunti che ti addestrassero a risolvere irreale esercizietti sulla massimizzazione del profitto, non ti svelava formule magiche per ingenue equazioni micro/macroeconomiche; aspetti poco accattivanti per contabili già promessi alla concessionaria dei genitori e tristemente appassionati già a 20 anni di berline di lusso.
Tra i suoi colleghi alcuni lo odiavano ritenendolo un cialtrone, uno che parlava di tutto perchè non avrebbe saputo parlare di niente, e altri, ben più ipocriti, ridevano teneri quando sentivano il suo nome come si ride del matto del villaggio: un personaggio che fa colore ma che non occorre prendere troppo sul serio.

Legato al Prof. Paoli ci sono anche le immagini della mia combriccola perugina, le nostre risate durante le sue infervorate arringhe, le imprecazioni durante i nostri tentativi di seguirlo nei tortuosi meandri dell'epistemologia, gli sguardi tronfi che ci scambiavamo quando vedevamo la classe svuotarsi e solo noi rimanere, come a sancire una superiorità intellettuale che in quei momenti ci sembrava valere ben più di qualche 30.

In un periodo dominato da grandi professori e fondamentali economici impazziti, l'Università italiana perde un Maestro che ha sempre avuto la forza di denunciare il limite principale della tecnica, e cioè l'atto fideistico alla base del modello di analisi che permette sì di validarne i risultati ma che, al tempo stesso, ne preclude ogni oggettività.

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