Il vento di Seattle

Come sta il popolo di Seattle dieci anni dopo la sua nascita? Più precisamente, dov'è oggi?
Dopo la caduta del muro di Berlino un altro anniversario parimenti importante è da ricordare in questi giorni: il 30 Novembre 1999, data in cui la generazione X smette di essere un'incognita e decide di imbracciare camicioni di flanella, sciarpe, pantaloni stracciati, e scende in strada per esplodere rabbiosa.
Dentro quei volti tagliati dal vento di Seattle c'erano ragazzi additati da tutti come andati, bruciati, irrecuperabili. Alcolisti, drogati, amorali, annullati dalla televisione e dai promo commerciali, svogliati e privi di stimoli, incapaci di provare emozioni. Eppure quel giorno erano tantissimi.
La realtà è che forse dentro quei volti c'erano semplicemente dei bambini che provavano nostalgia per cose che non avevano avuto mai, come una famiglia amorevole e una vita serena, che avevano capito che tutto quello che veniva fatto vedere loro era irraggiungibile. Che non era possibile per tutti diventare una rockstar, andarsene in giro con una Corvette, surfare tra bionde procaci in bikini che ti strizzano l'occhio. Il popolo che per primo aveva capito che il sogno americano, alla fine degli anni novanta, era andato. Morto e sepolto. Che la copertina patinata che ricopriva i sorrisi smaglianti delle celebrità nella realtà era solo vento gelido che ti ferisce le mani e il viso.
Il popolo di Seattle oggi sta male. Molti avevano sperato che il 1999 fosse la data di nascita di una presa di coscienza collettiva, e invece non è successo.
Siamo ancora alle prese con gli stessi problemi, siamo inseguiti dalle stesse paure e rincorriamo ancora gli stessi sogni, perchè ci terrorizza ancora l'idea di dover uscire da noi stessi, di essere obbligati a condividere esperienze e opinioni, di essere costretti a credere che domani sarà tutto migliore per non sentirci persi adesso.
Dico siamo, si, perchè il popolo di Seattle siamo noi. Voi trentenni che eravate a Genova, testimoni in presa diretta della stesura di una delle pagine più vergognose della nostra storia recente, voi non ancora trentenni che sarete a Copenhagen a vedere, una volta di più, che le sorti del mondo si decidono con cene in ristoranti a cinque stelle, pacche sulle spalle, battutone da vecchi marpioni e discorsi pirotecnici. Voi tutti che domani sarete a chiedere le dimissioni di silvioberlusconi, uno di quelli che ha saputo trasformare le ansie e le perplessità delle gente in paura, e sfruttarla per istaurare un governo totalitario, giustizialista senza giustizia e schifosamente maschilista.
Il grido di Seattle del 1999 è ancora oggi il nostro grido, ma temo che la pioggia l'abbia sommerso e che lo stesso vento che lo vide nascere lo stia disperdendo. Forse, come succede per tutte le cose, il tempo ha attutito il nostro rumore.

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