dARi

Giunti alla loro seconda fatica mi chiedo se i dARI siano effettivamente solo degli sfortunati.
La domanda è: siamo così sicuri che non possa trattarsi di una sottile e raffinata provocazione? Cioè scegliere di essere per sempre fuori posto.
Con quel look sospeso fra metal e punk a simboleggiare un cambiamento mai completato, un continuo giungere ad una forma stabile che non arriva mai.
Con quel linguaggio minimale tipico di una società che necessita di annullare i tempi di comunicazione, scarnificato nella forma e umiliato nella grammatica, tuttavia più giocoso nell'aspetto con un preciso, quasi scientifico, alternarsi di minuscole e maiuscole. Via il congiuntivo, via il condizionale, via il passato remoto, via strutture linguistiche pesanti, la comunicazione è veloce, simile all' augh dell'uomo delle caverne. Una necessità, un istinto. Essere per sempre fuori posto cercando un posto nel mondo, cercando un posto nel fondo. Abitare un luogo disegnato da Tim Burton e costrutio da un cyborg, con quel tratto tanto dark quanto romantico, con evidenti toni decadenti, dove analogico e digitale si fondono perfettamente.

Non so voi, ma io la rivendicazione la sento forte e chiara: "Ci avete fatto crescere con la Corrida di Corrado prima, e con i programmi di Teo Mammucari poi? Ci avete lasciato credere che bisogna essere dei fenomeni da baraccone per essere qualcuno? Bè, eccoci qua!"
E poi, a pensarci bene, 'sti emo non avranno solo olive denocciolate in testa. Insomma, Jared Leto l'abbiamo visto tutti in Requiem for a dream, non dico mica che abbia scritto lui scenografia e dialoghi, anche perchè il film è tratto da un romanzo - mi pare - ma non mi sembra di aver visto recitare un cane.
In realtà mi serve solo una scusa per non studiare. I dARI fanno cagare a spruzzo. Non perchè io non li capisca, ma perchè fanno cagare a spruzzo.

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