Tamarrow never dies

Prendo in prestito il titolo di uno dei capitoli più inutili di una delle saghe più orribili della storia del cinema per parlare, manco a dirlo, di tamarri.

Dopo un sabato sera passato al Summer Jamboree a Senigallia ho constatato come le perversioni dei padri ricadano inevitabilmente sui figli.
I padri sono gli individui rimasti incastrati negli anni '60 e i figli sono bambini di 5 anni al massimo conciati a festa dai genitori.
Ora, io posso capire il sentirsi legati ad un'epoca o a uno stile particolare, ma pretendere di addobbare la propria prole come un compendio in 80 cm di pin-up e sex-symbol di 40 anni fa, abbiate pazienza, mi sembra un po' eccessivo.

E questo è il pensiero che mi accompagna rientrando nel noioso entroterra da anni uguale e fedele a sè stesso. Qualche giorno dopo, però, mi imbatto per sbaglio nella pagina degli eventi mondani del Corriere Adriatico che, implacabile, mi ricorda chi siano, agli albori del ventunesimo secolo, i veri tamarri.
E allora mi rimangio tutto lo scritto e cambio repentinamente idea che, a guardare bene, un po' di brillantina sui capelli, un risvoltone sul jeans (rigorosamente integro!) e la frangetta impennata costiuiscono elementi autoironici di un folklore che comincio ad apprezzare, in quanto incarna l'esatto opposto dello sbattermi in faccia il tuo costoso, sciatto ma griffato vestirti male con cura odierno.
In fondo una generazione che si identifica in James Dean e Gioventù bruciata o, per rimanere nel nostrano, in Vittorio Gassman e Il Sorpasso, non può per definizione essere peggiore di una che trova i proprio eroi in Vin Diesel e The fast and the furious o Federico Moccia, Riccardo Scamarcio e il mai troppo bistrattato Tre metri sopra il cielo.

La cultura dominante è l'espressione del potere.

0 commenti: