#notav
Nel suo breve ma intenso Consigli ad un giovane ribelle, caldamente consigliato a tutti coloro che non lo avessero già letto, Christopher Hitchens ricorda un passaggio importante de L'essere e il nulla di Sartre, nel quale il filosofo francese delinea una netta separazione fra la figura del ribelle e quella del rivoluzionario.
Descrive gli appartenenti alla prima categoria come attenti e segreti protettori dello status quo, essendo proprio tale permanenza a garantire loro la possibilità di ribellarsi. Nella seconda tipologia, invece, troviamo chi veramente vuole cambiare, se non addirittura sovvertire, le condizioni esistenti.
E' un'impresa titanica cambiare le regole di un gioco che premia chi storicamente deve essere premiato, e per farlo occorre arrivare al confronto, che può facilmente diventare scontro quando le questioni toccate sono così delicate, scansando le più o meno galanti offerte al "darsi una calmata".
Sono fieramente un NoTav perchè nella Val Di Susa io vedo molti rivoluzionari e davvero pochi ribelli. Vedo gente che vorrebbe vivere in pace, che vorrebbe una quotidianità lontana dalle luci della ribalta e fatta di normalità. Chi crede che la valle sia ormai diventata terra di conquista per filibustieri e terroristi di primo pelo si sbaglia di grosso, perchè in prima linea ci sono agricoltori, lavoratori, cittadini e sindaci. Ci sono donne e uomini che portano serenamente in campo la loro terza età senza curarsi di chi li vorrebbe a borbottare davanti la televisione, ci sono trentenni cretinetti che di mestiere arano la terra alla faccia del posto fisso in banca o nella grande azienda e della sua sicurezza economica.
C'è un universo talmente ampio di "cose che non tornano" rispetto a eventi più noti, il 15 Ottobre per dirne uno, che considerare tutti black block diventa una difesa rassicurante per le nostre convizioni e una pista facile da seguire per chi deve scrivere articoli dietro articoli senza preoccuparsi di capire quello che racconta.
In Val di Susa si sta combattendo contro la tentazione da sempre insita nell'uomo di lasciare una propria firma nel futuro. Nella contestazione che è diventata il simbolo della lotta a tutte le grandi opere millantate da decenni di politica burina e populista, si sta mettendo in discussione l'idea - di stampo fortemente cattolico - che il futuro saprà, per capacità imperscrutabili a noi che viviamo il presente, rimettere a posto tutto e redimere i nostri peccati con il ricordo e la riconoscenza.
Non importa se la Tav ci imporrà un dispendio di risorse economiche che non ci possiamo permettere, non importa se non avremo di cosa riempire i container da spedire in Francia a 300 all'ora, non importa se dovremo scavare montagne senza sapere dove stipare quello che ne tireremo fuori e neanche se dovremo farlo con cantieri dove muoiono centinaia di persone ogni anno, tanto si curano della sicurezza dei laviratori, no.
Tutto questo non importa, perchè la Tav sarà un altro simbolo della potenza della nostra civiltà, l'ennesimo lusso futurista destinato a diventare un monumento all'incompiuto, ettari di boschi sacrificati sull'altare delle lamiere per dar corpo al sogno dell'Europa unita, potente e indissolubile che nel 2012 decide scientemente di lasciar morire di fame un intero popolo qualche parallelo più a sud.
A chi accusa i NoTav di essere retrogradi, passatisti e contrari al progresso, poi, non si manchi mai di ricordare che la nozione di sviluppo come sommatoria delle tonnellate di cemento elevata ai chilometri quadrati di asfalto non sta più in piedi, ed è attuale come il vecchietto avvinazzato del bar che tra un mano di briscola e l'altra non perde occasione di rimarcare che ai suoi tempi mica ti rompevano i coglioni se davi due schiaffi a quella troia di tua moglie.
Essere un NoTav non vuol dire essere un ambientalista, un anticapitalista o un ribelle ma tutte queste cose insieme e anche di più. Vuol dire affermare la necessità di ripensare interamente il nostro modello di sviluppo.
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