quintale
Esistono due strade per rievocare gusti e sapori
vintage in ambito musicale: una fastidiosamente modaiola e paradossalmente tecnologica; l’altra più sobria e squisitamente tecnica.
Per
percorrere la prima basta investire una discreta ma abbordabile somma
di denaro in tecnologia consumer, abbigliamento hipster e pettinature al
limite della decenza per sfornare insulsi e anonimi dischi elettropop
del cazzo.
La seconda, invece, costa molto in termini di tempo, abilità, sforzo e partecipazione
La
dignità artistica dei Bachi da Pietra li ha portati a sviluppare il
proprio lavoro sul sentiero dell’artigianato, affidandosi a Giulio
“Ragno” Favero (chitarra di One Dimensional Man e basso del Il Teatro degli Orrori)
per produrre, completamente in analogico, questo Quintale, album senza
fronzoli che prova ad interpretare il rock lavorando per sottrazione:
una chitarra, una batteria, sudore e bestemmie.
Ne
risulta un suono di chiara derivazione stoner, duro e compatto dalle timbriche plumbee, battuto da riff che grattano la sabbia, ornato da cori a bassissima frequenza. Durante
l’ascolto si riesce a rubare giusto qualche boccata di ossigeno nelle
(poche) ballate desertiche dai pozzi avvelenati, per il resto si scava a mani nude a cercare melodia là dove si pensa possa esistere solo la pietra.
Nonostante
temperatura e densità da camera magmatica, questo è l’album più fresco
che mi sia capitato di ascoltare di recente, credibilmente contemporaneo.
Nessuna
apologia dei tempi andati e nessuna rancorosa recriminazione
passatista, non sentirete mai niente del genere provenire da questo pulpito, però ogni
tanto è bene ricordare che la rivoluzione digitale in questo campo ha
spesso portato a lavori inutilmente solipsistici, sfacciatamente
autoreferenziali e non di rado involuti; per non parlare poi delle
bufale clamorose.
Quintale è una vera manna (di granito) dal cielo.